E’ slittato a questa mattina alle 10 il Consiglio dei ministri che dovrà varare l’atteso decreto a supporto di famiglie e imprese per arginare l’impatto del coronavirus sull’economia (si veda qui l’Ansa).
Il testo che circolava ieri pomeriggio (si veda qui la bozza del Decreto è ovviamente ancora da aggiustare, ma quello che conta è che dalle misure del decreto, che dovrebbero includere già quasi tutti i 25 miliardi di euro autorizzati dal Parlamento, il governo si aspetta un enorme effetto leva. Il decreto “mobilita finanziamenti per 350 miliardi di euro”, ha detto il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, sottolineando che si tratta di una cifra “equivalente” in percentuale del Pil ai 550 miliardi messi in campo della Germania.
Le misure di supporto alle imprese sono contenute nel Titolo III, a partire dall’art. 48 sull’ampliamento della dotazione del Fondo di Garanzia pmi a un totale complessivo di un miliardo di euro per il 2020, per una garanzia massima per ciascuna impresa di 5 milioni (si veda sul tema il Beez Peak del 9 marzo) e sino a nuove misure sulle cosiddette imposte differite attive (DTA) relative a cessioni di crediti deteriorati (art. 55). Mentre le misure relative alla sospensione di pagamenti imposte e contributi sono contenute nel Titolo IV, ma in realtà siamo fuori tempo massimo visto che la deadline per i pagamenti è oggi e che le imprese hanno dovuto dare la delega di pagamento giovedì scorso ai loro commercialisti. Teoricamente chi ha dato la delega può bloccare i pagamenti chiamando in banca oggi, ma sino a quando non c’è la certezza del testo definitivo del decreto, come si fa?
Vedremo che cosa è effettivamente sarà contenuto alla fine in questo provvedimento al quale tutti stanno guardando con il fiato sospeso, perché tutti sanno che quest’anno i bilanci delle aziende non solo italiane, ma di tutto il mondo, registreranno una frenata di ricavi e margini, ma nessuno sa quale sarà alla fine l’entità di questa frenata.
E’ un problema di blocco di produzione e di domanda insieme, che stanno portando a una crisi di liquidità e a una crisi finanziaria innanzitutto le aziende più piccole, ma anche quelle medie e quelle più grandi, perché tutte in queste settimane stanno bruciando cassa. E infatti non è un caso che le agenzie di rating abbiano tutte messo le mani avanti per dire che le probabilità di default degli emittenti da loro monitorati aumenteranno e che in particolare le banche si troveranno a dover fronteggiare un crescente volume di crediti deteriorati.
Uno scenario che incute timore e che, se non fosse scesa in campo ieri la Fed con il suo bazooka da 700 miliardi di dollari e tassi di interesse a zero, rischierebbe davvero di innescare la bomba a orologeria di una nuova crisi finanziaria globale a partire dal mercato dei corporate bond high yield e dei leveraged loan (si veda altro articolo di BeBeez).
Ma sul fronte degli investimenti tutto questo che cosa vorrà dire? Secondo noi ora più che la tecnica, vale il buonsenso. “Il coronavirus mette a rischio capacità di valorizzazione degli attivi in portafoglio e di fundraising da parte degli asset manager alternativi”. Lo ha scritto chiaro Dea Capital nella nota in cui ha pubblicato nei giorni scorsi i risultati di bilancio 2019 (si veda altro articolo di BeBeez).Così, avverte ora Dea Capital, “in attesa di poter valutare più compiutamente gli effetti del predetto coronavirus, la gestione del Gruppo Dea Capital continuerà a essere incentrata sullo sviluppo della Piattaforma di Alternative Asset Management, attraverso la crescita ulteriore delle attività a livello internazionale, il lancio di nuovi prodotti e il coordinamento, in particolare nella strategia di goto-market, di Quaestio sgr“.
Sulla stessa linea Tamburi Investment Partners, nella nota in cui nei giorni scorsi ha comunicato i conti 2019, ha avvertito che il 2020 sarà un anno molto complicato, dato che le conseguenze a livello economico dell’espansione del coronavirus sono assolutamente imprevedibili. In particolare, “i budget 2020 delle aziende, sia partecipate sia potenziali target, sono tutti sub judice e ancor più i piani pluriennali, per cui provare ad ipotizzare scenari o addirittura programmi specifici è a dir poco azzardato” (si veda altro articolo di BeBeez).
Ma che cosa stanno facendo i gestori dei patrimoni delle grandi famiglie? BeBeez ha interpellato Roberto Tronci, chief investment officer di Albacore, oggi gruppo Alvarium, nato nel 2016 dalla scissione di Starfin sa, a lungo family office di Carlo De Benedetti, e oggi assiste una trentina di famiglie imprenditoriali con asset investiti per circa 600 milioni di euro e quindi con una media di 50 milioni a testa di patrimonio.
“Era qualche settimana che stavamo alleggerendo l’esposizione dei nostri clienti ai titoli quotati, sia azionario sia debito, quindi in molti casi siamo riusciti a limitare le perdite. Ma certo quello che abbiamo visto giovedì 12 marzo non era prevedibile, è stato pazzesco, sembrava di essere tornati al 2008. D’altra parte, se un titolo come Enel ti perde il 20% in un giorno, vuol dire che sei di fronte a tutto ma non certo a un mercato”.
Ovvio che adesso, ha aggiunto Tronci, “sull’azionario mi sento di dire che si può tornare, certo ci sarà ancora volatilità ma i prezzi sono scesi a livelli che non si vedevano da anni. Piazza Affari è tornata proprio ai livelli del 2008. Sul fronte bond invece non mi arrischierei. I titoli di Stato non mi sembrano attraenti perché i rendimenti resteranno ai minimi e sono convinto che contestualmente vedremo parecchia offerta di carta pubblica per finanziare strumenti che a loro volta forniranno liquidità al sistema finanziario, quindi gli spazi di apprezzamento per i titoli di stato saranno veramente minimi. Quanto ai corporate, mi aspetto raffiche di downgrade di rating e un aumento dei default, quindi eviterei”.
Sul fronte dei titoli alternativi, ha concluso poi Tronci, “nel real estate credo che ci siano ancora interessanti nicchie in Europa, come il residenziale per il ceto medio-basso nel Regno Unito e il residenziale in Germania in città di seconda fascia, mentre in Italia, con quanto sta succedendo penso che Milano sia troppo cara. Sicuramente investirei in private equity europeo, in particolare buyout, perché le valutazioni delle aziende scenderanno molto, ma anche in fondi di secondario, perché con questa crisi saranno in tanti gli investitori che dovranno ripensare all’allocazione dei loro portafogli. E poi sicuramente vedo spazi di investimento in fondi specializzati in ristrutturazioni aziendali e crediti Utp. Infine sul private debt starei attento a ragionare su quale tipo di debito, diciamo che in questo momento starei un po’ alla finestra, vale un po’ quello che ho detto sul fronte corporate high yield”.
(Articolo modificato alle ore 8.40 del 16 marzo – si aggiunge un commento sulla teorica sospensione del pagamento di imposte e conìtributi)