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Per celebrare i 1600 anni della città di Venezia, la cui fondazione è stata tradizionalmente fissata al 25 marzo dell’anno 421, l’Associazione culturale senza scopo di lucro Mets Percorsi d’arte, la Fondazione Castello e il Comune di Novara propongono fino al 13 marzo 2022, la mostra Il mito di Venezia. Da Hayez alla Biennale, curata da Elisabetta Chiodini con un prestigioso Comitato scientifico diretto da Fernando Mazzocca di cui fanno parte Elena Di Raddo, Anna Mazzanti, Paul Nicholls, Paolo Serafini e Alessandra Tiddia. Settanta opere importanti al Castello Visconteo di Novara mettono in luce l’evoluzione della pittura dall’Ottocento fino ai primi fermenti del Novecento e la centralità di Venezia non solo in Italia ma anche a livello internazionale quale fonte unica di ispirazione.
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presidente dell’Associazione METS, organizzatore della mostra
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Il viaggio all’interno scandito in otto sezioni è cronologico e tematico insieme, con alcune sessioni monografiche, quale quella dedicata a Luigi Nono.
Punto di partenza del percorso espositivo sono le opere di alcuni dei più grandi maestri che hanno operato nella città lagunare nel corso dei primi decenni dell’Ottocento influenzando significativamente con il loro insegnamento e i loro lavori lo svolgersi della pittura veneziana nella seconda metà del secolo.
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Si parte dal grande Hayez attraverso una ricca selezione delle opere più importanti, e spesso mai viste perché provenienti da prestigiose collezioni private, dei più noti artisti italiani della seconda metà dell’Ottocento con la prima fermata a piano terra per terminare con il Ritratto di donna del meno noto Lino Selvatico, opera di grande raffinatezza del 1911, già con stilemi già moderni. L’allestimento è vivace e di grande respiro con un gioco di colori e un’attenzione al racconto che conferma la grande cura delle esposizioni novaresi.
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Uno sguardo merita il bel catalogo, edito e distribuito da Mets Percorsi d’Arte, con ampi saggi che vanno ben oltre la mostra per offrire una panoramica ampia dell’arte e la cultura veneziana del periodo.
La prima sala è dedicata alla pittura di storia, considerato il “genere” più nobile della pittura, dove sono esposti quattro importanti lavori di Francesco Hayez (1791-1882), tra cui lo splendido Venere che scherza con due colombe (1830), Ritratto di Gentildonna (1835) e l’imponente Prete Orlando da Parma inviato di
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Arrigo IV di Germania e difeso da Gregorio VII contro il giusto sdegno del sinodo romano (1857); accanto ad essi opere di Ludovico Lipparini (1800-1856) e Michelangelo Grigoletti (1801-1870), artisti di rilievo nonché figure chiave nella formazione di autori di spessore della generazione successiva, anch’essi presenti in mostra, quali Marino Pompeo Molmenti (1819-1894) e Antonio Zona (1814-1892).
Nella seconda sala sono esposti quegli autori, veneziani e non, che più di altri hanno contribuito via via alla trasformazione del genere della veduta in quello del paesaggio. Qui è netto il superamento del Vedutismo che pure ha regalato una Venezia emozionante e di luce, tutta guizzi e leggerezza tipiche del Settecento. Nella sala troviamo il grande pittore Ippolito Caffi (1809-1866) con due splendide vedute veneziane: Festa notturna a San Pietro di Castello (1841 circa), emozionante, e Venezia Palazzo Ducale (1858), Giuseppe Canella (1788-1847), Federico Moja (1802-1885) e Domenico Bresolin (1813-1899), quest’ultimo tra i primissimi ad interessarsi anche di fotografia e già nel 1854 indicato tra i soci dell’Accademia come “pittore paesista e fotografo”.
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Titolare dal 1864 della cattedra di Paesaggio, Bresolin fu il primo a condurre i giovani allievi a dipingere all’aperto, in laguna come nell’entroterra, affinché potessero studiare gli effetti di luce e confrontarsi sulla resa del vero in un ambiente nuovo e stimolante, diverso da quello cui erano abituati, per di più, codificato dai grandi vedutisti del passato. Tra loro si ricordano Gugliemo Ciardi (1842-1917), Giacomo Favretto (1849-1887), Luigi Nono (1850-1918), Alessandro Milesi (1856-1945) e Ettore Tito (1859-1941), protagonisti della mostra.
La terza sala è dedicata ad uno dei più valenti e amati paesaggisti veneti, Guglielmo Ciardi, del quale sono esposte dodici opere che, come in una sorta di piccola esposizione monografica, partendo dagli anni Sessanta dell’Ottocento documentano l’evoluzione della sua pittura fino ai primi anni novanta. Sua la magnifica Veduta della laguna veneziana (1882), immagine della mostra e altre splendide tele ambientate nei dintorni di Venezia o scorci della città come il bellissimo olio Mercato a Badoere (1873 circa).
Nelle sale a seguire troviamo opere che hanno per tema la vita quotidiana, gli affetti e la famiglia dedicate alla “pittura del vero”: come Il bagno (1884) di Giacomo Favretto; Alle Zattere (1888) di Pietro Fragiacomo; Mattino della domenica (1893 circa) e La signorina Pegolo (1881) di Luigi Nono; Girotondo (1886) di Ettore Tito. Sul mondo del lavoro scorrono altre opere vivaci e ricche di dettagli con protagonisti contadini, lavandaie, raccoglitrici di riso, venditori di animali, sagre e mercati, come La raccolta del riso nelle terre del basso veronese (1878) e Il mercato di Campo San Polo a Venezia in giorno di sabato (1882-1883) di Giacomo Favretto; il malinconico paesaggio Verso sera presso Polcenigo (Friuli) (1873) di Luigi Nono; Lavandaie sul Garda (1888) e Raggi di sole ((1892) di Ettore Tito.
E per chiudere questa triplice sezione di vita quotidiana alcune tele dedicate agli idilli amorosi, un soggetto a metà strada tra il genere e il vero molto amato e frequentato dai pittori del secondo Ottocento: al bellissimo Idillio (1884) di Luigi Nono, si aggiungono tele con indimenticabili figure di giovani fidanzati e sposi di Favretto, Tito, e di Alessando Milesi con un altro Idillio (1882 circa) e Corteggiamento al mercato (1887 circa).
La settima sala è interamente dedicata con opere note e di grande livello a Luigi Nono e offre un focus su una delle opere più celebri del pittore, il Refugium peccatorum. Oltre alle redazioni del 1881 e del 1883, grandi tele condotte ad olio, sono esposti studi, disegni ed altre significative opere di confronto, come Le due madri (1886).
L’ottava e ultima sala della mostra è invece dedicata alle opere realizzate dai medesimi artisti tra la fine degli anni Novanta dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, tele di ampio respiro che riflettono il rinnovamento e il cambiamento di gusto indotti nella pittura veneziana dal confronto diretto con la cultura figurativa dei numerosi pittori stranieri che partecipavano alle nostre Biennali Internazionali d’Arte. Spiccano La danza dei pavoni (Eliana) di Mario De Maria (Marius Pictor) che già lascia intravedere i fermenti del simbolismo come ne I monaci dalle occhiaie vuote (Leggenda) e nella splendida Visione antica (1901) di Cesare Laurenti, Il Bucintoro (1902-1903 circa) di Guglielmo Ciardi; Luglio (1894) e Biancheria al vento (1901 circa) di Ettore Tito.
A cura di Ilaria Guidantoni