Alla galleria fiorentina Il Ponte è stata inaugurata lo scorso 1° dicembre la mostra dedicata a Mauro Betti, Dipinti domestici, a cura di Andrea Alibrandi e Mauro Betti, che resterà aperta al pubblico fino al 7 febbraio 2024. Il Ponte prosegue quindi la stagione espositiva con una personale dedicata all’artista toscano, con cui la galleria lavora da molto tempo, fin dagli anni ’90, dedicandogli periodicamente delle personali.
A essere esposti sono appunto gli ultimi lavori, Dipinti domestici, realizzati dal 2020 al 2023: 14 opere, smalti e collage di cartoni e cartoni su tela di piccole e medie dimensioni, legate da un’apparente “banalità”. La scelta è il monocromo, una tecnica pittorica accurata di stratificazioni multiple e un’interpretazione personale della storia dell’arte del Novecento che Betti indubbiamente conosce e rielabora.
“La tavolozza di Mauro Betti”, scriveva, a dispetto dell’apparenza, Mauro Panzera, “è coltissima, memore delle ricche vicende tracciate dall’arte contemporanea, almeno a partire dalla cultura pop di sapore inglese, ma vi è presente pure massicciamente la cultura grafica e del fumetto contemporaneo. La civiltà grafica, del pantone, si è sostituita all’enciclopedia della natura».
Come ha sottolineato il curatore e gallerista, Andrea Alibrandi, “la pittura di Betti, seguendo un percorso che porta avanti oramai da molti anni, riduce la superficie a un colore sostanzialmente monocromo. In questo ultimo nucleo di dipinti, è uno smalto rosso brillante, dove si inseriscono, oltre ad alcuni colori fondamentali nel suo lavoro, bianco e nero, delle piccole tache di colori squillanti, che esulano dalla monocromia, dando un ritmo inatteso al dipinto. Quasi vi galleggiano”, aggiunge Alibrandi, “alcuni segni che derivano dalle memorie di strisce a fumetti e da una cultura pop, entrambe molto scarnite. Fra questi inserimenti si presentano alcune lettere, che non paiono avere alcun legame, se non grafico, con il contesto. Da tutto ciò sembrerebbe una pittura di derivazione Minimale”.
Però, superato questo primo impatto, a una visione più attenta, la superficie rivela un ricercato e complesso percorso esecutivo. La tela è arricchita da un assommarsi di collage con porzioni o lacerti di tessuti e/o cartoni, che modulano la tensione del dipinto e talvolta debordano dai suoi stessi confini, fino a dar vita a margini irregolari. Sulla tela troviamo inoltre altri inserimenti in cartone, legno o altri materiali, spesso inattesi, che entrando in relazione con la superficie, ne corrompono quasi l’integrità, creando una discontinuità di irrequieta esuberanza.
“Al di sotto del manto finale di smalto rosso brillante si è quindi sedimentato un lavorio ininterrotto e meditato, fatto di elementi eterogenei che si sono come accuratamente aggregati”, precisa Alibrandi. “C’è uno stupefacente piacere per la meraviglia della pittura, realizzata con l’amore della sapienza tecnica e con la continua tensione verso una totale liricità, pertanto niente di minimale. I dipinti di Mauro Betti, ricchi di una raffinata cultura pittorica, sono il risultato di un’iperbole dell’artista, che realizza arte sull’arte, pittura sulla pittura, quasi estremo frutto della lunga tradizione Barocca”.
Vi si può leggere la geometria monocroma di Malevic, l’objet trouvé alla Duchamp, il tratto di Fontana, il Pop inglese, tutto però rielaborato senza citazioni, come se anche queste fossero sotto delle stratificazioni. E poi non c’è un messaggio che l’artista si propone, solo l’espressione del vissuto ordinario che mette in ordine ma nel quale c’è quel non finito, quell’imperfezione, l’irregolarità della vita quotidiana che non è riconducibile a forme geometriche e che sembra uscire dalla tela o sovrapporsi come un animaletto disegnato, un segno. Le medie e grandi dimensioni si vanno riducendo negli ultimi lavori e si ammorbidiscono fino a diventare cerchio.
E ancora Luigi Bernardi dichiara che “Mauro Betti, nella sua personale ricerca, approda a una figurazione minimalista fatta di spezzoni di realtà isolati dal contesto: frammenti, lettere dell’alfabeto, segnali, quasi reperti di una civiltà prima di un’ipotetica ma non improbabile apocalisse. […] L’operazione di Betti ha una doppia faccia: quegli spezzoni possono valere come possibili indizi nell’illusione di ristabilire un nuovo sistema di valori, oppure possono valere come tracce di quella disposizione (da riattivare?) che sapeva vedere e scoprire le cose con l’ingenua meraviglia tipica dell’infanzia e dei primordi della pittura”.
Chi è Mauro Betti
Nasce nel 1951 a Cascina, in provincia di Pisa, dove segue i corsi dell’Istituto d’Arte, per poi diplomarsi all’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove ha insegnato per molti anni. Dopo un primo periodo in cui si occupa principalmente del design di oggetti e mobili, dai primi anni ’80 si dedica esclusivamente alla pittura. In questo primo periodo lavora esclusivamente sulla carta, con matite, pastelli e cere, di cui presenta una prima esposizione nel 1984 alla Galleria Il Ponte di Firenze. Prosegue su questa linea per quasi tutti gli anni ’80, per poi affrontare la tela, prima attraverso la materia della pittura a olio, dedicandosi poi a lavorare sempre più con gli smalti sintetici. In questi anni il suo lavoro viene presentato attraverso quattro cataloghi monografici alla Galleria Il Ponte, con cui partecipa anche alle Fiere di Milano e di Bologna e New York.
a cura di Ilaria Guidantoni