di Luca Rossi e Marina Ampolilla,
studio legale tributario Facchini Rossi Michelutti
La nuova Legge Finanziaria si appresta a porre rimedio (almeno in parte) a una ingiustificata discriminazione dei fondi esteri rispetto agli omologhi fondi d’investimento istituiti in Italia, risolvendo in via legislativa un tema oggetto di ampio dibattito e che ha alimentato nel corso degli ultimi anni un notevole contenzioso.
Per comprendere l’origine della discriminazione occorre evidenziare che i fondi istituiti in Italia, pur essendo astrattamente soggetti passivi IRES, non scontano alcuna imposizione sui propri redditi, ivi inclusi i dividendi percepiti da società, a condizione che il fondo ovvero il soggetto incaricato della sua gestione sia sottoposto a forme di vigilanza.
Diversamente, i dividendi corrisposti da società residenti a favore di fondi esteri sono soggetti a ritenuta nella misura del 26%, con evidente discriminazione dei fondi esteri rispetto a quelli italiani. Analoga discriminazione si riscontra in relazione al regime delle plusvalenze, posto che i fondi istituiti in Italia beneficiano dell’esenzione, mentre i fondi esteri, anche se white list, sono assoggettati a imposizione sulle plusvalenze qualificate derivanti dalla cessione di partecipazioni in società italiane.
La suddetta discriminazione a danno dei fondi esteri, rappresentando una ingiustificata lesione delle libertà fondamentali sancite dal Trattato, era stata portata all’attenzione della Commissione europea la quale aveva avviato, già da alcuni anni, un’iniziativa investigativa presso le competenti Autorità italiane (EU PILOT 8105/15/TAXU) che si è tradotta da ultimo nella modifica normativa in commento. Seppur lodevole, la modifica normativa però non risolve del tutto il contrasto con la normativa comunitaria, lasciando aperte due questioni.
- In primo luogo, la nuova norma laddove dispone che le modifiche normative si applicano agli utili percepiti a decorrere dalla data di entrata in vigore della Legge finanziaria, non elimina la discriminazione subita dai fondi esteri in relazione ai dividendi percepiti anteriormente alla suddetta modifica normativa. Il comma che prevede una specifica decorrenza alla modifica normativa non era contenuto nella prima bozza della disposizione in commento e inoltre, inspiegabilmente, si riferisce solo alla modifica relativa ai dividendi e non a quella relativa alle plusvalenze.Posto che la modifica, come evidenziato dalla stessa Relazione illustrativa, è stata introdotta per equiparare il trattamento fiscale dei dividendi e delle plusvalenze conseguiti da organismi di investimento collettivo di diritto estero a quello dei dividendi e delle plusvalenze realizzati da OICR istituiti in Italia, ponendo fine, aggiungiamo noi, a una ingiustificata discriminazione a danno dei primi, tale modifica dovrebbe avere effetto retroattivo. Si auspica, pertanto, che in linea con il principio del primato del diritto comunitario, l’entrata in vigore della nuova norma venga modificata in modo da applicarsi anche alle fattispecie pregresse. Solo in questo modo, infatti, la norma contribuirebbe a risolvere il contenzioso attualmente pendente scaturito da alcuni accertamenti con cui l’Amministrazione finanziaria ha contestato il regime di esenzione madre-figlia ai dividendi distribuiti da società italiane a favore di holding europee controllate da fondi esteri, sostenendo che si tratterebbe di costruzioni “abusive” poste in essere per aggirare la ritenuta che si sarebbe altrimenti applicata laddove i dividendi fossero stati distribuiti direttamente a favore del fondo estero. Analoghe contestazioni sono state sollevate con riferimento alle plusvalenze realizzate da società europee facenti capo a fondi esteri. Contestazioni, entrambe, che meriterebbero di essere abbandonate a luce della modifica normativa che esplicitamente riconosce come tale discriminazione fosse in contrasto con la normativa europea
- L’altra questione attiene alla possibilità per i fondi esteri extra-Ue di far valere la discriminazione. Posto che la norma interna che esenta dalle imposte sui redditi i fondi italiani assoggettati a vigilanza non opera distinzioni in funzione dell’entità della partecipazione da cui scaturiscono i dividendi o in relazione alla quale è realizzata la plusvalenza, la fattispecie in esame ricade nell’ambito di applicazione della libertà di circolazione dei capitali (e non di quella di stabilimento), con la conseguenza che eventuali restrizioni possono essere invocate anche da fondi istituiti in Paesi terzi. Sebbene, a quanto ci consta, il procedimento prima citato (EU PILOT 8105/15/TAXU) avviato nei confronti dell’Italia riguardasse solo i fondi Ue/See, al fine di prevenire ulteriori denunce sarebbe auspicabile che la modifica normativa in commento fosse estesa anche ai fondi esteri istituiti in Stati terzi. Più in dettaglio, considerato che l’art. 73, comma 5-quinquies del TUIR. subordina l’esonero dall’IRES dei fondi istituiti in Italia alla condizione che il soggetto incaricato della gestione del fondo sia sottoposto a vigilanza, analogo regime di esonero dovrebbe essere garantito ai dividendi e alle plusvalenze conseguiti da fondi esteri istituiti in Paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni con l’Italia. E ciò in quanto, in linea con la giurisprudenza comunitaria (Causa C-190/12, DFA Investment Trust Company), la possibilità, riconosciuta dai Paesi White list di ricorrere all’assistenza amministrativa garantirebbe all’autorità fiscale italiana la possibilità di verificare che l’organismo non residente, stante le sue caratteristiche, sia qualificabile alla stregua di un organismo collettivo di investimento e che il suo gestore sia assoggettato a forme di vigilanza equivalenti a quelle previste dalla Direttiva 2011/61/UE sui gestori di fondi di investimento alternativi.