Lo scrittore e sceneggiatore Ivan Cotroneo debutta in teatro, la regista Andrèe Ruth Shammah mette in scena La Maria Brasca di Testori, l’americano John Logan racconta i tormenti creativi del pittore Mark Rothko interpretato da Ferdinando Bruni e Lorenzo Balducci svela i retroscena del mondo dello spettacolo in una stand-up-comedy.
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Poliedrico è un aggettivo che ben gli si attanaglia: scrittore (Cronaca di un disamore), sceneggiatore per il cinema (Chimera di Pappi Corsicato, Io sono l’amore di Luca Guadagnino, Mine vaganti di Ferzan Ozpetek) e anche regista (La kryptonite nella borsa, Il natale di una mamma imperfetta e Un bacio), traduttore di Hanif Kureishi e Michael Cunningham, autore di 14 format per la televisione (Tutti pazzi per amore, La compagnia del cigno), nel curriculum di Ivan Cotroneo mancava solo l’esperienza di autore e regista teatrale che però ha provveduto a colmare. Amanti è un testo che, come da titolo, parla di fedeltà e tradimento, sensi di colpa, desiderio di dare una svolta a relazioni ormai stanche, insomma tutto quello che gravita intorno alla galassia dell’amore. Tema che più volte Cotroneo ha esplorato nelle sue diverse sfaccettature etero e omosessuali, sempre con notevole sensibilità ed empatia, fuggendo dagli stereotipi che ancora affliggono certo cinema e certa tv. Giulio e Claudia sono entrambi in terapia della stessa piscoanalista, la severa dottoressa Gilda Cioffi, che li segue sia individualmente che insieme ai rispettivi coniugi nel tentativo di salvare due matrimoni che sembrano essere ormai in piena crisi. In modo del tutto casuale s’incontrano prima e dopo le rispettive sedute e scatta la scintilla. Quella che sembrava rimanere una fugace avventura tra due persone sposate consumata in una stanza d’albergo, si trasforma invece in un’appassionata relazione clandestina non priva di problemi. Laura, la moglie di Giulio, è consapevole della profonda infelicità del marito e soffre di una morbosa gelosia mentre Roberto, marito di Claudia, attribuisce l’insoddisfazione della coppia alla mancanza di un figlio che da tempo stanno cercando di avere. Molta parte dell’azione si svolge nello studio della Cioffi, ovviamente ignara della storia nata tra i due pazienti che sembrano però restii ad abbandonare un collaudato ménage familiare e pensare a un futuro insieme. Il primo a cedere e rivelarle la verità è Giulio, deciso a lasciare moglie e tre figli per
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Claudia: il prezzo che entrambi devono pagare è, nel rispetto della deontologia professionale, la fine della terapia. Misteriose sono però le dinamiche della passione amorosa: al coraggio di Giulio si oppongono i sensi di colpa di Claudia che sembra non reggere più la pressione di una doppia vita nel momento in cui scopre di aspettare finalmente un bambino. Ma di chi sarà? Finale prevedibile ma non troppo che non possiamo spoilerare. A mettere in scena il suo testo si è cimentato lo stesso autore, per la prima volta nelle vesti di regista teatrale. “Non volevo fare il regista cinematografico o televisivo prestato al teatro, ma unicamente il regista teatrale. Scrivere per altri è diverso che scrivere per sé: questo testo l’ho ideato per parlare con il pubblico e spero d’instillargli magari qualche dubbio, che si faccia qualche domanda o che parteggi per uno dei personaggi i quali, pur se di fantasia, possono contribuire a cambiare il mondo. Il mio proposito è quello di raccontare ciò che penso dell’amore, inoltre ho fatto riferimento anche all’esperienza del mio percorso analitico fatto intorno ai 30 anni. I temi di Amanti mi appartengono da sempre: il confronto tra maschile e femminile, la rottura degli stereotipi di genere, la prepotente forza del sesso e ancora quella più devastante dell’amore hanno sempre avuto grande spazio nel tentativo di raccontare l’evoluzione della società e del costume attraverso le relazioni amorose.” Nella commedia, altalenante tra leggerezza e profondità, Giulio è Massimiliano Gallo che, con il suo indiscusso talento, ne accentua la dimensione comica, finendo talvolta col sovrapporsi a quelle che pensiamo fossero le linee guida del regista, ricorrendo talvolta all’improvvisazione ma conquistandosi più volte l’applauso a scena aperta, capace però anche di mettere in luce la notevole fragilità e dolcezza del personaggio (più vicino ai mezzi toni di quello nel Silenzio grande di Maurizio De Giovanni con la regia di Alessandro Gassmann): nell’insieme la sua è una performance che ne conferma la grande duttilità. Fabrizia Sacchi dà la giusta dose di passionalità, emotività e contraddizioni a Claudia, Orsetta De Rossi e Diego D’Elia sono i funzionali coniugi traditi e Eleonora Russo è un’efficace terapeuta che alterna rigore a pungente ironia. La scena di Monica Sironi è fissa e si divide tra lo studio dell’analista e la camera dell’hotel dove la coppia trascorre momenti di felicità, disappunto e tristezza. L’accattivante sottofondo musicale attinge ai successi senza età di Mina, Vanoni e Battisti. Amanti rimane in scena al teatro Manzoni di Milano sino al 26 febbraio.
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I personaggi femminili creati da Giovanni Testori (1923-1993) sono entrati nella storia del teatro italiano: Arialda e Gilda emergono dalle nebbiose periferie di una Milano degli anni sessanta, Gertruda e Lofelia sono mediate dall’Amleto di Shakespeare, Erodiàs e Cleopatràs escono dalla Storia, condividendo tutte un destino assai triste, schiacciate dalla povertà o emarginate dalla società, vittime dell’egoismo maschile o della loro stessa passione. Una sola di queste donne riesce a riscattare le altre: è La Maria Brasca di cui Marco Missiroli firmò la regia nel 1960 con Franca Valeri protagonista. A riportarla alla ribalta, spinta dallo stesso autore, nel 1992 è stata Andrée Ruth Shammah, dopo aver allestito, ancora giovanissima la sua Trilogia degli Scarrozzanti (Amleto, Edipus e Macbetto), chiamando a interpretarla Adriana Asti. “Lei è l’unica donna vincente di Testori” afferma la regista “ribelle con una sua energia: 27 anni, plebea non sottomessa, operaia in un calzaturificio che grida al mondo la sua passione per un uomo più giovane, lo difende, lotta per lui e alla fine vincerà. Di certo la Brasca è un alter ego di Testori che in quegli anni non poteva affrontare quello scandalo omosessuale che sarebbe scoppiato con L’Arialda.” Quest’ultima fu infatti bloccata dalla censura nel 1961 alla seconda rappresentazione a Milano (dopo aver però già totalizzato 50 repliche a Roma) a causa del personaggio di Eros, fratello di Arialda, gay e prostituto d’alto bordo, dichiaratamente innamorato del candido Lino. Maria si è invece invaghita dell’affascinante ma lazzarone Romeo Camisasca che la tradisce con una ragazza più
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giovane: la donna però non demorde, lotta e lo riconquista. “Testori non poteva mettere un uomo a innamorarsi di Romeo” aggiunge la regista “ma lo scandalo questa volta è sulla differenza d’età tra quest’ultimo e Maria: lei lo vuole a tutti i costi, rivendicando la sua libertà nei confronti dei benpensanti, ma con la precisa volontà di sposarlo e mettere su famiglia.” Shammah ripropone ora questo splendido testo (terzo capitolo del ciclo I segreti di Milano), affidando il ruolo della protagonista a Marina Rocco che ha già in passato diretto in Ondine, Gli innamorati e Casa di bambola, spesso partner sulla scena nei lavori di Filippo Timi e volto popolare anche al cinema (ora nelle sale in Tre di troppo) e in televisione. “La Brasca è una botta di salute, una donna che acchiappa l’aquilone della felicità che gira sulle nostre teste. Dietro, davanti e intorno a lei c’è la Milano che Testori ha amato, detestato, provocato, insultato, reso bestemmia e omelia.” A completare il cast ci sono Filippo Lai (il bel Romeo), Mariella Valentini e Luca Sandri. Scene di Gianmaurizio Fercioni e costumi di Simona Dandoni. Nel centenario della nascita di Testori e nel cinquantesimo della fondazione del teatro Franco Parenti, un simbolo della continuità è rappresentato dalla canzone Quella cosa in Lombardia, musica di Fiorenzo carpi, che Adriana Asti canta all’inizio dello spettacolo. In prima nazionale La Maria Brasca si replica al Parenti sino al 5 marzo, poi al San Giuseppe di Brugherio (7/3), all’Excelsior di Cesano Maderno (8/3), Sociale di Como (23/3) e al Manzoni di Pistoia (25-26/3).
Alla fine degli anni cinquanta Mark Rothko, maestro dell’espressionismo astratto, ottiene dal ristorante Four Seasons di New York la più ricca commissione nella storia dell’arte contemporanea: dovrà produrre una serie di
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Foto di Luca Piva © 2012
dipinti murali per decorarne le sale. Da questo spunto di cronaca prende spunto John Logan (sceneggiatore per il cinema di successi come The Aviator, Hugo Cabret e i due film della saga 007 Skyfall e Spectre, diretti da Sam Mendes) per la pièce Red che nel 2009 miete successi prima Londra e poi a Broadway, vincendo ben 6 premi Tony. Logan immagina che il maturo pittore venga coadiuvato nel monumentale lavoro dal giovane Ken, creando una sorta di controversa relazione padre-figlio, dove il pittore vuole sviluppare il talento dell’allievo mentre quest’ultimo avverte il bisogno di una figura paterna dopo che entrambi i genitori sono stati assassinati. Per il ragazzo è anche un’occasione per approfondire la poetica di Rothko, la sua visione del mondo, lo spinoso rapporto con la Pop Art e il collega Pollock, ma anche i suoi aspetti umani, come i ricordi della sua difficile infanzia. A lavoro pressoché ultimato, Ken contesta violentemente l’opera realizzata e mette in guardia il maestro circa il rischio della produzione seriale che gli farebbe perdere di vista la vera identità: ne nasce un prevedibile, feroce scontro anche generazionale che alla fine vedrà Rothko convincersi e risarcire il ristorante, rifiutando l’offerta, ritenendola non in sintonia con la sua abituale produzione. A questa sofferta decisione fa seguito quella di licenziare l’allievo, non come rivalsa ma per dargli modo di affermare il suo talento e intraprendere una propria carriera. Nell’accurata traduzione di Matteo Colombo, Red è ovviamente diventato Rosso, per la prima volta messo in scena nel 2012 da Francesco Frongia per il Teatro dell’Elfo. Lo stesso regista (che firma anche scene e costumi mentre le perfette luci sono di Nando Frigerio) lo riprende ora con gli stessi protagonisti, entrambi benissimo calati nei rispettivi ruoli: Ferdinando Bruni (Rothko) e Alejandro Bruni (Ken). Il primo, lui stesso anche pittore, dipinge dal vivo tra considerazioni sulla sacralità dell’arte e sul percorso di meditazione che il fruitore dell’opera dovrebbe intraprendere. Rosso è all’Elfo Puccini di Milano sino al 12 marzo.
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Lorenzo Balducci è entrato a far parte della nutrita schiera di artisti che stanno rendendo popolare la stand-up-comedy (tipico genere del teatro angloamericano) anche in Italia, ma il pubblico lo conosce sin da quando, ancora molto giovane, ha mosso i primi passi nel cinema con Pupi Avati (I cavalieri che fecero l’impresa e Il cuore altrove) e in seguito con Krzysztof Zanussi (Il sole nero) e André Téchiné (I testimoni), senza dimenticare tra i tanti Good as you – Tutti i colori dell’amore, commedia lgbt diretta da Mariano Lamberti e Gli anni amari di Andrea Adriatico. Le fiction tv (Solo per amore, Medici, Don Matteo) ne accrescono popolarità anche grazie alla sua costante presenza sui social. A teatro lo ricordiamo in Spoglia-toy di Luciano Melchionna e appunto nella stand Allegro non troppo di Mariano Lamberti (anche regista) e Riccardo Pechini che nel 2021 ha debuttato in prima nazionale nell’ambito del festival Lecite Visioni al teatro Filodrammatici di Milano. Lorenzo ha con coraggio messo alla berlina stereotipi a cui anche la comunità lbgtq+ non sfugge, autoreferenzialità e omologazione, oltre a farci partecipi del suo coming out, gli scandali familiari e l’uscita dalle dipendenze. Squadra vincente non si cambia: eccolo quindi ancora insieme a Lamberti e Pechini per Fake. Qui con il suo inconfondibile registro che alterna serio, ironico e faceto ci conduce attraverso il pittoresco mondo dei provini, dei set televisivi, gli immancabili capricci delle “dive”, ma anche la vita precaria dei giovani attori che, in mancanza di solide raccomandazioni, rimangono relegati in fiction di quart’ordine, senza per questo rinunciare ai loro sogni e cambiare lavoro. E’ anche un invito a riflettere su quello che ci è rimasto di autentico e spontaneo, impegnati come siamo a “recitare” noi stessi sui social, creandoci vere e proprie identità fittizie da mostrare al mondo. Come sempre non mancano riferimenti alla suo percorso umano e professionale, con luci e ombre, con tante porte chiuse dopo il suo coming out e le problematiche in famiglia: da qui la necessità, supportata dalla caparbia volontà, di ripartire da zero. Ci è riuscito alla grande. Fake rimane all’Ecoteatro di Milano sino al 19/2, poi al teatro Erba di Torino (21/2) e alla Limonaia di Sesto Fiorentino (25/2).
a cura di Mario Cervio Gualersi