TIM ha firmato lo scorso sabato 2 aprile un accordo di riservatezza con CDP Equity per avviare le interlocuzioni preliminari riguardanti l’eventuale integrazione della rete di TIM con la rete di Open Fiber, di cui Cdp Equity detiene il 60% del capitale sociale, con il resto in mano a Macquarie infrastructure dallo scorso dicembre 2021 (si veda altro articolo di BeBeez). Lo ha comunicato il gruppo tlc, su richiesta della Consob, precisando che l’accordo è funzionale ad avviare negoziazioni con l’obiettivo di addivenire alla stipulazione indicativamente entro il 30 aprile di un protocollo di intesa (memorandum of understanding) volto a definire gli obiettivi, il perimetro, la struttura e i principali criteri e parametri di valutazione relativi al progetto di integrazione (si veda qui il comunicato stampa).
Ricordiamo che Open Fiber gestisce la più grande rete italiana FTTH, servendo più di 12 milioni di famiglie in oltre 180 centri urbani e più di 2.300 aree rurali in tutto il Paese. Inoltre guida anche la diffusione della banda larga ultraveloce in tutta Italia. Basata a Milano, lo scorso dicembre ha varato il nuovo piano industriale 2022-2031, che prevede circa 11 miliardi di euro di investimenti per la copertura con rete di ultima generazione di circa 24 milioni di unità immobiliari (UI) dagli oltre 13 milioni di UI attuali e a supporto della crescita della base clienti, in coerenza con il target di piano che prevede il raggiungimento dell’obiettivo di take up al 50%. Tali investimenti saranno coperti dall’estensione del financing a 7,175 miliardi di euro, dall’equity e dalla generazione di cassa. A fine piano si prevede una marginalità superiore al 75%, con oltre 2 miliardi di euro di ricavi. Il break even (ebitda al netto degli investimenti) è previsto al 2026.
Il tutto senza contare però gli effetti di un’integrazione con la rete di TIM. Ricordiamo, infatti, che da tempo la vicenda di Open Fiber si intreccia con quella di FiberCop, la nuova società in cui sono confluite la rete secondaria di TIM (cosiddetto ultimo miglio, dalla cabina in strada alle abitazioni) e la rete in fibra sviluppata da FlashFiber, la joint-venture di TIM (80%) con Fastweb (20%) e nella quale nell’aprile 2021 il fondo KKR Infrastructure ha acquisito il 37,5% investendo 1,8 miliardi di euro, sulla base di un enterprise value di circa 7,7 miliardi di euro, mentre Fastweb ha ottenuto il 4,5% in cambio dell’apporto della sua quota di FlashFiber (si veda altro articolo di BeBeez). L’ingresso di KKR e Fastweb nel capitale di FiberCop è sempre stato considerato il primo passo verso la realizzazione di un più ampio progetto di costituzione di una società unica della rete nazionale, necessaria per lo sviluppo del digitale in Italia, che avrebbe dovuto coinvolgere OpenFiber.
Peraltro, i consigli di amministrazione di TIM e di Cassa Depositi e Prestiti già nell’agosto 2020 avevano approvato una lettera d’intenti tra TIM e Cdp Equity finalizzata a integrare FiberCop con OpenFiber per dare vita ad AccessCo, società aperta anche ad altri investitori e destinata a gestire la rete unica nazionale. AccessCo doveva essere costituita mediante la fusione tra FiberCop e Open Fiber (si veda altro articolo di BeBeez). Ma poi quella lettera d’intenti era rimasta nel cassetto.
Che il progetto stesse avendo un’accelerazione, però, era chiaro da qualche giorno. In particolare, la scorsa settimana, in occasione del suo intervento al Bloomberg Italy Forum, Francesco Giavazzi, consigliere economico della presidenza del Consiglio, aveva detto: “La rete unica è uno degli obiettivi del governo e succederà”. La conferma di una stretta sul progetto era arrivata anche da Cassa depositi e prestiti. L’amministratore delegato Dario Scannapieco aveva detto infatti: “Una duplicazione degli investimenti sulla rete non ha senso dal punto di vista industriale. Monitoriamo attentamente l’evoluzione di un settore strategico per l’Italia” (si veda altro articolo di BeBeez).
Intanto oggi è atteso il deposito dell’offerta vincolante da parte di KKR su TIM, così come richiesto dal Consiglio di amministrazione del gruppo tlc nella lettera di risposta inviata nei giorni scorsi al colosso del private equity Usa, a sua volta in risposta alla lettera che lo stesso fondo aveva inviato pochi giorni prima, che aveva chiesto l’apertura della due diligence e confermato l’interesse per l’intera TIM, ma che non aveva chiarito come richiesto se l’entità dell’offerta messa sul tavolo a novembre fosse rimasta la stessa, cioè circa 11 miliardi di euro di equity value per il 100% di TIM al prezzo di 0,505 euro per azione, pari a un enterprise value di circa 33 miliardi. L’offerta vincolante sarà poi oggetto di discussione nella prossima riunione del Cda di TIM fissata per giovedì 7 aprile, riunione che peraltro ci si aspetta discuterà anche l’offerta non vincolante pervenuta nel frattempo da CVC Capital Partners per il 49% della divisione Enterprise della newco ServCo, che sarà costituita in base al piano dell’ad Pietro Labriola (si veda altro articolo di BeBeez).