È salita a 3.700 miliardi di dollari a fine 2022 la dry powder dei fondi di private capital nel mondo, cioé la potenza di fuoco accumulata a seguito delle rispettive raccolte fondi (tra private equity, venture capital, private debt, infrastrutture e real estate) e non ancora investita. Il nuovo dato (fonte Preqin) è contenuto nel 14° Rapporto annuale sul Private Equity globale di Bain & Company presentato ieri alla stampa a Milano (si veda qui il comunicato stampa e qui l’intero report).
La cifra era già salita a 3.600 miliardi di dollari a fine giugno 2022 (si veda altro articolo di BeBeez) dai poco più di 3.400 miliardi di dollari a fine 2021 (si veda altro articolo di BeBeez), quando già era cresciuta di 100 miliardi dai 3.300 miliardi di fine giugno 2021 (si veda altro articolo di BeBeez) e dai 3.100 miliardi di dollari a fine 2020 (dato rivisto rispetto alla stima iniziale di 2.900 miliardi, si veda altro articolo di BeBeez).
Dalla ricerca emerge anche che la quota di dry powder in capo ai fondi di buyout è rimasta al 29% come a fine 2021, in calo dai picchi degli anni precedenti attorno al 35-36% e da quelli del 2005-2010, quando la percentuale era addirittura superiore al 40%. L’attività di raccolta, peraltro, ha registrato una frenata con 1332 miliardi contro i 1486 miliardi del 2021, proprio a causa del fatto che un minor numero di fondi di buyout (-43%) ha chiuso il fundraising.
Anche l’attività di investimento dei fondi di private equity di buyout ha registrato una battuta d’arresto, con una diminuzione del valore globale delle acquisizioni (esclusi gli add-on) del 35%, che ha portato a chiudere l’anno a quota 654 miliardi di dollari (dai 1.012 miliardi del 2021), una cifra che comunque porta il 2022 a essere il secondo anno migliore di sempre nella sua storia.
Più in generale, il numero complessivo di operazioni si è contratto del 10%, con circa 2.300 deal, grazie soprattutto allo slancio della prima metà dell’anno. Il forte calo dell’attività e del valore delle transazioni nel secondo semestre è stato avvertito in tutte le regioni e nella maggior parte dei settori, con un particolare ribasso in Asia, a causa delle ripetute chiusure del mercato dovute alle misure per il contenimento del Covid.
Per contro per l’Italia, calcola Bain & Co, il 2022 è stato un anno record con un valore di buyout di 64 miliardi di dollari, contro i 36 miliardi registrati l’anno precedente. “Come negli anni precedenti, i deal italiani lo scorso anno hanno riflettuto l’ampio spettro di settori economici del Paese. Comunque va detto che sono stati inferiori ma di grande qualità”, ha riferito Roberto Fiorello, senior partner e responsabile italiano del Private Equity di Bain & Company.
Ricordiamo a questo proposito che BeBeez Private Data, il database del private capital di BeBeez, ha mappato 549 operazioni complessive di private equity in Italia nel 2022 (si veda qui il Report di BeBeez Private Equity 2022 , disponibile agli abbonati di BeBeez News Premium e BeBeez Private Data) dalle 497 mappate a fine 2021 (si veda qui il Report di BeBeez Private Equity 2021). Quanto al valore delle operazioni, sono state 20 quelle su aziende con enterprise value di almeno 500 milioni di euro e che hanno avuto per protagoniste aziende italiane e dove a passare di mano è stato almeno il 15% del capitale delle società target. Di questi, 12 deal hanno riguardato aziende con un EV di almeno un miliardo. Ma c’è anche un discreto numero di deal (8) di dimensioni medio-grandi su aziende con EV da almeno 300 milioni e appena sotto i 400 milioni.
Tornando ai dati di Bain & Company, a livello globale Fiorello ha commentato: “Il meccanismo di riduzione delle exit e dell’attività di fundraising è stato innescato da una serie di rialzi dei tassi di interesse da parte della Fed in risposta all’aumento dell’inflazione”. Inoltre, ha proseguito il manger, “il settore continua a essere ben posizionato per una crescita a lungo termine e, pur nell’innegabile incertezza del mercato, si tratta problemi che il private equity ha già affrontato e superato in passato”. E ha aggiunto: “sebbene tutto questo abbia contribuito a rallentare drasticamente quella che è stata una corsa del settore durata 12 anni, i fondamentali restano solidi e il private equity potrebbe diventare ancora più attraente per gli investitori che soffrono per i limiti dei mercati pubblici. Il private equity, anche per chi ha un orientamento più generalista, consegue un ritorno più alto e continua a sovraperformare i public market. In più non ci sono mai le enormi variazioni né le corse alla svendita del portafoglio a cui si assiste nel mondo dei fondi comuni. Il ritorno alla normalità in questo settore si aggira tra i 12 e i 18 mesi”.
La riluttanza delle banche a concedere prestiti per grandi operazioni di leva finanziaria (LBO) a partire dalla metà dell’anno, con l’aumento dei tassi di interesse e l’intensificarsi dei timori economici, ha determinato l’andamento del mercato nel 2022. Negli Stati Uniti e in Europa, questo tipo di prestiti è diminuito del 50%, a 203 miliardi di dollari, dai 400 miliardi del 2021. A ciò è seguita una maggiore attrattiva delle operazioni più piccole, che hanno rappresentato una quota maggiore delle transazioni totali, e degli add-on, che l’anno scorso hanno costituito il 72% di tutti i buyout nordamericani per numero di operazioni, in quanto investitori e fondi hanno perseguito strategie di buy-and-build”, ha precisato il manager.
L’inversione di tendenza del private equity del 2022 ha colpito anche gli investimenti in growth equity e in venture late-stage, segmenti in precedenza molto attivi. Il valore complessivo delle transazioni in questi segmenti è sceso del 28% a 644 miliardi di dollari. Le exit si sono contratte in misura ancora maggiore rispetto all’attività di investimento: le dismissioni sostenute da buyout sono scese del 42% a 565 miliardi di dollari, mentre le uscite di growth equity sono crollate del 64% a 312 miliardi di dollari. I cali riflettono la completa chiusura del mercato delle IPO in seguito al forte down dei titoli azionari, nonché il calo del 58% delle operazioni tra sponsor. Le vendite ad acquirenti strategici sono state superiori alla media quinquennale, soprattutto grazie alla tenuta degli utili, ma hanno comunque chiuso il 2022 con un calo del 21% rispetto all’anno precedente. Sebbene la ricerca evidenzi come le prospettive per la raccolta di fondi di private equity rimangano ottimistiche, anche la nuova raccolta di fondi dello scorso anno ha risentito del deterioramento delle condizioni e della fiducia (-10% rispetto ai livelli del 2021, a 1.300 miliardi di dollari).
Guardando al futuro, gli investitori individuali e il loro patrimonio (gli HNWI) rappresenteranno il nuovo volano di crescita del private equity. Secondo Bain, gli investitori molto ricchi detengono circa il 50% di tutti i patrimoni globali in gestione, stimati tra i 275.000 e i 295.000 miliardi di dollari, e di questi solo il 12-13% del totale della raccolta è allocata in fondi di private equity. “Quindi il potenziale è significativo. Loro saranno il prossimo motore della crescita”, ha detto Fiorello. “Gli individui con un elevato patrimonio netto e i loro consulenti sono attratti dagli investimenti alternativi, alla ricerca di opzioni di diversificazione e di rendimenti migliori di quelli offerti dai mercati azionari e obbligazionari tradizionali. I fondi stanno già esplorando i mercati di investimento retail e si stanno muovendo rapidamente, costringendo il resto del settore a scegliere se far parte del gioco o meno”. I grandi gestori alternativi nel frattempo stanno facendo passi avanti, e molti hanno lanciato fondi che consentono agli individui più facoltosi di accedere a classi di attività alternative; le banche e i consulenti stanno esplorando le opzioni per i clienti e le fintech stanno lavorando per adattare soluzioni a questa domanda e per semplificare il processo.
La combinazione di tassi di interesse più elevati, destinati a perdurare, e pressioni inflazionistiche rappresenta una duplice minaccia per i fondi di private equity e i general partner e crea un nuovo imperativo per questi operatori: creare valore attraverso il miglioramento dei margini e la crescita organica, rispetto al passato, quando i player potevano fare affidamento su espansione di multipli più elevata. “Molti fondi mid market stanno costruendo veri e propri team che lavorano sul portafoglio per l’espansione organica dell’ebitda delle società e quindi per la loro crescita immediata. Prima non era così”, ha sottolineato l’esperto.
Il settore, poi, si trova ad affrontare anche altri due grandi mutamenti. Innanzitutto, la transizione energetica globale: la pressione sulle società di private equity per la decarbonizzazione dei portafogli si è intensificata nel 2022, con le autorità di regolamentazione, i consumatori, i clienti B2B e gli investitori che hanno intensificato le richieste di cambiamento. “Al tempo stesso, la corsa allo sviluppo di fonti energetiche alternative e di altre soluzioni a basse emissioni di carbonio sta dando vita a un’opportunità generazionale per mettere il capitale al lavoro, che deve essere coltivata dai fondi sviluppando competenze e network. C’è una vera e propria corsa agli asset che ci porteranno nel mondo della decarbonizzazione: nessuno investe più senza una precisa due diligence Esg”, ha spiegato Fiorello. Anche le tecnologie del Web3 (investimento nel mondo blockchain, NFT, attività nel mondo delle currency) sono destinate a rappresentare, nei prossimi dieci anni, un trend di vasta portata in grado di impattare in modo significativo sulle imprese e sui mercati: per molti fondi è il momento di costruire un know-how su questo tema e valutare come sfruttare i cambiamenti tecnologici.
Per le società di private equity sarà imprescindibile riuscire a adattarsi a queste nuove pressioni macroeconomiche. Gli operatori dovrebbero cercare di puntare su gruppi di clienti e settori con una minore sensibilità ai prezzi e concentrarsi maggiormente sulla crescita organica del business, alla luce delle sfide legate alle tecnologie emergenti, ai trend demografici e alla crescita più debole del Pil”, ha concluso Fiorello.