Il ricorso al preconcordato o concordato in bianco sta diventando una scelta sempre più popolare tra gli imprenditori in difficoltà. Ma attenzione a non percorrere questa strada troppo presto, perché potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio.
Le nuove norme (art. 161 comma 6 Legge Fallimentare) introdotte la scorsa estate dal Decreto Sviluppo, infatti, permettono all’azienda in crisi di chiedere e ottenere molto facilmente la protezione dalle azioni esecutive individuali dei propri creditori per un periodo compreso tra i 60 e i 120 giorni, durante il quale l’azienda si può attrezzare per presentare una proposta completa di concordato preventivo oppure un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’articolo 182 bis della Legge Fallimentare.
Per un approfondimento sui contenuti delle norme e sul dibattito in corso, si veda anche questo articolo di BeBeez.
Ma appunto esiste un rischio, da non sottovalutare. “Una volta messa in moto la macchina, non ci si può più fermare”, avverte infatti Camilla Tolomei*, managing director nel team specializzato nella ristrutturazione di aziende in difficoltà di AlixPartners società internazionale di consulenza . Continua Tolomei: “Se, infatti, l’imprenditore chiede l’ammissione alla procedura di preconcordato troppo in anticipo rispetto alla sua capacità di produrre poi una proposta completa di concordato entro i tempi assegnatigli da Tribunale, che possono essere anche molto stretti, cioé di 60 giorni, il rischio è che scaduti i termini senza aver presentato la proposta oppure con una proposta dichiarata inammissibile, l’imprenditore si trovi costretto a fallire. Si tratta, dunque, di un passo da valutare con le dovute cautele”. E le cautele non si limitano a questo. Perché bisogna tenere presente il fatto che si tratta di un istituto giuridico nuovo e che per questo motivo tutti ne stanno prendendo le misure, Tribunali compresi.
Così, sebbene la lettera della legge stabilisca certi principi e permetta una serie di attività all’impresa anche durante il periodo di preconcordato, nella pratica alcuni Tribunali, e quello di Milano in particolare, hanno adottato un approccio molto restrittivo, al fine di evitare abusi. E spesso le limitazioni all’attività risultano molto importanti.
Dunque, non va sopravvalutata la possibilità offerta dalla legge di congelare di fatto tutti i debiti pregressi e di poter continuare a lavorare con i fornitori che eseguiranno le proprie prestazioni successivamente alla data di ammissione al preconcordato, ed eventualmente con le banche che forniscono nuova finanza. E’ vero, infatti, che fornitori e finanziatori che lavorino con l’azienda che ha ottenuto il concordato in bianco hanno i loro crediti garantiti, nel caso in cui successivamente l’azienda vada in fallimento. Quei crediti infatti sono in pre-deduzione, cioé non vanno a sommarsi con quelli precedenti e vengono pagati prima di tutti. Ma appunto, ci sono parecchie condizioni da rispettare in cambio di questa protezione.
Qualche esempio? “La lettera della legge dice che le aziende che hanno ottenuto l’ammissione al preconcordato possono risolvere i contratti che non sono convenienti per loro, a parte quelli con i lavoratori dipendenti ovviamente. Nella realtà, però, i Tribunali tendono a non autorizzare la risoluzione dei contratti in essere senza che siano stati depositati anche la proposta e il piano definitivi, perché il rischio è che si producano effetti che potrebbero essere in ipotesi anche gravemente pregiudizievoli per i terzi contraenti, effetti per di più definitivi, in assenza di piani o sulla base di piani non impegnativi”, spiega Tolomei.
E ancora. “Personalmente sto affiancando il management di Piazza Sempione nel processo di ristrutturazione della casa di moda (1)”, dice la managing director di AlixPartners, che continua: “Lo scorso 13 febbraio l’azienda è stata ammessa alla procedura di concordato preventivo dal Tribunale di Milano, dopo aver fatto domanda per il preconcordato lo scorso ottobre. Ma nel periodo concesso dal Tribunale per preparare la proposta completa abbiamo incontrato una serie di ostacoli non indifferenti. In particolare, a un certo punto avevamo chiesto al Tribunale di autorizzare il fatto che una terza parte affittasse il ramo d’azienda, pagando un adeguato affitto a Piazza Sempione, dove la sigla del contratto di affitto, però, veniva legata indissolubilmente alla promessa di acquisto futura del ramo d’azienda stesso. Il Tribunale ha negato l’autorizzazione, motivando tale diniego con il fatto che non si possono autorizzare atti dispositivi dell’attivo quando ancora non esiste un piano concordatario”. Successivamente, entro la data fissata per la presentazione della proposta definitiva di concordato preventivo, siamo riusciti a definire un contratto per l’affitto di azienda con il Gruppo Sinv di Ambrogio e Francesco dalla Rovere , e quindi posso dire che ci è andata bene. Detto questo, ho imparato, per le eventuali prossime volte, che l’affitto del ramo d’azienda non deve essere legato inscindibilmente alla promessa d’acquisto, perché altrimenti il Tribunale non dà la sua autorizzazione”. Insomma, si tratta di un mondo nel quale si va ancora per miglioramenti successivi.
Ancora un ultimo appunto. “I Tribunali Fallimentari, e quello di Milano in particolare, sono così oberati di lavoro che, una volta presentata la domanda definitiva di concordato, ci sono tempi molto lunghi di risposta”, avverte ancora Tolomei, che precisa: “Nel caso di Piazza Sempione, per esempio, non è ancora arrivato l’ok al contratto di affitto, nonostante il fatto che ci sia un acquirente già pronto anche a successivamente comperare il ramo d’azienda, con la conseguenza di permettere il rimborso dei creditori privilegiati al 100% e di quelli chirografari ad una percentuale che oscilla fra il 10% e il 12%. E quel che è peggio è che non esistono per i Tribunali dei tempi da rispettare. Con il rischio di far fallire le aziende”.
Siamo insomma ancora molto lontani dalla prassi statunitense del Chapter 11, dove il giudice designato è costantemente affiancato dal cosiddetto US Trustee, cioé da una figura ausiliaria con la quale le aziende in procedura e i loro rappresentanti sono in contatto costante. “Quando tra il 2004 e il 2007 mi sono occupata personalmente della ristrutturazione della controllata di Bruno Magli negli Stati Uniti ho potuto constatare quanto diversa sia la situazione rispetto a quella dei Tribunali italiani. Allora si trattava di chiudere tutti i negozi negli Usa e di focalizzarsi sulla distribuzione wholesale, per poter permettere alla società controllata statunitense di conseguire risultati economici positivi. Per tutta la durata del processo la società ha sempre avuto una controparte con cui confrontarsi nella persona del US Trustee, il quale, dopo averle condivise, portava al giudice le varie istanze per l’autorizzazione definitiva. Qui purtroppo non è possibile, non esiste la figura dell’ ‘ausiliario’ e passa tutto direttamente dai giudici: vi è quindi un imbuto incredibile, soprattutto da quando il lavoro è aumentato per l’imponente ricorso ai preconcordati”.
(1) La griffe controllata dal fondodi private equity L Capital
*Camilla Tolomei è managing director di AlixPartners, nel team Turnaround and Restructuring. Ha oltre 15 anni di esperienza professionale nelle ristrutturazioni industriali e finanziarie, e competenze altamente specializzate nelle negoziazioni con i creditori e i debitori, nel cash management e nella gestione di stabilimenti industriali (ridimensionamento, outsourcing e chiusura). Nel quotidiano, si trova spesso a ricoprire cariche di primo piano nelle società a cui fornisce servizi di consulenza, svolgendo attività di management effettive e concrete. Tra le operazioni che ha seguito in passato troviamo le ristrutturazioni di Bruno Magli, Favini e Bianchi Vending Group. Prima di entrare nel mondo della consulenza è stata direttore finanziario e amministratore delegato di una delle principali società di costruzioni italiane. Ha conseguito una laurea “cum laude” in Economia presso l’Università di Firenze ed è Dottore Commercialista.