Claudio Milano’s End Friends (La bobina di Tesla) è uscito con ManifestAzioni Live 2011-2023. Il disco live di un cantante e interprete di voce estesa uscito lo scorso 19 maggio per Music Force, un’opera titanica, profonda, articolata, per palati fini. Una sorta di teatro/voce in un’accezione da “interprete” di perfoming arts per due ore di musica registrata tra Italia tutta e Francia tra il 2011 e il 2023, in una selezione di registrazioni su traccia unica, tra centinaia di quelle fatte. Sono tanti progetti in uno, sintetizzabile dicendo che è lo stesso spirito libertario alla ricerca di qualcosa di poco definibile. Vi troviamo folk, rock, avanguardie, elettronica, ambient, jazz fusion, classica antica; accanto a musiche dal Medioevo ai giorni nostri con grande passione per quel Novecento -e primi vent’anni scarsi in classica e jazz dei 2000 – che è finito in un cassetto come qualcosa di scomodo e da dimenticare, nella presunzione di una linearità di progresso e storia che di fatto è la più grande menzogna del mondo contemporaneo. È un album da “sfogliare”, non solo da ascoltare (l’edizione ultra-limitata prevede un photobook). Nessun brano, tranne Amanti in Guerra, qui scelto è stato esposto nei live precedenti dell’interprete e la quasi totalità di queste incisioni non avrà un corrispettivo in quanto a future pubblicazioni in studio. Anche in termini linguistici è particolare perché le lingue cantate sono l’italiano moderno e medievale, il tedesco, il latino, il greco, il francese antico dalla pronuncia distante da quella odierna, il gaelico, la lingua friulana contemporanea e patriarchina, il dialetto siculo, il grammelot. Il tutto tra testi originali e citazioni rimescolate dalle penne, tra gli altri, di Dante Alighieri, Leo Zanier, Bertolt Brecht/Kurt Weill, Nikolai Rainov, Giuseppe Ungaretti, Derek Jarman, Alan Bennett, Conon de Béthune, Franco Battiato.
Un lavoro non solo non commerciale, ammiccante ma di ricerca e molto coraggioso anche per la lunghezza in tempi nei quali la musica è breve, troppo breve, anche perché passa come una meteora.
Infine un parterre di compagni di viaggio nobile: Giovanni Floreani con Strepitz Open Project, Gian Paolo Tofani
Krsna Prema Das e Ares Tavolazzi (Area Open Project), Walter Calloni, Vincenzo Zitello, Evaristo Casonato, Raoul Moretti, Marco Tuppo, Ermes Ghirardini, Luca Casiraghi, Paolo Viezzi, Cristina Sybell Spadotto, Gerardo Ferrara, Eugenioprimo Saragoni, Giulia Zaniboni, Francesca Badalini, Andrea Grumelli, Luca Casiraghi e Arrington De Dionyso degli Old Time Relijun.
Lo abbiamo raggiunto per saperne di più.
Come nasce questo lavoro?
“Questo lavoro nasce con la parabola del ‘serve qualcosa di più’ e del ‘non basta ancora’. Nel 2011 organizzai per conto dell’etichetta Lizard di Loris Furlan e in occasione del quindicesimo della label un evento in collaborazione col Bloom di Mezzago. A me come a Loris sarebbe bastato invitare artisti vari della “scuderia” ma chi organizzava lì gli eventi, attualmente alla guida del Live di Trezzo, voleva “qualcosa di più”. Nonostante in quegli anni ci fosse una band che eseguiva regolarmente il repertorio di Danny Elfman e delle sue colonne sonore per Tim Burton, ricadeva un qualche anniversario che riguardava il regista statunitense e si decise di organizzare un evento dedicato a band della Lizard, ma anche una serata con bodypainters, videomakers, danzatori, attori, pittori informali, cosplayers, a creare un filo conduttore con l’immaginario gotico dell’autore di Edward Mani di Forbice. Ogni band scelse un pezzo da una colonna sonora burtoniana da reinterpretare per l’occasione e dei performer con cui interagire (complessivamente eravamo più di cento a salire e scendere dal palco). Fu offerto non più di un quarto d’ora di cambio palco e nel mentre dei musicisti elettronici creavano soundscapes e drones in contemporanea alla proiezione di video-arte realizzata per l’occasione. Siccome anche questo “non bastava” – per fortuna poi l’affluenza di pubblico fu veramente alta – mi prodigai per invitare gli Area Open Project (la formazione degli Area con alcuni membri che l’hanno formata e hanno dato forma alle massime creazioni del progetto) con Paolo Tofani, Ares Tavolazzi e Walter Calloni (che suonò la batteria nel magnifico Maudits/Maledetti del 1976), Vincenzo Zitello e Paolo Carelli dei Pholas Dactylus, leggenda metropolitana della beat generation lombarda, oltre che lettore in uno degli album più oscuri dei 70, Concerto delle Menti, primo disco italico non cantato ma declamato, ad aprire le porte a CCCP e Massimo Volume. Tirai in mezzo anche chi poteva registrare a piste separate i singoli musicisti e si realizzò un master con una selezione di brani dalla serata e il progetto grafico ma…Il disco che si doveva pubblicare Loris decise di non farlo uscire per cause mai chiarite alle band coinvolte. Amareggiato dalla cosa, ma soprattutto assai contento di quello che avevo prodotto con le mie band quella sera (NichelOdeon e InSonar) e con le varie collaborazioni che andai ad instaurare su palco (presentavo anche la serata), decisi che avrei pubblicato subito alcune cose (tra il 2012 e il 2013 per l’esattezza, nei CD NO e Neve Sporca) e che quelle che non riuscivo a relazionare direttamente ai miei progetti di cui sono fondatore le avrei tenute nel cassetto in attesa di un disco che avrebbe raccontato i miei dieci anni su palco a partire da allora. Ho accumulato centinaia di registrazioni da mixer a traccia unica ma con buona risoluzione (poi diventata ottima grazie al lavoro di Paolo Siconolfi e alle sue ricerche appresso all’intelligenza artificiale applicata al restauro del suono). Poi… c’è stata la pandemia a bloccare tutto, concerti preorganizzati inclusi. Ho approfittato di due anni passati in un appartamento a Milano vicino al celebre “boschetto” per selezionare le registrazioni da cinque hard disk esterni. Ho iniziato a percepire il tempo che mi sfuggiva di mano, la percezione spazio-tempo e soprattutto l’idea di “evoluzione continua e irrefrenabile” come una balla colossale. Ho messo in discussione tutto della mia vita relegandomi ad una condizione di isolamento quasi assoluto. Ascoltavo registrazioni come a capire che avrei fatto della mia vita e dove c’era in quelle registrazioni “vita”, dove invece c’era solo mestiere, assenza di invenzione.
Avevo un album in studio pronto dal 2019, INCIDENTI-Lo Schianto, che sapevo sarebbe stato recepito in modo disastroso perché tratta i piani di percezione legati alla polifonia classico-contemporanea e non si poteva andava in stampa (ci son riuscito nel Settembre del 2021), così tutti i miei slanci si sono ridotti ad un rapporto quasi autistico col mondo e con la realtà; tant’è che in breve tempo sono andato a vivere in una canonica e dunque dai signori dello spaccio di droghe varie sotto casa, all’odore delle chiese, che sanno di varichina e incenso, di fiori un po’ andati, di muffa e umidità.
A mettere benzina su fuoco sono stato chiamato a lavorare come insegnante di sostegno – è il musico e drammaterapista, come mi compete, che in realtà poi ho fatto- e mi è stato affidato un ragazzino con una storia che neanche Stephen King poteva partorire, autistico ad altissimo funzionamento fissato con l’origine di Dio, del linguaggio, della parola e della descrizione concettuale (in modo cinese quale lui era e dunque “pratica”, rapida, laconica), divenuto schizofrenico molto precoce per gli abusi subiti sin da bambino in quanto “canfei” (Senza Valore). Per alcuni versi la sua storia mi ricordava la mia e ho accettato immediatamente. D.Y.R., dove peraltro a seconda degli umori della famiglia (evangelista) D. diveniva due nomi diversi… roba da far impallidire l’intonaco…Lui è riuscito a “farmi capire Dio”, io credo per lui di essere stato solo un intrattenitore in una configurazione del tempo che forse non ho manco intravisto. Ad ogni modo la famiglia ne ha fatto sparire le tracce e lui mi ha lasciato qualche magnifico disegno (uno dei quali sarà copertina di un mio prossimo vinile), qualche centinaio di improvvisazioni fatte assieme sull’organizzazione di patterns ritmici alternati e su improvvisazioni vocali sulla scala orientale. Finito di lavorare con lui mi sentivo vuoto, ho perso completamente ogni fiducia nelle istituzioni, ho ripreso le repliche di uno spettacolo su L’Inferno di Dante basato sulla sonorizzazione dell’abusatissima pellicola muta del 1911 su proposta di Francesca Badalini e Andrea Grumelli (I Sincopatici, ma anche membri del mio progetto NichelOdeon) a cui si è aggiunto Luca Casiraghi. Una sonorizzazione alquanto atipica perché non legata solo al commento sonico ma anche a declamazione teatrale da teatro-voce d’avanguardia (Bene, Rezza, Manfredini, Arrigoni) e a performance da teatro altamente fisico (con maschere, costumi e azioni) nel definire una sinestesia da Factory estranea a quel legame onomatopeico/didascalico tra arti che oggi si attribuisce a quella porcata della “multimedialità”. Uno spettacolo che lascia più domande che appagamento, che nasce assieme a chi vi assiste e con esso si sviluppa.
La mia voce ha ripreso confidenza giornaliera con l’impostazione lirica grazie alla mia partecipazione all’opera di video-arte Pietas di Marcantonio Lunardi (in questi giorni in India e in Finlandia) e con l’aria The Cold Genius Song (H. Purcell) mi sono presentato alle audizioni dell’Orchestra Sinfonica di Milano che mi ha portato a cantare Beethoven e Benjamin Britten.
Alla fine ho capito che avevo il materiale che bastava per definire quel CD dei “dieci anni + due rubati dalla pandemia” e sono voluto andare in stampa immediatamente. Insomma, mi son detto io “basta”, anche se ho qualche dubbio chi lo ascolterà sarà sempre della stessa idea, lunghezza a parte del disco parlo di “valore” e per molti anch’io sono “canfei” come D.Y.R. In mezzo a ciò (tra la serata al Bloom del 2011 e le recenti repliche de L’Inferno) è accaduto di tutto ovviamente… Un peregrinaggio in giro per l’Italia come busker e come professionista in ambiti diversi con la musica a fare da collante, un tour europeo con gli Strepitz di Giovanni “Vanni” Floreani e assieme all’amico Paolo Tofani, a cui l’album è dedicato, tra Francia (un brano del CD è stato registrato a Belfort, in Alsazia), Croazia, quella Belgrado che oggi è un’altra volta fiancheggiatrice di orrori… Qui dunque c’è tutto questo, nel disco della “dispersione”, dal quale però ho voluto sempre trarre un filo conduttore essenziale. C’è la strada e le stelle bellissime sotto le quali ho dormito, c’è l’idea di una vita vissuta sul momento, la voglia di camminare tanto e correre, di conoscere posti, culture, lingue nuove legate da un unico tramite: la spiritualità che è il legame tra piedi nudi e occhi che guardano sempre in alto. Ovviamente di merda ne ho pestata tantissima.”
Qual è la filosofia e l’idea che c’è dietro?
“Il primordiale che diviene “ancestrale”, memoria che non può essere spiegata, l’ho detto prima, i piedi sporchi che danzano, il corpo che si rotola a terra e gli occhi sempre volti al cielo. Per me musica è catarsi, non mi diverte, mi libera da demoni o mi fa danzare con essi. È capire lo spazio in cui direzionare il suono, il modo in cui farlo risuonare attraverso il corpo e nell’aria.
Poi talvolta arrivano anche la dolcezza, il sorriso estatico, ma mi fa schifo il divertimento inteso in modo volgare, carnascialesco, ha un che di distruttivo ed è stato sempre il dono fatto dai potenti alla gente più rozza per farla divertire un giorno e marchiarla a morte col terrore tutti quelli a seguire.”
Musica che diventa racconto, una rappresentazione teatrale senza scena che sembra attingere molto dalla musica antica sacra: quali sono le principali fonti di ispirazioni?
“Dici bene, il rito sacro, senza alcuna preclusione di latitudine e tempo. Mi interessa portare nella mia drammaturgia qualcosa che non ha nulla che vedere con la popular music contemporanea e per il teatro a cui praticamente sempre mi tocca assistere. I primi padri putativi che adesso mi vengono in mente sono Carmelo Bene, l’Azionismo Viennese, il Teatro No, l’ultimo Scott Walker, Artaud, Danio Manfredini, Nico con John Cale, Peter Hammill, Tim Buckley, Diamanda Galas, Anna Magnani, i Dead Can Dance, qualche rara interprete “di pancia” (Mia Martini, Milva quando era in teatro ma si scordava di esserlo e quindi prevalentemente con Piazzolla, Mina quando intona Il Pianto della Madonna di Monteverdi, Nina Simone, Carla Bozulich). Oggi in giro ci sono prevalentemente buffoni con una professionalità senza dubbio superiore alla mia, o semplicemente professionisti assai furbi e oggi la furbizia è la virtù per eccellenza.
L’avere gran attributi o capacità sessuali, zero scrupoli, compagni produttori o e un’intelligenza assai pratica, magari oltre ad una provenienza da una famiglia almeno medio-borghese non guastano affatto ovviamente. Poi per carità… ci sono Dalila Kayros, Paolo Saporiti, Coucou Sèlavy, Laura Catrani, Alberto Nemo, Elsa Martin, Katya Sanna, Renato Miritello, Giulia Zaniboni… e stavolta basta, perché quando si tratta di citare gli altri ho una lunga strada di viandanti che elenco, ma quelli raramente si ricordano della mia esistenza, presi dalla necessità di essere “IL/LA” migliore. Gran complimenti anche al lavoro che Jacopo Incani sta facendo con la Tanca Records. Per quanto io non ami il modo in cui la critica si è rapportata a lui in questi anni, lui è una persona intelligente e sa anche come giocare le sue carte molto meglio degli altri musicisti “indie”. Ha scritto brani magnifici come “Carne”, “Stormi” e “Ashes”, ma lui ha anche prodotto Daniela Pes e questo è un ulteriore merito. Mi mancano molto i Butcher Mind Collapse di “Night Dress” e così gli Starfuckers, gli Swans di “The Seers” e i Current 93, mi manca soprattutto Pier Paolo Pasolini e quella generazione artistica che ha ricostruito la cultura europea dopo il secondo dopoguerra.”
La suggestione che sento empaticamente e certamente anche con una certa superficialità più immediata è con i Carmina Burana e l’opera di Franco Battiato. Non so se ti riconosci in questa linea. Forse può aiutare il pubblico per essere guidato all’ascolto.
“Io amo Franco Battiato e in questo disco Gerardo Ferrara, nel ricordo dello scrittore condannato all’ergastolo Mario Trudu lo cita recitando alcuni versi da Stranizza d’Amuri, oggi più che mai attuali, ma non è lui un mio riferimento diretto, affetto sincero a parte. Ne ho citati alcuni prima e potrei aggiungere i compositori… anche se in realtà in questo disco figuro ben poco realmente come disegnatore di geometrie “scritte” (molto, ma molto più rappresentativi in materia i miei due precedenti INCIDENTI-Lo Schianto e Ukiyoe – Mondi Fluttuanti, a nome NichelOdeon/InSonar). Io adoro Fausto Romitelli e Simon Steen-Andersen, sogno di poter lavorare un giorno con Kit F. Downes. Sempre apprezzati Demenga e Reber in Cellorganics, stravedo anche per la Passion Selon Marie di Zad Moultaka, pe il Concerto in Mi Minore di Zbigniew Preisner, per Le Roi des étoiles di Stravinskij, per gran parte delle produzioni di Ligeti, Penderecki e Messiaen (tutte cose per cui nei boccoluti cori lirici vengo bullizzato). I Carmina di Orff proprio no, non li sopporto (anche se hanno aperto la strada a tutta la volontà del ‘900 di trovare nei modi antichi spunti d’interesse), ma sono un cultore di quelli originali, da Codice, Dulce Solum su tutti e mi vergogno di cantarlo decisamente male, mi riesce invece con un buon carattere Tempus Est Iocundum. Mi piacciono anche i canti dei trovieri e non a caso nel secondo dischetto di ManifestAzioni intono una mia personalissima versione di Ahi! Amours di Conon de Béthune. Nel disco figurano canti patriarchini friulani antecedenti all’anno 1000 (Aghe Aghe Benedete) a cui mi ha introdotto Giovanni “Vanni” Floreani, leader del progetto Strepitz ed etnomusicologo. A parte il Miserere di Allegri e Claudio Monteverdi non ho tantissimo amore per la musica pre-barocca, ma è il carattere estatico che la caratterizza che mi incanta, allo stesso modo del recitarcantando dei muezzin.”
La musica è emozione prima di tutto ma in questo caso direi anche disciplina. Sei d’accordo?
“La disciplina la impari e la studi quotidianamente, io perlomeno, che non ci guadagno nulla a mostrarmi in mutande sui social, lo faccio e studio da quando avevo l’età di tre anni, ma quando sali su palco la disciplina la devi dimenticare. Puoi conservarla – e io lo faccio – se canti nel coro di un’Orchestra Sinfonica, ma se sei un’interprete che la pianta di fare “il performer”, devi diventare suono fino all’ultimo pelo/unghia e oltre. In alternativa cancello i file che registro o lascio il palco. Io butto dozzine di file in modo compulsivo, così come ne accumulo. I palchi invece in qualche caso sono stato costretto ad abbandonarli a furor di pubblico, ma a quanto pare le cose vanno adesso vanno molto meglio.”
In un tempo in cui la riconoscibilità è vitale, come potremmo visualizzare il tuo lavoro. Qual è il fil rouge di un doppio cd per due ore di musica?
“Il sapere che quando qualcuno degli addetti ai lavori ascolta della musica cantata in italiano, che non capisce o che salta subito all’orecchio come ‘altro’ dice: ‘ma sarà mica Claudio Milano?’.
Qui c’è un’idea di spazio-tempo che ha più a che fare con i piani di percezione che con il genere di turno, con gli aggettivi. Io non sono un vezzo, sono tante cose e certamente “nessuno”. Il pop ha ingannato la gente facendo credere ad essa che mostrandosi sempre allo stesso modo, almeno per quanto riguarda l’uso della voce, sarebbe diventata “qualcuno” e invece ci ha restituito spesso solo caricature di sé stesse, che arrivate a ottant’anni se la ridono appresso ai soldi accumulati dicendo “ho imparato a prendermi meno sul serio” con una maschera di plastica addosso divenuta viso da mostrare con un senso di auto-compassione che no, non può essere confessato.”
In conclusione ci ha detto che anche la sua intervista gli sembra lunga, troppo lunga, come il suo lavoro musicale ma questo tempo dedicato ha permesso di raccontare una storia e non solo un episodio, quel modello frettoloso e ripetitivo che la TV ha ormai imposto schiacciando la cultura che si conforma all’idea di serie televisiva.
Chi è Claudio Milano
Ricercatore vocale, compositore e musicoterapista, attore, performer, laureato con lode in scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di Brera con una tesi sull’evoluzione dell’opera d’arte totale e la presentazione di uno spettacolo inedito. Ha seguito studi di canto lirico, metodo funzionale e bevoice, improvvisazione jazz, canto difonico tibetano e vietnamita, modulazione e tecnica del whistle register. Tiene regolarmente in tutta Italia seminari sulla voce e sulla storia del rock, laboratori di musicoterapia, drammaterapia, di musica per l’integrazione di rifugiati politici. Ha all’attivo 16 album, un DVD ed esibizioni live con alcuni dei massimi musicisti mondiali in ambito classico, rock, jazz, etno, avant garde, pop. A partire dal 2002 ha scritto commenti sonori per la performance inaugurale della Prima Biennale d’Arte Contemporanea a Mosca, per il V Festival Internazionale di Teatro d’Avanguardia della Repubblica Slovacca (componendo un Amleto per piccolo coro e orchestra), per la Biennale Arte di Venezia del 2011, per installazioni alla Abnormal Gallery di Berlino, a Parigi, Zurigo, Galleria Civica di Žilina. Fondatore dei laboratori multimediali NichelOdeon, InSonar, Adython Project, ha preso parte all’audio libro Neumi – Cantus Volat Signa Manent pubblicato da Genesi Editrice e a decine di dischi di musicisti underground italiani e internazionali. Con il progetto Strepitz di Giovanni Floreani, ha preso parte al FIMU (Belfort – Francia), al Dada on Tour 2016 (Belgrado – Serbia). È vincitore dell’Omaggio a Demetrio Stratos neI 2010, finalista nei contest “Cinque Giornate per la Musica Contemporanea” (2010), “Progawards” (2008 e 2010); “Artefatto – Motus Urbis” (2011-2012); Rome Art Week 2020. Nel 2014 NichelOdeon ha ricevuto una scheda sulla celebre The Great Rock Bible di Martin C. Strong. A partire dal 2006 è performer di teatro-voce solista, a fianco di alcuni registi, dell’artista visivo Manuel De Marco, il danzatore Andrea Butera e diversi musicisti.
Con I Sincopatici è in scena dal 2021 con la sonorizzazione in chiave teatrale del film L’Inferno, kolossal del cinema muto del 1911, rappresentato in chiave teatrale a Bolzano, a Varese, al Teatro di Documenti a Roma, a Potenza e al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Nel coro dell’Orchestra Sinfonica “La Verdi” si è esibito con la Nona Sinfonia di Beethoven su direzione di Thomas Guggeis all’Auditorium di Milano e al KKL di Lucerna tra il 29 dicembre 2022 e il 4 gennaio 2023 e nel marzo successivo con il War Requiem di Benjamin Britten con la direzione di Vasily Petrenko.
Artista: Claudio Milano’s End Friends (La bobina di Tesla)
Titolo: “ManifestAzioni Live 2011-2023”
Autore: Claudio Milano
Editore: Music Force
Etichetta: Music Force
Catalogo: MF 117
A cura di Ilaria Guidantoni