Fino al 27 febbraio 2022 a Palazzo Reale a Milano è di scena il Realismo magico: dipinti, sculture, disegni e materiale documentario in una mostra innovativa. Un titolo semplice e suggestivo che racconta un’esperienza del secolo scorso gemmata dal Movimento Novecento legato alla critica Margherita Sarfatti. L’esposizione, a cura di Gabriella Belli e Valerio Terraroli, mette in luce con un allestimento, curato dalla Studio Bellini, dalle tinte terrose, dove il focus è esclusivamente dei quadri, che risaltano grazie ad un’illuminazione teatrale, la voglia di realtà che si contrappone alle avanguardie italiane, in particolare al futurismo, come all’espressionismo tedesco, descrivendo come reale però anche la dimensione del sogno. L’effetto è una sospensione di grande suggestione, un’aurea metafisica, un incantamento come ne Le figlie di Lot di Carlo Carrà non senza esplorare il lato oscuro della realtà che diventa iper-realismo, quasi fotografico – per certi aspetti ricorda i lavori di Edward Hopper e quel senso di solitudine e straniamento – da un lato; lasciando per altro una sensazione di disagio come nell’opera straordinaria, Dopo l’orgia di Cagnaccio di San Pietro, nome d’arte di Natalino Bentivoglio Scarpa, cresciuto nel borgo marinaro di San Pietro sull’isola di Pellestrina, sottile striscia di terra nella laguna veneta che viene separata da Chioggia dalle bocche di porto di Chioggia, e dal Lido di Venezia,
dal bacino di porto di Malamocco. Promosso e prodotto dal Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale e 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE si tratta un progetto espositivo che punta – secondo una precisa ricostruzione filologica e storiografica del fenomeno del Realismo Magico – a far scoprire al visitatore più di ottanta capolavori di questa complessa e affascinante corrente artistica. Si tratta di una nuova lettura di questa corrente artistica, che l’audio guida supporta molto bene, a trent’anni di distanza dall’ultima mostra milanese sul tema curata da
Maurizio Fagiolo dell’Arco nel 1986. L’esposizione milanese offre lo spunto per una riflessione depurata da pregiudizi sul periodo tra le due guerre, a lungo caduto nell’oblio dal punto di vista culturale. Questa mostra contribuisce a far luce sulla ricchezza artistica che tra gli Anni Venti e Trenta si è prodotta in Europa, anche dall’opposizione al regime Fascista nel caso italiano come per l’artista Cagnaccio di San Pietro che ne è stato uno dei maggiori avversari. In particolare, è per la lungimiranza di un grande gallerista e critico d’arte, Emilio Bertonati (1934-1981), al quale la mostra in oggetto intende rendere omaggio e adeguato riconoscimento, per la sua intuizione e intelligenza critica che è stata creata a una collezione privata emblematica di capolavori del Realismo Magico, che questa mostra valorizza in maniera particolare, presentandola integralmente per la prima volta al pubblico milanese insieme ad altre opere provenienti da importanti collezioni e da Musei. La mostra è dedicata a Elena Marco, giornalista colta e appassionata, collezionista sapiente e lungimirante, che ha condiviso il progetto espositivo e lo ha sempre sostenuto. Ora la definizione Realismo Magico riguarda un momento dell’arte italiana circoscritto, nella fase più creativa ed originale, in circa quindici anni, tra il 1920 e il 1935, rappresentando in sostanza il clima del ritorno al mestiere della pittura e una specifica declinazione di una temperie “neoclassica”, che ha tangenze con il gusto déco nella sua specificità italiana, ma anche di un ricercato “arcaismo quattrocentesco” e di ambigue atmosfere metafisico-realistiche. Allo stesso tempo a questo segmento dell’arte italiana si legano termini specifici quali realismo, magia, metafisica, spettrale, obiettivo, vero, naturale, surreale. E’ stato Massimo Bontempelli ha dare questa definizione nella sua opera omonima ed è poi diventato una categoria di pensiero al di là della connotazione storica. Lo stesso Giorgio De Chirico, di cui è esposto un autoritratto e un paesaggio barocco sottolineava che se c’è uno stile italiano esso va ricercato nel Rinascimento, il cui portato travalica evidentemente il periodo storico.
Il percorso della mostra ruota sull’asse portante cronologico-filologico mettendo a fuoco alcune analogie tra gli autori del Novecento Italiano di Margherita Sarfatti, dai quali il Realismo Magico si distingue, ma con il quale condivide alcune personalità artistiche come Achille Funi, Mario Sironi, Ubaldo Oppi. Inoltre a queste letture si associa quella tematica con alcune sezioni dedicate, dal ritratto alla maternità ai bambini, dai nudi femminili e l’eros al paesaggio, alla natura morta, all’allegoria.
In mostra vengono esposte le opere di Felice Casorati, come il Ritratto di Silvana Cenni del 1922, opera che suggerisce un confronto con le composizioni di Madonne di Piero della Francesca; le prime invenzioni metafisiche di Giorgio de Chirico come L’autoritratto e L’ottobrata del 1924, al quale si è fatto cenno; ma anche le proposte di Carlo Carrà, con Le figlie di Loth del 1919. Gino Severini racconta attraverso la sua arte il dialogo tra la Francia, dove si trasferì, risiedendo nella capitale, e l’Italia in quel periodo: in particolare in mostra una Natura morta di grande cura pittorica e i suoi Giocatori di carte ma anche gli arlecchini e pulcinella che in questo periodo fanno la comparsa nell’arte, basti pensare ai circhi di Pablo Picasso. In realtà in Italia il tema della maschera assume il senso del recupero della tradizione e del teatro delle maschere. In generale, d’altra parte, tutti propongono un originale e tutto italiano “ritorno all’ordine”, che in tema stilistico si sposa con un recupero dei valori plastici dell’arte del passato, da Giotto (il cui impianto è evidente nell’opera Le figlie di Lot) a Masaccio a Piero della Francesca; fino alla formazione dello specifico formulario realistico e magico che il visitatore trova nei dipinti di Antonio Donghi (presente in mostra con alcune opere molto note come Prima della lezione di musica), Ubaldo Oppi, pittore che si allontana presto dal gruppo e del quale, tra le altre opere, è esposto Ritratto della moglie sullo sfondo di Venezia (1921; olio su tela; Rovereto, Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto) dove il gioco degli smalti e dei colori è una raffinata sinfonia metafisica fatta di simboli e corrispondenze. Tra gli autori anche Achille Funi, Mario Broglio – la cui opera Il romanzo, d’impianto classico è il manifesto della mostra – e la moglie Edita, pittrice raffinata e di cui si presenta un congruo numero di opere, e soprattutto di Cagnaccio di San Pietro, la cui pittura mira a scandalizzare i benpensanti e l’ottica borghese del Regime. La composizione Dopo l’orgia, di grande interesse, esprime la forza della fotografia e svela il lato oscuro dell’eros in una rappresentazione articolata. Tre donne, in realtà una sola in tre pose diverse, corpi scarnificati, sfiniti dall’orgia, sui quali solo i seni esprimono gioia; e poi l’insistenza del numero tre, le due bottiglie vuote e un bicchiere rovesciato, i tre corpi, il tre delle carte sparse e un ritmo che divide in tre sezioni la composizione decentrandola e lasciando una sorta di natura morta spostata di lato: un cuscino con guanti e bombetta, forse simbolicamente l’assenza dell’uomo. Un formulario riconoscibile anche in alcune opere di Mario Sironi – in mostra la sua Allieva – accolta al tempo alla Biennale di Venezia in modo tiepido, fatto eccezione proprio per la Sarfatti – viene per la prima volta affiancata e messa a confronto con L’architetto: in queste due opere il superamento dell’elemento dell’avanguardia, a favore dell’elemento classico anche simbolico, soprattutto nella prima tutta giocata sui toni del bianco e delle terre. Gli Amanti del trevigiano Arturo Martini, uno ‘schiacciato’ al modo classico, che forse ripercorre un momento autobiografico, in gesso trattato come terracotta ricorda certamente la tradizione classica. Belle anche le opere di Achille Funi come Mattutino, una toilette quasi scultorea. Le figure stranianti di Antonio Donghi presentano una selezione di grande pregio, insieme anche a due opere di Carlo Levi, nato in un’agiata famiglia ebrea, come L’attendente medita, un’opera di piccole proporzioni e grande cura compositiva. L’esposizione costruisce anche un dialogo con la contemporanea scuola tedesca della Neue Sachlichkeit, la Nuova Oggettività – che per primo Emilio Bertonati promosse e fece conoscere alla cultura italiana agli inizi degli anni Sessanta attraverso la Galleria del Levante, nelle sedi di Milano e di Monaco di Baviera – che ha delle tinte più lugubri, austere, anche se il rimando è evidente; essa è a sua volta divisa tra aree più classiche e vicine alla sensibilità italiana (i pittori di Monaco, come Heinrich Maria Davringhausen, messo a confronto con un’opera di Carrà con un risultato impressionante e Christian Schad) e aree più radicali e rivoluzionarie (gli artisti berlinesi), ma anche con i realismi che emergono in Olanda così come in Unione Sovietica, negli Stati Uniti come in Francia, in una generale riconquista dell’arte come mimesis della realtà, ma inevitabilmente attraversata dalle inquietudini esistenziali e ideali del Novecento. Certamente una mostra raffinata, Imperdibile.
A cura di Ilaria Guidantoni