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Alla Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea di Arezzo una mostra organizzata dalla Fondazione Guido d’Arezzo con il Comune di Arezzo, in collaborazione con Fondazione Archivio Afro e Magonza, a cura di Marco Pierini con il coordinamento scientifico di Alessandro Sarteanesi, fino al 22 ottobre 2023, dedicata al pittore friulano Afro Basaldella (1912-1976).
Molto bella la sede che condivide una parete a vista con la Chiesa adiacente di San Francesco, un allestimento raffinato e di grande luminosità, soave come la pittura di Afro. L’esposizione ha il merito di mostrarci il percorso di un artista noto che conosciamo soprattutto per l’ultima parte della sua attività, dedita ad un astrattismo dal tratto morbido e veloce.
«Dimentica i pieni, cioè le figure, e osserva la perfezione delle forme dei vuoti. Impara a leggere i quadri antichi prescindendo dalla figura e imparerai a trovare gli stessi valori nei quadri moderni che all’apparenza non hanno un rapporto naturalistico». Partendo da questa dichiarazione dello stesso Afro di fronte alle opere di Piero della Francesca, l’esposizione è volta a indagare i rapporti tra Afro, la pittura classico-rinascimentale e i grandi maestri del passato, focalizzandosi in particolar modo sulla tematica della pittura murale, che occupa una posizione privilegiata nella produzione di Afro e che costituisce per molti aspetti ancora una ricerca inedita sull’artista. Gli spazi della Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea di Arezzo, adiacenti appunto la Chiesa di San Francesco – che conserva il famoso ciclo delle Storie della Vera Croce di Piero della Francesca e che costituisce la prima tappa e la premessa alla mostra di Afro – ospitano un raffinato percorso di lavori appartenenti a una delle stagioni più interessanti dell’arte di Afro, che si riteneva un «pittore classico» e che, nel superamento del confine tra astrazione e figurazione – per lui non c’era una netta distinzione – rielaborò il tonalismo veneto, la luminosità e le trasparenze del Tiepolo, i volumi del Mantegna, la spazialità e l’impassibile razionalità pittorica di Piero della Francesca.
Un video delle teche Rai ben scelto dal curatore mostra l’amico oltre che critico Cesare Brandi che racconta come Afro fosse scevro da ghiribizzi ed estrosità tipiche degli artisti, rendendone più difficile il racconto. Il pittore infatti mostrava un'”inflessibile linea di condotta che non va mai al di là di una certa oscillazione”, come potremmo dire di Giorgio Morandi. Una persona tranquilla che credeva nell’amicizia, come quella con l’artista Alberto Burri.
La prima parte della sua formazione che fece da humus per la sua stessa evoluzione fu figurativa con un’ispirazione che ricorda in particolare Bruno Cagli – influenza che si nota ad esempio ne Il ciclo delle stagioni, in particolare l’estate – e per il tratto fluido Mario Mafai, l’artista della Scuola Romana che amava particolarmente. Segue poi il periodo dei paesaggi estremamente liquidi dove le macchie di colore danno una trasmissione cromatica attraverso il filtraggio della luce che rappresenta la sua cifra stilistica.
Nella seconda parte della sua ricerca si avvicina prima al Cubismo analitico ammorbidendo poi il tratto geometrico per renderlo più libero. Interessante è però la sua capacità di disegnatore che si evince dalle sue tele e che ne mostrano il rigore anche quando la figurazione si perde in senso tradizionale, come nelle sovrapposizioni architettoniche di alcune opere in mostra.
Altro aspetto singolare riguarda i titoli poetici, suggestioni non legate al quadro come una didascalia, che riflettono la sollecitazione che accoglieva della bellezza della vita. Essi inseriscono i luoghi dove nascono le opere come ne Il castello, che mostra il suo attaccamento al Friuli e a un luogo che oggi non esiste più dopo il terremoto. A dire il vero nel periodo figurativo la corrispondenza è più frequente come ne Il ragazzo con il tacchino, sebbene in generale l’aggancio sia soprattutto con il vissuto personale del pittore nel periodo nel quale dipinge l’opera. D’altronde Afro disegnava di memoria, in scioltezza, un po’ di più o è Degas e potevano passare anche dieci anni come nel caso dell’opera intitolata L’isola d’Elba.
Il percorso
Muovendosi attraverso nuclei originali di ricerca, il percorso inizia con i primi disegni di Afro, appartenenti agli inizi degli anni Trenta, e ispirati a Rubens, El Greco, Velázquez, e con le sue pitture d’esordio, tra queste il Cristo morto da Mantegna, una delle opere provenienti da Casa Cavazzini di Udine (che conserva inoltre un importante ciclo di affreschi di Afro), sorprende per la cura e la drammaticità livida.
Particolarmente coinvolgente e scenografica la sezione in mostra che approfondisce l’intervento di Afro per i lavori dell’Eur a Roma, anche attraverso video, documenti, fotografie e riviste. Tra i prestiti dell’Archivio Centrale dello Stato e di Eur S.p.A. i grandi cartoni preparatori (di altezza 6 metri ciascuno), rappresentanti le Scienze e le Arti, insieme al prezioso bozzetto preparatorio per Le attività umane e sociali, risalgono la genesi dell’opera che era stata progettata dall’artista per il Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi del complesso architettonico dell’E42 di Roma. I cartoni preparatori in mostra, grazie al contributo di Magonza, con la Galleria dello Scudo di Verona, sono stati oggetto di restauro. Di rilievo internazionale la presenza inoltre dei dipinti, tra cui il Ciclo delle Stagioni, che arrivano dal Comune di Rodi, e che saranno esposti per la prima volta in assoluto, grazie anche all’intercessione dell’Ambasciata d’Italia ad Atene. Afro si recò nell’isola di Rodi con Cesare Brandi nel 1938 e lì realizzò due cicli decorativi tematicamente differenti ma stilisticamente affini, presso la Villa del Profeta e il Grande Albergo delle Rose. Una profonda ricerca d’archivio, insieme alla stretta collaborazione internazionale tra il Comune di Arezzo, gli organizzatori e il Comune di Rodi, il Museum of Modern Greek Art di Rodi e l’Ambasciata hanno reso possibile di rintracciare le opere di Afro e mostrarle per questa occasione.
Il linguaggio di Afro
Il passaggio al linguaggio astratto e informale di Afro è testimoniato dalla Fondazione Archivio Afro che, attraverso il prestito di opere, bozzetti e documenti provenienti da Parigi, permetterà anche di ricostruire nella parte finale della mostra la vicenda legata alla realizzazione del grande murales dipinto da Afro per la sede dell’UNESCO nella Capitale francese nel 1958, il quale sancisce, in relazione alle altre opere in esposizione, una nuova stagione della ricerca artistica del pittore, che si svilupperà tra gli anni Cinquanta e Settanta, e che è rappresentata nei più grandi musei del mondo (MoMA, Guggenheim di New York, Pompidou di Parigi, solo per citarne alcuni), recentemente oggetto di un approfondimento specifico nella mostra Afro 1950-70.
Dall’Italia all’America e ritorno, a cura di Elisabetta Barisoni ed Edith Devaney, a Venezia a Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna, in collaborazione con Magonza.
Interessante infine nel video soffermarsi sulla mostra realizzata dal 10 febbraio al 9 aprile 1978, a due anni dalla morte di Afro, alla Galleria Nazionale d’arte Moderna di Roma dove si realizzò una grande retrospettiva con 100 quadri in un unico ambiente disposto come una quadreria come si usa a nel Cinquecento e Seicento, in modo da evidenziare il percorso storico di Afro consentendo al visitatore altresì un confronto filologico diretto tra le diverse opere girando semplicemente gli occhi.
Il catalogo
Ad accompagnare l’evento espositivo, un volume in doppia edizione (italiano / inglese), edito da Magonza, e curato da Marco Pierini e Alessandro Sarteanesi – con contributi di William Cortès Casarrubios, Vania Gransinigh, Francesco Innamorati, Luca Nicoletti, Marco Pierini, e un ricco apparato fotografico realizzato da Michele Alberto Sereni che documenterà l’allestimento della mostra – sarà presentato ad Arezzo il giorno 24 giugno 2023.
a cura di Ilaria Guidantoni