Mentre Saipem in Borsa continua a perdere terreno, dopo il blocco dei contratti legati alla realizzazione del tratto offshore del gasdotto russo South Stream imposto da Vladimir Putin. il dossier della cessione della quota in mano a Eni diventa più appetibile per i fondi di private equity Usa già allertati sul deal da quando il colosso a sei zampe ha annunciato ufficialmente di voler deconsolidare la controllata.
Tra i nomi pronti a lavorare sull’operazione, per la quale Eni si è affidata all’advisor Credit Suisse, si fanno quelli di Blackstone, Tpg, Riverstone e Carlyle, ma difficile immaginare che anche First Reserve non abbia i radar accesi. Senza contare che il Fondo Strategico d’Investimento ha a sua volta allo studio una possibile operazione, soprattutto tenuto conto dei legami che il veicolo d’investimento guidato dall’amministratore delegato Maurizio Tamagnini ha con i due fondi sovrani del Qatar e del Kuwait (lasciando per ora sullo sfondo quello con il fondo sovrano russo, che visti i rapporti tesi con la Ue e gli Usa in relazione alla crisi Ucraina, al momento non può essere sfruttato).
A proposito di Paesi del Golfo, il flottante di Saipem per la parte coperta dagli investitori istituzionali vede già una forte rappresentanza di azionisti del Golfo e quasi la metà degli investimenti in attività onshore viene assorbita da Kuwait, Iraq, Arabia Saudita e Oman. La saudita Saudi Aramco resta uno dei committenti di maggior peso. Fonti di mercato indicano un potenziale interesse anche da parte della sudcoreana Samsung, dopo il tentativo fallito di procedere alla fusione tra le sue sussidiarie di ingegneria e costruzioni navali, Samsung Engineering e Samsung Heavy, ideato per competere con maggior forza con quelle che vengono considerate le sue rivali più dirette: la francese Technip e, appunto, Saipem.
Peraltro anche Technip viene citata tra i possibili interessati a Saipem, così come le due norvegesi Seadrill e SubSea7. Entrambe però hanno gli stessi problemi di Saipem, con i contratti a bassa marginalità, ma un portafogli ordini meno solido per il futuro. SubSea7, in particolare, ha appena avvisato il mercato che l’assegnazione di alcune commesse sulle quali contava per fine anno slitterà a causa dei tagli agli investimenti effettuati dalle oil company, preoccupate dal calo del prezzo del petrolio.
Quanto alla russa Rosneft, a sua volta indicata nelle ultime settimane come possibile pretendente, difficile immaginare che davvero possa essere presa in considerazione. A parte il solito problema delle sanzioni Ue alla Russia, c’è il fatto che, come ricordato da MF-Milano FInanza lo scorso 15 novembre, l’amministratore delegato Igor Sechin aveva presentato una proposta già quando a capo di Eni c’era ancora Paolo Scaroni e che si potrebbe sintetizzare così: commesse garantite per la controllata in cambio di una quota di capitale. Il tutto in nome dei progetti in comune col Cane a sei zampe nel Mar Nero e nel Mare di Barents, sanciti dalla cooperazione strategica del 25 aprile 2012 e dalla creazione delle joint venture tra Eni e Rosneft (66,67%) per lo sviluppo congiunto di tre licenze esplorative: Fedynsky, Tsentralno-Barentsevsky e Zapadno-Cernomorsky. La proposta Rosneft era già stata respinta in quell’occasione e nemmeno ora ci sono possibilità che venga accolta. Tanto più che nel frattempo il gruppo petrolifero russo si trova oberato da debiti per 55 miliardi di dollari ed è stato costretto a battere cassa al Cremlino per finanziamenti straordinari da 45 miliardi di dollari.
Intanto oggi è previsto un consiglio d’amministrazione di Saipem con all’ordine del giorno il budget 2015. L’amministratore delegato Umberto Vergine ha già comunicato ufficialmente che all’appello nel prossimo esercizio mancheranno circa 1,250 miliardi di euro di ricavi, attesi proprio dalle commesse ottenute dal consorzio South Stream Transport (che vede Gazprom al 50%, Eni con il 20%, Edf e Wittenshall al 15% ciascuno). C’è da stimare a quanto arriverà la copertura delle clausola di salvaguardia sui contratti, che complessivamente valevano 2,4 miliardi di euro, e il costo del fermo delle navi posatubi destinate ai lavori.
Sull’iter di vendita però pesa un’incognita: il processo in corso per le presunte tangenti algerine su contratti ottenuti da Sonatrach fino al 2010. Eni infatti conta di avere le prime manifestazioni d’interesse per gennaio, proprio quando la cessione potrebbe andare a sbattere contro le conclusioni della Procura della Repubblica di Milano.