Una volta nata, Teresa, saresti stata semplicemente la continuazione dell’arcana narrazione del tempo, la spinta propulsiva della riproduzione che manda avanti la cronologia delle cose: e così morirò, un giorno, mentre tu sarai giovane, adulta, e invecchierai, morirai anche tu, lasciando al mondo, nelle tue creature, la prosecuzione di te. L’idea di un filo che si dipana è un’idea falsa, come dare un senso labirintico all’impossibilità del labirinto: è un controsenso, capisci? Non siamo orologi che si consumano freddi e precisi, noi ardiamo e raggeliamo insieme, siamo ossimori del tempo che ci preme. Il suo trascorrere ce lo creiamo nell’anima. Quando ho saputo che saresti nata, ecco che insieme alla gioia mi hai portato il terrore: che ne sarebbe stato del mio serrato legame col passato? Sarebbe rimasta una sola ferita, il vuoto sanguinante della tua cesura. Il taglio del cordone avrebbe fatto a pezzi anche me. Così, mi percorrevano la mente ricordi che addirittura credevo di non ricordare, e una nostalgia pietrosa dei profumi di muschio, di mia madre giovane, di mio padre ancora vivo, dell’anziana artrosi dei nonni, dei miei anni in campagna, della felice noia di bambino, della meraviglia semplice, del tutto nuovo e delle scoperte fantastiche, che il tempo mi avrebbe svelato nella loro materiale banalità, ma che per me erano stupori, e avevo ragione. Ma tutt’a un tratto l’idea di averti mi aveva catapultato indietro, come in un ultimo viaggio, come nella rassegna di ciò che stava fuggendo, perduto per sempre, affievolito e sfumato nello scoppio sordo di una bolla d’aria che una volta mi aveva rassicurato. Inconsistente e sgretolato, il contrario di quel che dovrebbe essere un padre. Defraudato della mia infanzia: cosa avrei potuto donarti, Teresa, se mi fosse restato solo il gelido e opaco sapore del mondo adulto? Così il tempo della tua gestazione mi è servito per raccogliere quei brandelli che mi avevi disperso. Per ridar loro un senso nel tuo futuro. Tuo, ma anche mio, perché per donarti un avvenire avrei dovuto anch’io possedere qualcosa. Ladra del mio tempo. Prima ancora che figlia. Ma non appena ti ho vista, non appena il tuo pianto ha suonato le campane del tempo, ecco che hai risvegliato il bambino che avevi assopito, ecco un nuovo sorriso riemergere pieno dalla scheggia di quei residui, di quelle rovine, di quel tempo che mi avevi sottratto. Tu me lo hai riportato reale e possibile, hai trasformato la mia infanzia da ricordo a ritorno. Me l’hai riconsegnata tra le mani, e viva. Hai ucciso la nostalgia, come se mi avessi detto che non ha più senso soffrire, che nulla è più lontano di ciò che non vediamo. Mi hai riaperto gli occhi al primo dei miei mattini.
Sono anch’io, come te, di nuovo bambino.
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Bernardo Giusti, nato a Firenze nel 1990, giovane speranza tra i romanzieri italiani ha pubblicato recentemente “Bivium” Edizioni Masso delle Fate. Teresa è appena nata e Bernardo Giusti ha scelto Bebeez, nelle scorse settimane per condividere l’attesa per la prossima venuta, e adesso la gioia della presenza fisica.