Un percorso nel segno della resistenza tedesca, il senso civico portato in teatro con il coinvolgimento di ragazzi giovani di istituti tecnici, una scommessa che ha trovato il favore del pubblico per Nicola Montenz – una laurea in Letteratura greca e dottorato di ricerca in Filologia classica, diplomato in Organo e composizione organistica – che ha visto il suo ultimo spettacolo venerdì 7 giugno al Teatro San Matteo di Piacenza, L’ultima rosa Hans Leipelt e lo spirito dell’Europa, come l’ultima tappa di un percorso.
Incontrandolo alla vigilia del debutto gli abbiamo chiesto di raccontarci l’ultima fatica.
“Lo spettacolo di Piacenza chiude una riflessione teatrale sulla resistenza intellettuale tedesca, iniziata nel 2017 con La rosa bianca con la regia di Francesco Ghezzi, dedicato agli interrogatori nazisti. Lo spettacolo è stato messo in scena con dei ragazzi giovani dell’Istituto Tecnico Marconi di Piacenza. Nel 2018 ho realizzato un atto unico tratto dalla vicenda dell’Orchestra rossa e il monologo L’eterna primavera che ripercorre la vita di Libertas Schulze-Boysen, di cui parlo anche nel libro dal titolo omonimo L’eterna primavera – Libertas e l’’Orchestra rossa’ (pubblicato da Archinto nel 2018). Quest’anno ho voluto rappresentare una storia che non si racconta mai, legata al chimico Hans Leipelt, ebreo per parte di madre, che studiava all’Università di Monaco con un premio Nobel, quando riceve il volantino della Rosa Bianca, proprio nei giorni in cui l’organizzazione viene scoperta e vengono uccisi i vertici. Come in una staffetta, Leipelt insieme ad altri compagni, ne assume l’impegno, diffondendone le idee anche nel nord della Germania, cercando di sostenere una colletta per la vedova di un professore ucciso, finché viene scoperto e ucciso. E’ una storia d’amore e di amicizia che sceglie la via della resistenza intellettuale e non il terrorismo e questo mi sembra l’aspetto più interessante.”
Come nasce il suo interesse per queste vicende tedesche che sembrano costituire un fil rouge nella sua attività? Anche la vicenda di Libertas infatti approfondisce una storia particolare, una vicenda tragica della condanna alla decapitazione per questa critica cinematografica alle dipendenze del ministero della Propaganda, nella Germania nazista, sospettata insieme ad altre due donne e otto uomini tra cui il marito, Harro, ufficiale della Lutwaffe, sospettata di attività di spionaggio filosovietica.
“Dura da molti anni, da quando ancora bambini negli anni Ottanta sono entrato in contatto con la Resistenza tedesca, le testimonianza, anche sul luogo, come a Berlino, quando ancora c’era il muro e quello che è sopravvissuto in me è stato la voglia di libertà dello spirito, che sopravvive come lezione, al di là della contestualizzazione storica.”
La scelta di lavorare su testi impegnativi con ragazzi giovani, non professionisti e in più di istituti tecnici, senza una formazione culturale scolastica specifica per il teatro a quale idea corrisponde?
“Al fatto che il teatro e la cultura soprattutto quando sostiene i valori universali di un’Europa solidale come in questo caso, non sovranista, è un messaggio per tutti, per i cittadini, e la messa in scena è fin dalla Grecia antica un modo diretto, emozionale per formare le coscienze che non deve appartenere solo alle élite culturali e sociali, com’è accaduto nel tempo.”
Come ha risposto il pubblico?
“Non sapevamo neppure se ci sarebbe stato un pubblico e invece la risposta è stata calda, emozionata e corale, sostenendoci nell’idea dell’utilità del teatro oltre che della sua bellezza. Quest’ultimo spettacolo che probabilmente avrà una replica autunnale a Cremona, è stato tra l’altro sostenuto dalla Scuola dei ragazzi-attori che lo ha inserito nel programma scolastico, dal centro culturale italo-tedesco di Piacenza, dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano e dal Goethe Institute. Al di là dell’aiuto materiale tale appoggio è il segnale che la cultura è un aggregante sociale e può convogliare risorse.”
A cura di Giada Luni