
Gli asset alternativi, dal private equity al real estate, passando per il debito privato, il venture capital e il club deal, cioè quelli non sul mercato e tendenzialmente illiquidi, possono rappresentare una nuova opportunità per gli investimenti delle famiglie italiane più patrimonializzate, come supporto all’economia reale. Ma la rilevanza di questi prodotti sul totale distribuito dalle reti, secondo i dati Assoreti (associazione delle banche reti specializzate nella consulenza finanziaria) è solo dello 0,4%, soprattutto da quando Azimut ha deciso di ritirare la propria adesione da Assoreti, che avverrà a partire dal prossimo 21 marzo. E che aveva portato la percentuale a quasi l’1%. La raccolta netta nel 2022 è stata infatti di soli 936 milioni di euro. Oggi, stima la società di consulenza strategica McKinsey, il peso specifico degli investimenti alternativi rispetto al Pil è pari al 7% per l’Italia, a confronto di una media europea di circa il 22%. L’investimento in fondi che danno accesso a queste asset class rappresenta quindi in Italia una quota davvero minoritaria dei portafogli degli investitori, ma c’è chi auspica una crescita costante nei prossimi anni.
“Negli ultimi anni il mercato degli investimenti alternativi in Italia ha registrato un incremento di interesse, trainato soprattutto dagli investimenti in private equity e real estate. Il margine di crescita, però, è ancora enorme”, spiega a BeBeez Luigi Conte, presidente Anasf, la principale associazione di categoria dei consulenti finanziari, raggiunto a Roma nell’ambito di ConsulenTia 2023, che quest’anno compie dieci anni.
“I private market sono l’unico modo per distrarre risorse dal debito, per orientare il risparmio verso l’economia reale e per far crescere le imprese. Ma occorre incentivare gli investimenti nel settore produttivo italiano. Noi abbiamo le competenze per farlo. Ma le soluzioni disponibili sono ancora limitate e l’industria fa fatica a prendere le decisioni in questo senso. Inoltre, ci vorrebbe una presa di coscienza da parte del sistema politico in termini di sistemi incentivanti, che oggi mancano”, continua Conte.
In altre parole, andrebbe imposta una quota minima di investimento in queste asset class e bisognerebbe inserire sgravi fiscali il più possibile vantaggiosi. “I benefici di una simile attività sono evidenti, sia per le imprese che così avrebbero più soggetti da scegliere come possibili partner in un percorso di crescita, sia per l’industria del private capital in sé che potrebbe svilupparsi fino a raggiungere i livelli degli altri paesi europei”, precisa il presidente di Anasf.
Lo stesso dicasi per gli investitori istituzionali, i soggetti che dovrebbero essere i principali deputati a investire tra le altre in questa asset class. In Italia, infatti, lo fanno molto poco rispetto agli altri paesi. Mentre il loro peso specifico continua ad aumentare, stando all’ultima ricerca di Itinerari previdenziali, rapportato al Pil, il patrimonio di questi investitori non arriva al 16%, cifra che sale al 55,5% considerando anche il patrimonio del welfare privato (compagnie di assicurazione del settore vita, rami 1, 4 e 6, prevalentemente di natura previdenziale). Ma solo il 3% di queste risorse viene investito nelle alternative asset class.
C’è poi chi dice che un altro tasto dolente risiede nell’assenza o quasi di fondi di fondi privati che nascono con la finalità di mitigare il rischio e di eliminare il problema della dimensione dei private capital italiani, paradossalmente troppo piccoli per i ticket di investimento che gli istituzionali possono dare.
Conclude Conte: “servirebbe avviare un lavoro comune per svolgere attività di educazione finanziaria, inclusione e dibattito in modo da sciogliere tutti i dubbi che gli investitori possono avere e facilitare la relazione”.
E c’è, infine, chi lancia un allarme. In anni di rendimenti asfittici sui mercati, gli investitori istituzionali si erano messi a guardare con più attenzione al private market ma adesso, con la ripresa dei rendimenti sulle obbligazioni, potrebbero finire per rimananere ancora lontani da questa industria.