Nella Vita di Raffaello, Giorgio Vasari scrive: “…Raffaello, partitosi di Perugia, se n’ando con alcuni amici suoi a Città di Castello dove fece una tavola in Santo Agostino, di quella maniera e similmente in S. Domenico una d’un Crucifisso, la quale, se non vi fusse il suo nome scritto, nessuno la crederebbe opera di Raffaello, ma sì bene di Pietro. In San Francesco ancora della medesima città fece in una tavoletta lo Sposalizio di Nostra Donna…”.
Il “Matrimonio Mistico di Santa Caterina” (noto anche come “Le Nozze Mistiche di Santa Caterina d’Alessandria con San Girolamo e un Donatore”) può essere considerato ad oggi la prima opera firmata da Raffaello: in esso infatti sono state scoperte nel 2010 la “(cripto)firma” in lettere stilizzate “RAFFAEL SANT PXT” e la data 1501 in numeri romani “MDI”, inserite nella decorazione arabesca del bordo del manto di Santa Caterina (Fig. 1).
La presenza dell’Urbinate a Città di Castello in quegli anni è accertata dalle fonti storiche e consolidata dagli studi e quindi la data riportata sulla “tavoletta” è perfettamente coerente con le vicende biografiche dell’Artista che nella città Tifernate realizzò “molte sue opere in pittura fatte in quel tempo, e della sua prima maniera”, come riportato dall’Abate Filippo Titi nel suo testo pubblicato nel 1686.
Inoltre, la pratica di Raffaello di apporre la propria firma e criptofirma sui dipinti era una sua usanza tipica durante il suo periodo giovanile e fu anche una pratica di molti altri artisti prima che diventassero famosi.
Esistono infatti molti esempi di altri artisti che usavano apporre la cosiddetta criptofirma, come dimostrato anche dalla recente scoperta della firma di Luca Signorelli sulla “Crocifissione” del Perugino agli Uffizi dove nel bordo “ricamato” del manto della Maddalena, tra i soliti caratteri pseudocufici, si cela una probabilissima criptofirma di Signorelli (accompagnata dalla data 1480), secondo una modalità già osservata, in altri dipinti sia del Signorelli (come nella “Pala di Santa Cecilia” a Città di Castello, precisamente nell’abito di Santa Caterina d’Alessandria, nella predella della “Pala di Paciano”) sia del Perugino (nella “Consegna delle Chiavi”, lì dove guarda e indica l’apostolo collocato alle spalle del Redentore).
Soprattutto nel periodo giovanile, Raffaello era solito nascondere i propri riferimenti, che fossero il nome completo o il monogramma, in iscrizioni contenenti caratteri e lettere intrecciate e poco leggibili a prima vista, come era proprio in uso nella bottega del padre Giovanni e del Perugino e tra i suoi scolari.
Come afferma la storica dell’arte Rona Goffen nel suo articolo del 2003 “Raphael’s Designer Labels: From the Virgin Mary to La Fornarina”, Perugino infatti era solito abbellire i bordi dei costumi con fregi che suggeriscono iscrizioni ma che sono in realtà indecifrabili, anche se non è chiaro se sono “puramente decorativi” o pensati per suggerire la scrittura cufica, quindi evocando l’Oriente.
Elaborando – o ribaltando – l’idea, a volte Raffaello incorporava iscrizioni “decifrabili” tra i suoi fregi insignificanti.
Mentre i bordi ornamentali del Perugino inducono gli spettatori a immaginare di contenere un testo comprensibile, le lettere di Raffaello sono mascherate da decorazioni come nella “Grande Madonna Cowper” dove la data e la firma sono inserite con un monogramma sullo scollo, “allegato a una serie di geroglifici insignificanti”.
L’Opera già riscoperta e pubblicata nel 1932 da Amadore Porcella[3] – apprezzato studioso di arte che, tra l’altro, riordinò il catalogo dei Musei Vaticani –, è stata sottoposta al parere di eminenti storici dell’arte[4] con pareri unanimi sull’autografia di Raffaello così come sull’appartenenza al Suo periodo giovanile ed è stata anche oggetto di più recenti pubblicazioni[5] ed esposta in musei e istituzioni internazionali.
Il “Matrimonio Mistico di Santa Caterina” nasce probabilmente nell’ambito tifernate agostiniano legato da strettissimi vincoli con la Famiglia Vitelli, allora Signori della Città e titolari della Diocesi con Giulio – Vescovo dal 1499 al 1503: per la chiesa di Sant’Agostino di Città di Castello, Raffaello fece l’”Incoronazione di San Niccolò di Tolentino” (o “Pala Baronci”), di cui sono rimasti solo dei frammenti dispersi in più musei.
L’Ordine Agostiniano onorò Santa Caterina d’Alessandria fin dagli inizi della propria attività dedicandole molte chiese e facendone la sua protettrice in virtù della “Sapienza” che la Santa simboleggiava e quindi la vicinanza di Lei agli Ordini religiosi, come questo, dediti all’insegnamento.
Non sono conosciuti altri dipinti dell’Urbinate di questo soggetto che però Federico Zeri ha messo in rapporto con quello del medesimo tema eseguito da Francesco Floridi, detto “Francesco da Città di Castello”, definendo questo dipinto del Floridi “da Raffaello” con un chiaro riferimento al dipinto dell’Urbinate di cui il Floridi ripete con evidenza il gruppo centrale, seppure in controparte.
Il dipinto del Floridi è conservato nella Pinacoteca Comunale del centro umbro e data agli anni 1504/1505, quindi agli anni immediatamente successivi a quello dell’originale di Raffaello.
Francesco Floridi – che fu colui che fece conoscere le novità portate dal Sanzio nella Valtiberina riprendendole appunto da quelle di lui e dai suoi disegni – doveva avere ben in mente questo esempio dell’Urbinate tanto da riprenderne l’architettura per la “Madonna con Bambino in trono tra San Girolamo e San Florido” di Selci Umbro, località di origine della Famiglia Vitelli e facente parte della Diocesi tifernate.
I rapporti del Floridi con Raffaello – i due erano quasi coetanei essendo nato il Sanzio nel 1483 e l’altro nel 1485/7 – furono certamente di conoscenza diretta dato che il padre dello stesso, Battista, fu il garante dell’Urbinate e di Evangelista da Piandimeleto nel contratto per la committenza della “Pala Baronci” per la Chiesa di Sant’Agostino stipulato il 10 Dicembre 1500.
Recentemente restaurato da uno dei massimi esperti restauratori, il “Matrimonio Mistico di Santa Caterina” rappresenta un’ulteriore testimonianza dell’incredibile attività artistica giovanile di Raffaello, già a quell’età definito “Magister”, e dev’essere analizzato e comparato in relazione alle Sue opere giovanili, considerando le influenze della tradizione artistica umbra del tempo e le influenze artistiche ricevute dai grandi maestri suoi primi insegnanti – in particolar modo dal Perugino – e deve essere contestualizzato come tecnica usata e uso dei colori nella prima fase evolutiva della Sua vita artistica che trovò il massimo splendore nel periodo romano e fiorentino.
A cura di:
Giancarlo Graziani
Docente Aggiunto di Economia dell’Arte
Fondatore e coordinatore attività Ce.St.Art. (Centro Studi sull’economia dell’arte)
Salvatore Prato
Membro del Ce.St.Art. (Centro Studi sull’economia dell’arte)