Palazzo Ducale di Genova, nell’Appartamento del Doge, presenta dal 5 ottobre 2019 al 1^ marzo 2020 la mostra Anni venti in Italia. L’età dell’incertezza a cura di Matteo Fochessati e Gianni Franzone. (qui a sn Cagnaccio di San Pietro)
Abbiamo avuto l’occasione di farci raccontare da Fochessati qualche anticipazione scoprendo che è una mostra da leggere oltre che da guardare, un’esposizione che parte dall’arte per raccontare un periodo detto “l’età dell’ansia”, che per certi aspetti come ci ha detto il critico ricorda i giorni nostri. Il catalogo, con importanti contributi di storici – pubblicato da Sagep Editore di Genova – non è infatti solo l’illustrazione della mostra ma il suo completamento. L’obiettivo di un’esposizione di oltre 100 opere, tra pittura e scultura, provenienti da importanti collezioni pubbliche – tra cui figurano La Galleria Nazionale di Roma, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, quella di Palazzo Pitti a Firenze, il Mart di Rovereto, l’Istituto Matteucci di Viareggio, La Fondazione Il Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera, la Collezione Giuseppe Iannaccone di Milano – e private, è di invitare a una riflessione su un decennio complesso stretto tra le ferite della Prima Guerra Mondiale e l’affermazione del Fascismo, per ripensarlo oltre gli stereotipi, attingendo alla storia, al quadro sociale e anche alla letteratura del tempo.
Com’è nata l’idea? “Essendo i curatori della collezione di Palazzo Ducale che raccoglie opere dalla fine dell’Ottocento al 1945, le opere degli anni Venti erano già nel nostro orizzonte e alcune di esse saranno infatti in mostra. Accanto a questo aspetto ci sono state delle suggestioni di ordine letterario come ad esempio il romanzo M. Il figlio del secolo di Antonio Scurati, vincitore del Premio Strega 2019, che rilegge quel periodo, dal 1919 al 1925, di grande incertezza e inquietudine, anche di sospensione verso il futuro e forse per alcune analogie con i tempi moderni, è maturata un’attenzione al riguardo”.
Gli anni Venti hanno rappresentato un momento cruciale, dal crollo delle certezze e dell’ottimismo che avevano pervaso il primo decennio del nuovo secolo alla crisi mondiale del decennio successivo, annunciata dal crollo di Wall Street dell’ottobre 1929 e seguita dalla progressiva affermazione sullo scacchiere internazionale di regimi dittatoriali, si concluse con un nuovo ancor più tragico conflitto.
A questa complessità di eventi corrispose, nel campo delle arti figurative, un’ampia varietà di declinazioni linguistiche che rappresentarono il termometro di un’epoca convulsa.
Qual è il progetto sotteso? “Non tanto raccontare e descrivere un decennio in arte con una gamma varia di movimenti dal Novecento al Realismo Magico, quanto rintracciare dei temi, per raccontare in capitoli, gli aspetti di questi anni complessi dei quali spesso la storiografia ha messo in risalto l’aspetto ruggente e sfavillante”, attraverso nove sezioni.
Il percorso, ci ha raccontato uno dei curatori, inizia con l’opera di a La tempesta, esposta alla Biennale di Venezia nel 1926 e termine con altre due opere dello stesso autore, La lupa, di inusuale violenza, ispirata all’omonima novella verghiana e La Pisana, modello femminile seducente, che dorme.
“Il tema del sonno – ha precisato Fochessati – è tra l’altro uno dei temi che caratterizzano questo decennio, anche se non gli abbiamo riservato una sessione ad hoc, come si evince ad esempio dallo stesso romanzo Gli Indifferenti di Alberto Moravia del 1929 dove spesso i protagonisti dormono o si addormentano quando ci sono situazione alle quali vogliono sfuggire”.
L’esposizione si apre con i Volti del tempo, una sequenza di ritratti che funge da prologo e restituisce l’affresco sociale dell’epoca. Nella ripresa del principio rinascimentale della gerarchia dei soggetti, al tema della figura venne attribuito all’epoca un posto di primo piano. Una lunga galleria – con opere di Gino Severini con Maternità, ritratto della moglie del 1916, Giorgio de Chirico, Felice Casorati, Achille Funi, Baccio Maria Bacci, Ubaldo Oppi, Carlo Levi, Alberto Savinio, Fillia, Pippo Rizzo – i volti e le pose dei personaggi raffigurati – con le loro peculiari espressioni fisiognomiche e i loro marcati caratteri identitari, pubblici o privati – offrono una diretta e variegata proiezione della società del tempo.
E a volti di anonimi personaggi, reificati nel loro ruolo sociale, si accompagnano a ritratti di alcuni dei principali esponenti del mondo culturale, artistico e imprenditoriale del periodo, da Matteo Marangoni ad Alfredo Casella, da Umberto Notari a Renato Gualino.
Il preludio è caratterizzato dal trauma della guerra, la “vittoria mutilata” secondo l’espressione di D’Annunzio che contribuì a trasferire sul corpo della Nazione le ferite dei reduci: furono quasi mezzo milione gli invalidi che tornarono dal fronte. Allo stesso tempo, la retorica propagandistica, che per anni ispirò l’edificazione di sacrari, cimiteri e monumenti in memoria dei combattenti, distolse la popolazione da una cosciente elaborazione del lutto, privilegiando la celebrazione dell’eroe. In questa sezione i dipinti di Carlo Potente e Pierangelo Stefani, densi di atmosfere pacate e quasi sacrali, si accompagnano all’intensa espressività delle opere di Eugenio Baroni, Ardengo Soffici e Lorenzo Viani.
Segue Attese, Sospensione, Malinconia, Inquietudine capitolo che accoglie una pittura di silenzio, incanto e stupore. In questo tema trovano spazio le visioni enigmatiche di Carlo Carrà, Antonio Donghi, Felice Casorati, Virgilio Guidi, Piero Marussig, Ottone Rosai, Cagnaccio di San Pietro, Arturo Martini che rivelano spesso una sotterranea tensione che lascia presagire un senso di sospensione e aspettativa o, per contro, l’inquieta rielaborazione di eventi passati, il cui ricordo permane nella perturbante condizione di distacco dalla realtà.
L’uomo della follia insiste sul disagio, la violenza, l’alienazione e ruota intorno alla città, metafora di progresso e di alienazione allo stesso tempo, basti pensare alle vedute metropolitane di Mario Sironi o al dipinto Il caduto di Leonardo Dudreville, di Sexto Canegallo e Domingo Motta.
Le suggestioni dell’irrazionale tra angoscia, incubi e ossessioni aprono ad evasioni nell’irrazionale e alla reiterazione degli incubi. Ne offrono testimonianza i dipinti di Primo Conti, Gigiotti Zanini e Scipione, come pure le opere di Alberto Martini e Dario Wolf. “Quest’ultimo – ha precisato Matteo Fochessati – è un autore trentino importante con le sue suggestioni simboliche ma poco noto e appartiene alle cosiddette trouvailles presenti nella mostra che mira anche a scoprire e riscoprire personaggi non conosciuti accanto ai grandi nomi.”
La reificazione dell’individuo è l’uomo meccanico, maschera un po’ grottesca e marionetta ridotta all’essenziale ad un tempo che la letteratura in quegli anni analizza accanto all’arte basti pensare al romanzo Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello. E’ nel 1922 d’altronde che viene pubblicato sulla rivista Noi il Manifesto dell’arte meccanica firmato da Enrico Prampolini, Ivo Pannaggi e Vinicio Paladini. Accanto al movimento futurista che diede un fondamentale contributo alla creazione dell’immagine di un uomo nuovo, improntato alla cultura del macchinismo: dal superuomo incarnato dal Mafarka il futurista di Filippo Tommaso Marinetti all’uomo meccanico celebrato dal manifesto citato, si approdò ben presto, tuttavia, a L’angoscia delle macchine di Ruggero Vasari (1925), premonizione di un controllo dell’umanità attraverso le macchine. Dall’altro lato, anche il fascismo aspirò alla creazione di un uomo nuovo, potenziato nel fisico dalla cultura sportiva e preparato dai rituali di organizzazione sociale del regime ad affrontare la guerra. Il tema viene declinato anche come maschera ad esempio da Gino Severini, con il recupero della commedia dell’arte che avviene proprio in questi anni.
Nell’arte del decennio – a partire dalle inquietanti raffigurazioni metafisiche del manichino e della maschera – venne affermandosi la peculiare rappresentazione di un’umanità che, nella graduale perdita della soggettività, si trasforma in marionetta o in macchina e si ritrova nelle opere di Gino Severini, Gian Emilio Malerba, Adolfo Wildt con una scultura maschera di Mussolini molto nota, Mario Sironi per arrivare a Fortunato Depero, Nicolaj Diulgheroff, Mino Rosso, Thayaht in mostra con una raffigurazione di Mussolini robot.
Evasioni è una sessione che riunisce opere che alludono alla nostalgia, al mistero e alla magia, in generale alla fuga da una realtà quotidiana che disturbava, come attraverso le sedute spiritiche o il ricorso ai medium.
Numerose le direttrici dell’evasione, dalla nostalgia per il passato, la tradizione e la classicità come nel caso di Achille Funi e Felice Carena, ma anche il fascino di ricerche mistiche, magiche e misteriose, come, pur nelle differenze, per Tullio Garbari, Mario Sironi, Ferruccio Ferrazzi.
Il capitolo Identità e differenze, racconta una riflessione allora sotto traccia, spesso mutuata dal mondo glamour che però riporta alla luce i temi dell’ambiguità sessuale e la voglia di approfondire il soggetto della corporeità. Iniziarono allora a manifestarsi i segni di una nuova libertà sessuale e di genere, contro un mondo che continuava ad imporre codici morali rigorosi, come documentato dal Manichino androgino di Ferruccio Ferrazzi, dal Bacio saffico di Alimondo Ciampi, dall’ambiguità delle statuine di Giovanni Grande e Sandro Vacchetti, dalla morbosità, ora ironica ora aggressiva, di Scipione.
“L’ultima sezione, di piccole proporzioni – ha sottolineato il curatore – Il Déco in scena ritrae l’immagine più nota degli anni Venti che fa riferimento all’eleganza, al lusso e all’edonismo.
Come già sottolineato, si fa spesso riferimento a quest’epoca come ai “ruggenti anni venti”, mettendo in evidenza quei caratteri di spensieratezza, bellezza e edonismo che, alimentati dall’immaginario culturale d’oltreoceano, connotarono la frenesia vissuta nelle principali capitali europee prima del tracollo.”
In chiusura saranno esposte le opere di Anselmo Bucci, Ubaldo Oppi e Libero Andreotti, l’esplosione di eleganza e lusso, voglia di divertimento e evasione, che improntò quegli anni e che, proprio nella sua dimensione effimera, rappresentò l’altra faccia dell’“età dell’incertezza”.
Quanto all’allestimento che scelte avete fatto? “Abbiamo cercato di lasciar parlare le opere che restano protagoniste, sottolineando la differenziazione delle sessione con una scansione suggerita dall’associazione dei colori ai temi”.
L’esposizione si concluderà appunto con il catalogo – ci ha anticipato Matteo Fochessati – con testi dei curatori e di Fabio Benzi, storico romano; Andrea Cortellessa, critico letterario che prende avvio per la sua ricognizione da una critica di Longhi a De Chirico; Teresa Bertilotti, studiosa della condizione femminile e identità nel Novecento; Patrizia Dogliani, storica sociale del Fascismo; e Ferdinando Fasce, studioso dei rapporti Usa-Italia.
a cura di Ilaria Guidantoni