Una grande mostra al Museo della Città a Livorno nell’antico edificio dei Bottini dell’Olio nel cuore del quartiere de La Venezia; un grande deposito oleario del ‘700 voluto da Cosimo III con ampi ambienti e volte a crociera, un tempo adibiti alla conservazione dell’olio, di un pittore macchiaiolo di grande raffinatezza. In programma fino al 19 settembre 2021 la mostra è organizzata da Comune di Livorno, Fondazione Livorno e Fondazione Livorno – Arte e Cultura, con il patrocinio di Regione Toscana e curata da Nadia Marchioni, che ha fatto un bel lavoro, per la scelta delle opere per qualità e varietà di soggetti e anche per il dialogo che è riuscita a
creare con gli altri pittori della scuola dei Macchiaioli. “Una rivelazione per me sono state le cose di Mario Puccini, un selvaggio pittore livornese allievo del Fattori: ha circa 50 anni. E’ un Van Gogh involontario: fortissimo; tu vedessi che colori, tu vedessi che fiere, che paesi, che mari, che barche in porto, ammassate, catramose”. Così scriveva il critico Emilio Cecchi alla moglie pittrice Leonetta Pieraccini nel 1913, indicando i due poli entro cui nacque e si sviluppò l’opera di Puccini; il grande erede del macchiaiolo Fattori, infatti, seppe rinnovare il messaggio del Maestro guardando ai più fulgidi esempi d’Oltralpe, uno su tutti il celebre Giardiniere di Vincent van Gogh (oggi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma), evocato in mostra come una delle maggiori novità visibili a Firenze dal 1910 presso la raccolta del collezionista-pittore Gustavo Sforni, che di Puccini divenne in quegli anni premuroso amico; non solo ma lo sostenne con l’acquisto di alcune opere per alimentare la sua collezione, che era entrato appunto in possesso del celebre Giardiniere (Testa di contadino). Il suo fondo riuniva accanto ai pittori livornesi opere dei francesi, come
Cézanne e Dégas, favorendo attraverso un serrato dialogo la comprensione della pittura europea per l’artista livornese. La mostra ripercorre, in un suggestivo itinerario, l’esperienza personale di sofferenza, in particolare la reclusione in manicomio a Siena, ventiquattrenne (1893-1898), per oltre quattro anni, che però non spense la passione di Puccini per la propria arte che, sostenuto infatti dall’esempio di amici artisti, fra cui Plinio Nomellini e Oscar Ghiglia, riprese a dipingere ai primi del Novecento, perfettamente aggiornato sulle novità europee grazie alle frequentazioni di importanti mercanti e collezionisti fiorentini e al vivace dibattito culturale che si sviluppava nelle sale del livornese Caffé Bardi, nel palazzo Taddeoli, dove s’intratteneva, durante il suo ritorno in Italia, il concittadino Modigliani, che con Puccini condivide l’anno di morte 1920 e che vediamo in mostra. Ad un anno di distanza dalla mostra su Modigliani, Livorno celebra l’altro suo grande figlio, erede di Fattori e, come Modì, proiettato verso orizzonti culturali europei. “Puccini sta a Fattori, come Van Gogh sta a Cézanne; ed entrambi i due coloristi, Puccini e Van Gogh, tramutano in masse fluide e vibratili i serrati e compatti blocchi dei due costruttori”, scrisse Mario Tinti. Quest’esposizione, dove l’eredità di Silvestro Lega e, soprattutto di Fattori viene evocata attraverso puntuali confronti con il più giovane artista, intende promuovere una nuova e più ampia lettura della sua opera, perfettamente allineata alla grande arte europea del primo Novecento. Se spesso i biografi ne parlano come di un uomo rozzo, ben diversa è appunto l’opinione di Cecchi e Sforni. La mostra, ricostruendo l’universo di artisti che contribuì alla maturazione del grande pittore, presenta centocinquanta opere, fra cui un importante nucleo collezionistico ritrovato in quest’occasione, che permette al visitatore di osservare dipinti e disegni assenti dalle esposizioni pubbliche da oltre cinquanta anni, talvolta mai esposti precedentemente o, addirittura, inediti, nella straordinaria occasione di aggiornamento della conoscenza diretta di uno dei grandi artisti del nostro Novecento. Colpisce l’intensità del colore, uno smalto materico di grande intensità e la capacità di restituire la vivezza della luce, le atmosfere struggenti dei tramonti in particolare. Splendide le sue marine con le barche in primo piano come in Il Lazzaretto del 1911 circa o In porto, collezione Rangoni. Di grande interesse anche i ritratti e gli autoritratti, come quelli in mostra con i quali inizia il percorso, dove l’espressione, l’ironia, la profondità dello sguardo ricordano quell’approccio critico nel guardare l’anima prima che il volto del conterraneo Modigliani. Mario Puccini, forse non uno dei più noti per il grande pubblico, mostra varietà di soggetti, di stile – arrivando a tecniche impressionistiche e divisionistiche che hanno tutto il sapore della pittura d’Oltralpe – e anche una grande capacità evolutiva.
L’artista, dopo la malattia, rientra a Livorno e per qualche tempo aiuta la famiglia nella gestione della trattoria “La Bohème”, nel centro della città riprendendo nel contempo a dipingere. Vive miseramente realizzando aquiloni e marionette, dipingendo per negozi e realizzando altri piccoli lavori artistici. Dopo la riscoperta del fascino del porto di Livorno, due soggiorni lo portano a nuove suggestioni che si riflettono sulla tela, a Digne, nell’Alta Provenza tra il 1910 e il 1913, dove viveva il fratello Amedeo. In quest’occasione la tavolozza di schiarisce il blu lapislazzuli delle marine toscane è sostituito con il giallo ocra delle abitazioni provenzali. I paesaggi di Castiglioncello e di Serravezza dove si reca tra il 1912 e il 1915 per studiare in particolare il traino del marmo da parte dei buoi, segnano una riscoperta dei soggetti fattoriani. Oltre la campagna e i buoi, la vita umile quotidiana dei lavoratori. E’ tra il 1909 e il 1921 che il citato Caffè Bardi diventa un vero e proprio cenacolo di artisti e intellettuali dove dipinge Il Lazzaretto e il realizza il disegno La Venezia livornese – quartiere caratteristico della città sui fossi – accanto ad altri artisti come Benvenuto Benvenuti, Renato Natali e Gino Romiti. Nello stesso locale Amedeo Modigliani, durante il ritorno in città nel 1909, su una carta tratteggiò il ritratto dell’amico Aristide Sommati. Nel maggio 1921 Ugo Bardi chiude poi la propria attività e alla fine del mese si tiene la vendita degli arredi e dei dipinti, alcuni dei quali in mostra. Una svolta nella sua opera avviene intorno al 1910 quando visita la prima Mostra Italiana dell’Impressionismo dove sono esposti Cézanne, Gaughuin e Van Gogh. Dal 1911 con la ripresa dell’attività pittorica, l’artista riprende l’attività espositiva che darà vita a un periodo di relativa prosperità grazie anche al sostegno di Benvenuto Benvenuti e Gustavo Pierotti Della Sanguigna che costituiscono una società per venderne i dipinti raggiungendo collezionisti importanti. Puccini espone ricevendo anche dei premi a Roma e Firenze dove, nel 1915 in occasione della Seconda Esposizione Invernale Toscana della Società delle Belle Arti ottiene la Medaglia d’oro per Bovi nell’uliveto, acquistato dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma che oggi che ne ha concesso il prestito. Purtroppo il lavoro en plein acutizza un’infezione respiratoria, portandolo alla morte nel 1920. Per il visitatore il Museo della città riserva anche la sorpresa di una piccola ma ben assortita collezione di arte contemporanea, allestita con grande suggestione negli interni barocchi della Chiesa sconsacrata di piazza del Luogo Pio, a fianco dei Bottini dell’olio e con questi collegata e inaugurata nel 2018. La selezione di opere d’arte contemporanea proviene dall’ex Museo di Arte Progressiva di Villa Maria di Livorno, un progetto museale per l’arte d’avanguardia, curato da Vittorio Fagone, Lara Vinca Masini e Aldo Passani, che prese forma negli anni 1974/1975 e si concluse alla fine degli anni ‘80 del ‘900. Fra le opere provenienti dal Museo di Villa Maria si annovera il Grande Rettile di Pino Pascali e importanti lavori di Manzoni, Castellani, Griffa, Nigro, Tancredi Parmeggiani, Trafeli, Uncini, Vedova, Isgrò e Baruchello fra gli altri. Sempre a Livorno nella ottocentesca Villa Mimbelli, dove ha sede il Museo Fattori con la pittura livornese, una sala è dedicata proprio a Mario Puccini. Una tappa importante nella città per conoscere l’antologia della pittura dei macchiaioli. Se l’allestimento tradizionale non premia i dipinti, l’arredo della villa e il suo parco sono un esempio splendido dell’architettura del periodo.
a cura di Ilaria Guidantoni