Cosa c’è di non abbastanza vero in un sogno che non possa pareggiare questo nostro presente? Tu sei nata, Teresa, e mi hai sciolto d’amore. Tu mi hai portato l’aldilà a conoscere, per obliarlo. Me ne hai parlato col tuo pianto d’oltrevita: dalla culla di ciò che non è trapassato, al letto sismico del mondo. Sei arrivata da un confine sconosciuto per calcare questa terra inutile, commovente, fatua. Ma anche sconsolata come un’amante felice d’aver amato. Tu dovevi conoscere la contraddizione, è per questo che ti abbiamo chiamata, per donarti l’umana forza dell’insensatezza, che sembra effimera come una verità provvisoria, ma che imparerai a guardare come una foglia frantumata disperdersi nel vento. Capita una volta sola, la vita, a differenza dell’eternità, che capita sempre. E tu dovevi conoscerla, questa condizione definitiva che non ammette alternative che non siano coesistenti. O l’una o l’altra o entrambe. Ma non nessuna. Non l’una al posto dell’altra. Non c’è infinito, nella vita, che diluisca l’errore. L’errore è impresso nei giorni, inciso per sempre, ben oltre l’eternità. Nell’eternità, Teresa, nulla conta niente. È per questo che ti abbiamo chiamata tra noi, per darti la possibilità di contare qualcosa. L’immortalità ci appartiene, sembra un paradosso, ma la morte vera sta nell’eterno possibile, nella noia interminabile dell’indefinitezza dell’infinito. Qua le cose capitano e non si torna indietro: una volta sola e per sempre. Quindi ama adesso, se vuoi che sia per sempre. Ama in questa vita, perché è qua l’unico sigillo, l’unica incisione sulle tavole eterne dell’eterno accadere. La condizione mortale è un dono d’eternità, un dono per sempre.
Ricordo: il palpito del telefono tremante, la camicia stirata dal vento delle occasioni, la paura della vita quando batte le sue ore fatali, e l’ansiosa impaurita fremente corsa in macchina per raggiungerti, al termine della mia della sua e tua notte, pronta a schiudersi in un’alba di pianto che sa che la vita è una sofferenza felice, e le scale dell’ospedale a due a due come un Everest di ordinaria impresa, le parole rassicuranti, caute, del ginecologo composto, d’imperturbabile tenerezza, e poi un saluto all’amore che è Amore prima che donna, prima che moglie, prima che madre, Ginevra: ho sentito il tuo pianto, Teresa, la roca poesia che avrei riconosciuto tra innumerevoli grida, la prima cosa che ho visto è stata la voce, poi l’etereo volto di chi viene d’altrove, la mia mano di padre ha carezzato il suo angelo, forse nascere è un po’ come da dèi farsi uomini, ancora una volta, la speranza infusa dall’Oltre e materializzata in questo tiepida terra di lacrime e sangue; in fondo siamo tutti soldati chiamati a questo misterioso fronte, chissà che non nasca, ogni tanto, qualche grande eroe. Benvenuta al mondo.
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Bernardo Giusti, nato a Firenze nel 1990, giovane speranza tra i romanzieri italiani ha pubblicato recentemente “Bivium” Edizioni Masso delle Fate. Teresa è appena nata e Bernardo Giusti ha scelto Bebeez, prima per condividere l’attesa e adesso la gioia. I complimenti e gli auguri arrivino a lui, alla mamma Ginevra e alla piccola Teresa da tutta la famiglia di Bebeez.