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Articolo pubblicato in BeBeez Magazine n.8 del 10 giugno 2023
di Giuliano Castagneto
Esiste una ricetta in grado di assicurare, se rispettata alla lettera, il successo di un build up aziendale? Ovviamente no, perché ogni progetto fa storia a sé, però è possibile ravvisare alcuni elementi comuni in quei processi di costruzione di grandi gruppi che sono stati coronati da successo. Andrea Cacciapaglia, partner corporate finance/M&A presso l’ufficio milanese di EY, ma fino a pochi mesi fa managing director nel team italiano di m&a advisory di Credit Suisse e prima ancora in UniCredit e UBI/Intesa, di simili progetti ne ha vissuti tanti e quindi il suo è un osservatorio privilegiato.
Spiega a BeBeez Magazine Cacciapaglia: “Si possono evidenziare soprattutto due elementi vincenti. Il primo è la chiarezza di ruoli e funzioni. Chi cede la propria quota capitale, sia pure il 100%, quasi sempre oltre a reinvestire nel capitale della holding mantiene una funzione di responsabilità o in senso verticale, cioè per l’azienda che ha ceduto, oppure orizzontale su specifiche funzioni aziendali. Ad esempio, in un progetto di build up uno degli imprenditori coinvolti, con particolare focus sui clienti, ha messo tali skills a servizio di tutto il gruppo andando a guidarne la strategia commerciale. In secondo luogo, il coinvolgimento degli imprenditori nel capitale del polo aggregante consente di allineare al meglio i rispettivi interessi. Grazie infatti a sinergie ed economie di scala si possono ottenere notevoli incrementi di performance e di valorizzazione successiva, che difficilmente i singoli imprenditori avrebbero potuto ottenere da soli”.
Due regole chiare, che tuttavia non eliminano del tutto i rischi di fallimento, che spesso si manifestano soprattutto all’inizio, rendendo un buy and build simile a un aereo che stenta a decollare. Continua quindi Cacciapaglia: “Il nodo cruciale, soprattutto per le prime acquisizioni in ordine di tempo, è quello sull’allineamento del progetto industriale e delle valutazioni relative. In questo caso, in un recente progetto di successo, la condivisione in fase di costruzione del piano industriale e delle logiche valutative tra investitore e tutti gli imprenditori coinvolti nella prima fase, ne ha semplificato la riuscita. Su questi punti sono naufragate diverse trattative”. Cosa che, nelle fasi iniziali di un progetto, è in grado di comprometterne la buona riuscita. “Ovviamente a mano a mano che vengono concluse successive acquisizioni, questo rischio progressivamente si riduce, perché l’azienda target più facilmente riconosce i risultati e lo standing raggiunti dal polo aggregatore”, aggiunge il partner di EY.
Occorre quindi che il fondo promotore del progetto individui delle aziende, ma soprattutto degli imprenditori, che siano tra loro “compatibili”. Questo richiede “una profonda esperienza e competenza degli investitori finanziari in campo operativo e manageriale. Il know how finanziario non è più sufficiente, anche perché ormai il buy and build in Italia è diventato quasi una necessità per la natura stessa del tessuto industriale italiano a differenza di quanto riscontrabile all’estero. Infatti, l’incidenza delle operazioni classificabili come add-on/buy and build è cresciuta significativamente negli ultimi anni raggiungendo circa il 43% delle operazioni sul mercato Italia nel 2022 rispetto a circa al 22% in soli 4 anni. Ma alla competenza in ambito industriale deve necessariamente accompagnarsi una buona flessibilità, in modo da adattare date soluzioni ai singoli casi. E’ il motivo per cui queste operazioni richiedono tempi di costruzione molto più lunghi, anche oltre 12 mesi, rispetto alle classiche operazioni di m&a. Non tutti i fondi riescono a dedicarci tutto quel tempo”, conclude Cacciapaglia.