E’ salita a 3,9 trilioni di dollari a fine 2023 la dry powder dei fondi di private capital nel mondo, cioé la potenza di fuoco accumulata a seguito delle rispettive raccolte fondi (tra private equity, venture capital, private debt, infrastrutture e real estate) e non ancora investita. Il dato (fonte Preqin), è in aumento rispetto ai 3,7 trilioni registrati a fine giugno 2023 (si veda altro articolo di BeBeez), un dato che era rimasto identico a quello registrato a fine 2022 (si veda altro articolo di BeBeez), emerge dal Global Private Equity Report 2024 di Bain &Company presentato ieri a Milano (si vedano qui il comunicato stampa e qui il report).
Si tratta di un buon segnale dopo lo stallo dello scorso giugno, quando la dry powder era sostanzialmente inalterata principalmente per il fatto che i fondi avevano raccolto meno capitali dagli investitori., contestualmente a un netto calo degli investimenti. Dato che comunque si ritrova nelle statistiche globali di fine anno del private equity con in particolare il valore delle operazioni di buyout che è sceso del 37% anno su anno, attestandosi a 438 miliardi di euro, il peggior valore dal 2016. Anche il valore delle exit si è contratto del 66%. Ora, invece, le cose tornano a muoversi.
E’ interessante notare che del totale dei 3,9 trilioni di drypowder, ben 1,2 trilioni rappresentano le munizioni dei fondi buyout. E il 26% di questo subtotale è stato raccolto almeno 4 anni fa contro il 22% a fine 2022, il che significa che quei fondi sono forzati a investire anche a condizioni non ottimali, perché si stanno avvicinando al termine dei canonici 5 anni di periodo di investimento dei rispettivi fondi.
“Il mercato sta mettendo a segno un avvio lievemente migliore quest’anno, e siamo cautamente ottimisti sulle sue prospettive per il 2024. La scala e la rapidità dei rialzi dei tassi l’anno scorso, e l’incertezza del contesto macro, hanno rappresentato uno shock per il settore nel 2023. Tuttavia, le prospettive a lungo termine per l’industria rimangono solide, e, con i tassi destinati a ricalibrarsi nei prossimi mes, c’è un maggiore contesto di stabilità. I livelli di liquidità sono elevatissimi, e nonostante le principali sfide persistano, il flusso delle operazioni si sta rafforzando”, spiega Roberto Fiorello, senior partner e responsabile italiano Private Equity di Bain & Company. E ha aggiunto Fiorello: “Le turbolenze macroeconomiche che hanno caratterizzato l’anno scorso, inflazione, geopolitica, tassi di interesse, non si sono ancora risolte. Probabilmente continueranno a influenzare le posizioni degli investimenti, anche in Italia, almeno nel primo semestre dell’anno. Il flusso di operazioni si sta però rafforzando nel Paese: diversi asset (soprattutto per il segmento mid-cap) si avvicinano alle exit nel 2024, anche in virtù di alcuni processi ritardati dal 2023”.
Tornando a panorama globale, dal report di Bain&Co emerge un altro tema interessante e cioé la crescita dell’attività dei fondi di secondario. Alla luce della crisi di liquidità del settore, infatti, non sorprende che questi siano cresciuti più velocemente di qualsiasi altra asset class, raccogliendo il 92% di capitale in più nel 2023 rispetto al 2022. La loro utilità è misurata dal backlog (o valore) non realizzato dai fondi, rappresentato dalle 28 mila aziende invendute che gravano sui portafogli di buyout a livello globale, più del 40% delle quali ha almeno quattro anni di età. Questo backlog, 3.200 miliardi di dollari, è su livelli elevatissimi: il suo valore è il quadruplo del livello della crisi finanziaria globale del 2007-2008. Per grandi investitori, come i fondi sovrani, i rendimenti e la flessibilità offerti dai secondari diventeranno sempre più attraenti. Lo stesso potrebbe essere per le grandi case di investimento, che gestiscono ricchezze significative per conto di individui desiderosi di accedere a classi alternative.