La Corte d’Appello di Milano ha accolto il reclamo di J-Invest nei confronti di Genia spa, società multiservizi controllata del Comune di San Giuliano Milanese, dichiarata fallita nel 2015 (si veda qui la sentenza di fallimento) con un passivo da oltre 40 milioni di euro. La pronuncia della Corte (si veda qui il decreto della Corte) è arrivata dopo l’udienza che si è tenuta il 28 ottobre scorso e annulla il provvedimento di omologa del concordato fallimentare di Genia.
Quella di Genia è una lunga storia con pesanti risvolti giudiziari. Il crack di Genia aveva portato infatti all’accusa di bancarotta fraudolenta per l’ex sindaco Marco Toni e per l’allora presidente della società, l’esperto accademico di energia e ambiente Roberto Fazioli, e all’accusa di bancarotta semplice per altri 13 indagati. Tutti però assolti nel luglio 2020 (si veda qui Il Giorno). Resta ancora in sospeso lo stralcio del procedimento per la controllata Genia Energia srl, dichiarata a sua volta fallita nel 2012, per il quale sono imputati solo l’ex presidente Fazioli e due membri del Cda.
Ricordiamo che J-Invest, società specializzata in investimenti e gestione di crediti in sofferenza ammessi al passivo di procedure concorsuali, guidata da Jacopo Di Stefano, aveva aperto la battaglia con il Comune di San Giuliano Milanese la scorsa primavera, perché il concordato fallimentare proposto risultava molto punitivo per i creditori e J-Invest evidenziava un vizio nelle modalità di conteggio dei voti espressi dai creditori del fallimento, oltre che una carenza di informazioni ai creditori concorsuali, tanto nella proposta di concordato quanto nel parere espresso al riguardo dal curatore (si veda altro articolo di BeBeez).
La società guidata da Di Stefano agisce in qualità di mandataria dei veicoli di cartolarizzazione NPL Securitisation Italy spv srl e NPL Securitisation Europe spv srl, titolari di un totale di 13,26 milioni di euro lordi di crediti, che rappresentano circa il 70% dei crediti inseriti nella III° classe. J-Invest attraverso i due spv di cartolarizzazione, aveva acquistato i crediti verso Genia dai cedenti originari in tre diverse tranche: nel dicembre 2015 da BNP Paribas, nel dicembre 2017 dall’allora Bpm e nel dicembre 2020 da Crédit Agricole.
Come riassunto dal decreto della Corte d’Appello, infatti, il Comune metteva a disposizione della procedura l’importo 5,7 milioni di euro da utilizzare insieme all’attivo fallimentare di circa 2,56 milioni, con il piano che si proponeva il soddisfacimento integrale delle spese della procedura, dei crediti in prededuzione, dei privilegiati e del credito ipotecario di Fino 1 Securisation srl (l’spv della prima grande cartolarizzazione di Npl di Unicredit, condotta nel 2017, si veda altro articolo di BeBeez), mediante il ricavato della vendita dell’immobile ipotecato, fatto salvo il soddisfacimento nella misura del 13% per il credito residuo insoddisfatto in conformità a tutti i chirografari.
A quel punto Fino 1 Securitization, J-Invest e il creditore Fallimento Genia Energia srl, insieme rappresentativi del 79,9% del totale dei crediti ammessi al voto, avevano votato contro il concordato, ma il giudice allora aveva comunque approvato la proposta di concordato perché “tra i creditori della III classe – composta dagli altri creditori chirografari, tempestivi e tardivi – non sono pervenute valide dichiarazioni di dissenso, non potendosi ritenere tali i dissensi espressi dai cessionari o mandatari delle banche, in mancanza di un accertamento giudiziale della titolarità dei crediti“. J-Invest e Fino 1 avevano allora proposto opposizione, ma il giudice aveva respinto le opposizioni e omologato il concordato lo scorso luglio. Da lì il ricorso in Corte d’Appello da parte di J-Invest.
Il tema principale del contendere è il fatto che l’attivo del fallimento è composto, tra l’altro, da immobili il cui presumibile valore di realizzo è pari a 50 milioni di euro, anche perché si tratta di beni produttivi di redditi significativi, derivanti da contratti di locazione attualmente ancora in essere (case popolari, scuole e impianti sportivi). Ove realizzato, dice J-Invest, quel patrimonio porterebbe a soddisfare l’intero ceto creditorio, considerato l’ammontare del passivo, al netto dei riparti, pari a euro 43,3 milioni di euro circa.
Nella realtà la disamina della Corte, che ha portato all’annullamento del decreto di omologa del concordato, si è invece concentrata su un punto di diritto molto tecnico, che è stato però dirimente e cioé la disciplina dettata dall’art. 127 della Legge Fallimentare, riguardo ai creditori legittimati ad esprimere il voto sulla proposta di concordato fallimentare. L’ultimo comma di quell’articolo dispone infatti che i trasferimenti dei crediti avvenuti dopo la dichiarazione di fallimento non attribuiscono diritto di voto, salvo che siano effettuati a favore di banche o altri intermediari finanziari. Sulla base di un’interpretazione restrittiva di quel comma, il Tribunale aveva quindi escluso le società veicolo di cartolarizzazione, perché non si tratta di soggetti iscritti nell’elenco previsto dall’art. 106 TUB . Per contro, la Corte d’Appello ha detto chiaro che “ancorare la categoria che la norma definisce ‘intermediari finanziari’, ai soggetti iscritti all’albo della Banca d’Italia secondo la regolamentazione dettata all’art. 106 TUB, escludendo dai creditori ammessi al volto le società di cartolarizzazione, appare dissonante rispetto alla ratio ispiratrice dell’art. 127 co. 7 l. fall“.
In particolare, dice ancora la Corte, “escludere dal voto le SPV significherebbe impedire la fattiva partecipazione al concordato fallimentare proprio dei soggetti che professionalmente si occupano del mercato dei crediti deteriorati, andando così contro corrente rispetto a quella che è, all’evidenza, l’intenzione del legislatore sottesa sia alla norma fallimentare che all’intero assetto regolamentare delle cartolarizzazioni”.
Detto questo, conclude la Corte, “considerato che hanno espresso il dissenso alla proposta creditori chirografari per complessivi euro 13.259.964,40, pari al 70% dei chirografari ammessi alla III classe, e il Fallimento Genia Energia srl, rappresentativo dell’86% dei crediti della II classe, non vi sono le maggioranze richieste dall’art. 128 l. fall. per considerare il concordato approvato (senza contare il voto negativo espresso da Fino 1 Securisation che non ha impugnato il provvedimento del Tribunale). Per queste ragioni il decreto di omologazione del concordato fallimentare deve essere annullato e gli atti rimessi al Tribunale per il rinnovo delle operazioni di voto”.