In mostra a Lucca a Olio su Tavola GAME, Debris
L’arte del riciclo, non è solo un modo di dire, almeno secondo Filippo Bacci Di Capaci, gallerista che nel suo spazio Olio su Tavola, a Lucca, galleria con bistrot, che ha ospitato un ciclo di mostre dedicate ad artisti che, ciascuno a modo suo, hanno posto come componente fondamentale delle loro opere il riutilizzo di materiali scartati o abbandonati, debris, appunto, rottami, che si conclude con GAbriele Meschi. La mostra è un’antologica che parte dagli anni Sessanta, dalla raccolta degli scarti per realizzare, come ci ha raccontato l’artista, lucchese, classe 1948, per metà svizzero da parte di madre, un’archeologia del futuro, un archivio della memoria. In tal senso particolarmente significativa la serie delle foto che ritraggono i cestini della Madison Avenue di New York del 1995 che raccontano cosa consumano in quel periodo gli Americani. La mostra è stata quasi una provocazione perché Gabriele Meschi di solito se ne sta chiuso nel suo grande studio e l’arte lo ha sempre accompagnato come una dimensione intima nella ricerca di dar voce agli oggetti buttati via, un po’ come il pittore Lorenzo Viani – ci ricorda Filippo Bacci – cercava di dare dignità agli ultimi tra gli uomini.
Visitando la mostra abbiamo chiesto all’artista di raccontarci la sua storia che comincia con «1metro quadro di giardino pubblico» nel 1968, esposto alla galleria Klee-Boomclub Lucca nella mostra “Bottiglioni Dotto Meschi” Memoria del futuro Gabriele Meschi.
Per un periodo è stato legato alla Pop Art, periodo nel quale crea sagome in compensato ritagliato e la sua ispirazione è stata legata prima a Pino Pascali che però non ha mai conosciuto, poi ad Alighiero Boetti e a Roma ha conosciuto tra gli altri Eliseo Mattiacci nel momento dell’installazione realizzata con un grande tubo corrugato sulla scalinata della GNAM. Siamo alla fine degli anni Sessanta e Meschi, ventenne, stava finendo l’istituto d’arte ma come ci ha raccontato «non avevo ancora le idee chiare. Mi iscrissi a Firenze a un corso sperimentale, post diploma, di Industrial design che è stata una grande esperienza, una vera e propria rivelazione anche per il calibro degli insegnanti.»
«A seguito dell’incontro con l’Arte Povera ho sviluppato l’idea del ‘non’ intervento, anche se non è un’operazione neutrale perché riutilizzo oggetti defunzionalizzati per costruire un percorso di ricordi e di testimonianza. Nel 1973 ad esempio ho recuperato una polaroid scartata perché venuta male che a me però impressionò molto e l’ho messa su carta coperta da pellicola da cucina per proteggerla. Comincio così a lavorare sulla casualità e la conservazione », che attraversa i luoghi più diversi, come i frammenti di pellicola recuperati fuori da un cinema a luci rosse o un missile giocattolo con il quale giocava da bambino che poi lanciandolo finì in un luogo inaccessibile – è un giorno a metà degli anni 50’, l’artista, all’età di 7-8 anni ed effettua uno dei tanti lanci, che termina però il percorso balistico dell’aliante-missile all’interno dell’ala disabitata e inagibile, in un palazzo di piazza San Ponziano, penetrando da una delle finestre dell’ultimo piano – dove lo ha recuperato per caso dopo molti anni. E ancora un quadro con bustine catalogate di oggetti smarriti come il guanto rosso di un bambino. Ma anche un sacchetto riconvertito in “foglia verde” che da inizio al percorso, sublimazione di un universo chimico-industriale in uno botanico-poetico, oppure i “barattoli” e la sedia contigua che ha recuperato in via dei Fossi a Lucca.
«E’ una sedia, ci ha raccontato, che facevano gli zingari con il legno e la palla che c’è sopra è una palla da bowling, anch’essa recuperata».
Di altra natura la composizione ispirata al Gruppo Cobra, con i ritratti omaggi gli artisti dello stesso, in rosso su fondo oro come fossero icone, interessante composizione.
a cura di Ilaria Guidantoni