“Che cosa direbbe Susan Sontag?”La contraddizione della sovraesposizione, un dibattito sul modo in cui l’ubiquità delle immagini plasma la nostra sensibilità, a cura di Alessia Glaviano e Francesca Marani. Torna a Milano nel centro culturale Base, nel quartiere Isola, il primo festival di fotografia di moda consapevole dedicato agli elementi in comune tra etica ed estetica che, per la sua settima edizione, presenta mostre, conversazioni, eventi e panel digitali sulla piattaforma PhotoVogue con artisti da tutto il mondo e presenta più di 150 gli artisti protagonisti delle sei mostre in programma, fino al 20 novembre 2022. Come ha sottolineato l’assessore alla cultura del Comune di Milano, Tommaso Sacchi, alla presentazione per la stampa, l’immagine ha un potere forte e immediato, più dello scritto e questo spiega anche la concentrazione su temi di attualità che la fotografia riesce a far vivere senza mediazione. Non è un caso che le mostre raccontino molto il tema della corporeità legandola a problematiche attuali quali l’identità di genere, la parità di genere, la violenza ma anche il rapporto con l’ambiente in un’ottica di sostenibilità. D’altronde Audi, partner storico della manifestazione, ne condivide due punti fermi, l’innovazione e la sostenibilità appunto. Anche il contenitore culturale, nato per valorizzare giovani talenti, e voci meno ascoltate o spesso ignorate, si sposa bene con la manifestazione. Il percorso che diventa in qualche modo interattivo all’interno dei grandi spazi del Base, è a sua volta testimonianza e non mera visione: tra opere, artisti e spettatori si genera un corto
circuito emozionale, perché si tratta di mostre-manifesto dove il confine tra arte e giornalismo, fotoreportage è sottile ed intrigante perché il punto di partenza è una fotografia in linea di principio patinata, quella della moda, che in questo contesto rovescia i propri stilemi.
Tra i tanti ospiti internazionali Alfredo Jaar, David Rieff, Fred Ritchin, Yashica Olden, Yelena Yemchuk, Aïda Muluneh, Roe Ethridge, Misan Harriman, Emanuele Coccia, Gabriele Galimberti, Maria Luisa Frisa. Sei le mostre esposte negli spazi di BASEMilano e un ricco programma di eventi nelle principali gallerie d’arte della città e di conversazioni online e offline. Per questa settima edizione, come accennato, Alessia Glaviano, Head of Global PhotoVogue e Direttrice del Festival si è chiesta cosa direbbe oggi la critica americana Susan Sontag sull’effetto ‘normalizzante’ prodotto dall’esposizione ripetuta al contenuto delle immagini, avviando un dibattito su quella che Glaviano ha definito la ‘Contraddizione della sovraesposizione’, per discutere su come l’ubiquità delle immagini plasmi la nostra capacità di percepire a livello emozionale, leggere e comprendere queste ultime, e il mondo che ci circonda. Accanto alle mostre dedicate a temi sociali e politici, in scena anche la fotografia di moda consapevole con artisti propulsori del cambiamento attraverso immagini e filmati per costruire un mondo culturalmente più inclusivo.
Tra le mostre Regarding the pain of others, presenta le immagini e i filmati più iconici di eventi catastrofici della nostra storia recente, senza esporli visivamente, ma presentandoli attraverso la loro descrizione scritta. Il pubblico è così invitato a visualizzare mentalmente le immagini, una sfida per mettere in discussione il nostro ruolo di consumatori di immagini ed essere spettatori attivi e responsabili e non voyeur passivi e distratti. Face Forward: Redefining the Vogue Cover: le copertine più potenti e diverse di tutte le edizioni internazionali di Vogue protagoniste di una mostra che evidenzia il lavoro svolto da Vogue nel corso dei decenni, creando una sorta di performance. The next great fashion image makers: la mostra, che presenta 40 artisti di 24 paesi diversi selezionati da una giuria internazionale, è il risultato della prima Global Multimedia Open Call, promossa da tutte le edizioni di Vogue nel mondo per individuare i creatori di immagini di moda più talentuosi. Italian Panorama: presenta 25 artisti provenienti dalla prima Local Open Call di PhotoVogue, dedicata all’Italia come omaggio al Paese di origine di PhotoVogue, aperta a tutti i generi- dalla moda al documentario, dall’arte al reportage-e a tutti i mezzi, dalla fotografia al video, dall’illustrazione, all’arte 3D o alle combinazioni di queste discipline.
Visual Communication for Change: usare la creatività per affrontare le malattie tropicali neglette inAfrica. PhotoVogue collabora con Aida Muluneh presentando “The Crimson Echo”, il progetto della fotografa etiope e imprenditrice culturale, che insieme ad altri sei fotografi
africani sottolinea l’impatto delle malattie tropicali neglette (Neglected Tropical Diseases-NTD) sugli individui e sulle comunità.
Voice per PhotoVogue: Residency e Collezione NFT è la prima incursione di PhotoVogue nel Web3 e si è svolta in collaborazione con Voice. Durante una virtual residency estiva, ottantuno artisti di tutto il mondo hanno imparato come entrare con successo nel mondo del Web3 attraverso workshop digitali, mentorship e altre risorse. In mostra le collezioni prodotte dagli artisti. L’evento, patrocinato dal Comune di Milano, è reso possibile grazie al contributo dei partner Audi, CONAI, Crivelli, FLOS, Gucci Beauty e Xiaomi, Radio Monte Carlo, Studio RM, Urban Vision, Voice e Westwing.
Il festival si è aperto con una Lectio Magistralis di Alfredo Jaardal dal titolo “Teach Us to Outgrow our Madness”. Il lavoro di questo artista e intellettuale, nato in Cile nel 1956, vuole svegliarci da un certo torpore intellettuale e spingerci a vedere veramente, pensare, e costruirsi un’opinione ragionata. Non c’è artista più appropriato per aprire la prossima edizione del PhotoVogue Festival, dedicata alle contraddizioni che nascono dalla sovraesposizione alle immagini tipica della nostra società contemporanea. Jaar, che attualmente vive a New York, ha vissuto in prima persona la vita nel Cile di Pinochet; si è laureato in architettura durante la dittatura e ha iniziato il suo percorso artistico nel momento in cui la repressione e la censura avevano raggiunto l’apice. Quest’esperienza ha lasciato un segno indelebile su di lui, come essere umano e come artista. Alla base della sua arte c’è un messaggio
intriso di una forte componente politica, senza privilegiare un solo mezzo espressivo ma scegliendo di volta in volta il più adatto, dal video, all’immagine fotografica, alla luce fino alle installazioni multimediali. I temi ricorrenti nel suo lavoro sono non a caso la condanna dell’ingiustizia e delle atrocità, la manipolazione delle notizie da parte di alcuni media e la presunta verità oggettiva della fotografia. Il suo plus è cercare di bilanciare l’informazione, l’etica e la didattica, con la poetica e l’estetica. È proprio il lavoro di Jaar ad aver ispirato Alessia Glaviano, direttrice del PhotoVogue Festival, nella realizzazione e curatela della mostra intitolata Regarding the Pain of Others. In particolare, un’opera di Jaar intitolata Real Pictures, tratta da un progetto dedicato al genocidio del Ruanda, a cui l’artista ha dedicato sei anni della sua vita e un totale di 25 opere. Nell’agosto del 1994 Alfredo Jaar si è recato in Ruanda per testimoniare con i propri occhi la tragedia, parlando con i sopravvissuti, ha scattato una notevole quantità di fotografie oltre a registrare le voci delle persone. Esposta per la prima volta nel gennaio 1995 al Museum of Contemporary Photography di Chicago Real Pictures, è un cimitero di immagini composto da centinaia di scatole di lino nero, disposte una sull’altra a creare diversi “monumenti”; all’interno di ogni scatola era “sepolta” una delle immagini scattate da Jaar in Ruanda.
I.G.