Fino all’8 gennaio 2023 il Mast di Bologna ospita Image capital, frutto della ricerca del fotografo italo-tedesco Armin Linke autodidatta, classe 1966 – che si è dedicato alla fotografia, collaborando con gruppi teatrali e attori (T. Kantor, M. Marceau), musicisti (J. Cage), artisti (K. Haring), designer e stilisti (A. Castiglioni, B. Munari, Dolce & Gabbana, R. Gigli). Ha seguito anche esposizioni internazionali (Documenta di Kassel), particolarmente interessato al ritratto – e della storica della fotografia Estelle Blaschke, dell’Università di Basilea, con la quale la collaborazione è attiva da una decina di anni. L’esposizione traccia un percorso nel mondo delle immagini e, soprattutto del loro valore perché oggi possederle e saperle sfruttare significa avere un capitale. Il titolo evidenzia come ha sottolineato Francesco Zanot, curatore, saggista e insegnante specializzato in fotografia – in particolare curatore di Camera – Centro Italiano di Fotografia di Torino, dalla sua fondazione al 2017, ha successivamente curato le mostre inaugurali dell’Osservatorio Fondazione Prada a Milano, da anni lavora quasi in esclusiva per la Fondazione Mast – l’idea di una mostra sulla fotografia e non solo di fotografia, nella quale la fotografia è protagonista e non rappresenta solo un linguaggio. Il focus è su quello che resta della fotografia, al di là della immagine, seguendo un percorso
tecnologico e di ricerca scientifica che porta dall’analogico, per antonomasia l’attestazione di verità, il documento, il ritratto e quindi la memoria al digitale che è soprattutto informazione. Il progetto, che ha richiesto 5 anni di lavoro, prevede la collaborazione tra Fondazione Mast, Museum Flokwang di Essen, in Germania; il Centre Pompidou di Parigi (dove la mostra sarà il prossimo anno); e Deutsche Börse Photography Foundation di Francoforte ed Eschborn. Importante inoltre il ruolo dei prestatori di oggetti e documenti che però sono diventati parte attiva attraverso delle interviste, in particolare il Cern di Ginevra, l’Istituto di Storia dell’arte-Max Plank di Firenze e l’Istituto Geografico di Firenze e, prima di tutto, il contributo della Fondazione Mast che ha investito su un progetto di ricerca prima che su una manifestazione, dimostrando l’accreditamento del valore di un’attività scientifica. Quest’esposizione infatti crea un corto circuito tra l’arte e opere che possono entrare in collezioni artistiche e l’aspetto tecnologico-scientifico mettendo in evidenza l’importanza sociale della fotografia oggi. Da questa domanda infatti, lo strumento fotografico per descrivere ma anche progettare e orientare la realtà, nasce la riflessione di Armin Link che più di quattro anni fa realizzò una performance al Centre Pompidou di Parigi, dalla quale poi è
nata la mostra. La traduzione in un percorso espositivo è avvenuta con la realizzazione di una sorta di paesaggio che immette il visitatore in una passeggiata, una sorta di flânerie, che diventa anche una ‘navigazione’ tra il reale e il virtuale, senza un percorso troppo stretto in modo che lo spettatore sia coinvolto e interattivo. Senza un’esplicitazione chiara alcuni elementi architettonici di allestimento distinguono il tipo di immagine, rispettivamente in lastre di vetro che accolgono gli elementi di archivio, teche orizzontali per i testi scritti ed elementi lignei per le foto autoriali che volutamente non sono state appese. Le foto non sono in questa sede elementi di ‘arredo’ da guardare ma luoghi di informazione attraverso i quali muoversi. Siamo quindi in presenza di una mostra da attraversare, da vivere proprio perché nasce da immagini sulla base delle quali ne vengono prodotte altre per essere sottoposte ad una lettura scientifica, metodo con il quale Armin lavora, nell’ottica della squadra.
Il potere della fotografia? Per comprenderne il peso basta visitare l’antro di Iron Mountain nell’ovest della Pennsylvania dove, tra pareti rocciose bianche scavate nell’ex miniera di materiale ferroso, ci sono le condizioni ideali per la conservazione di stampe e negativi oltre a
documenti cartacei, 2.300 tra enti governative, biblioteche, aziende. Protagonista la fotografia non solo soggetto ma strumento di indagine oltre che linguaggio. L’idea è di unire arte e informazione con un lavoro per il quale il rapporto con gli archivi è fondamentale con un’integrazione fra testo, immagine, oggetto, documento assolutamente funzionale. Tra i casi presentati nell’esposizione che bene spiegano il valore della foto come capitale, l’esempio dell’azienda olandese Ter Laak Orchids che produce orchidee ognuna delle quali viene fotografata 30 volte, e le immagini orientano direttamente il prodotto al mercato, quello del Nord Europa se la pianta ha molti boccioli – perché questo tipo di piazza scommette sul futuro – o del Sud nel caso ci siano molti fiori, perché questo tipo di piazza scommette sulla visibilità del prodotto nell’immediato ed è più sensibile alla bellezza. Ecoc perché la fotografia diventa capitale.
Nello specifico, l’esposizione si articola in sei sezioni a partire dal memory, la conservazione delle tracce: la foto come deposito di memorie. Si prosegue con l’access, l’indicizzazione; quindi il backup delle immagini e la conservazione; si passa poi al mining, l’analisi delle foto per estrarne i dati per continuare con l’imaging, la modellazione digitale e il rendering con la fotografia che non si limita più a documentare la realtà ma finisce per crearla; e, infine, la sezione currency, sul valore sonante, la moneta della fotografia. L’idea è costruire la coscienza del mezzo fotografico a partire dalla grammatica dell’immagine.
In tal senso tra i principali soggetti fruitori ci sono le scuole con un programma ad hoc previsto dalla
Fondazione Mast per i diversi livelli scolastici e le tipologie di studio ma, come ha voluto sottolineare Zanot, il progetto si rivolge al pubblico più vasto possibile, sia quello generalista, proprio per il valore sociale sulla cittadinanza attiva della mostra; sia perché l’arte sta diventando sempre più digitale, legata all’evoluzione tecnologica e quindi quando proposto può diventare anche oggetto di fruizione estetica.
Completa la mostra un catalogo digitale con una piattaforma di applicazione che riporta il titolo della mostra e che in un secondo tempo auspicabilmente diventerà un catalogo anche cartaceo, sebbene già ci sia una piccola pubblicazione, utile come guida.
a cura di Ilaria Guidantoni