
Studio Associato DWF
Dopo la lunga recessione, iniziata in Europa nel 2009 e durata quasi dieci anni, i Paesi membri della Ue hanno dovuto affrontare la crisi del debito pubblico nel 2011/2012 (ancora non completamente risolta, ma mitigata dagli interventi di liquidità straordinaria garantiti dalla Bce) e, più di recente, il problema Tancredi Marinodello smaltimento delle sofferenze bancarie, connesse prevalentemente a mutui ipotecari e finanziamenti chirografari.

La cessione dei crediti deteriorati a un valore di gran lunga inferiore al valore facciale, se effettuata in maniera massiccia e troppo rapidamente, potrebbe determinare l’insolvenza di molti istituti di credito, poiché le minusvalenze realizzate rispetto ai crediti esposti nell’attivo bancario abbatterebbero di pari importo il patrimonio di vigilanza della banca.
Tale questione reca con sé, implicitamente, la necessità (i) di ristrutturare l’operatività di alcuni istituti e, in particolare, (ii) di gestire i costi degli esuberi di personale, con preoccupanti ricadute occupazionali.
D’altro canto, l’attuale fase di crescita economica determina la richiesta di erogazione di nuovi finanziamenti all’economia reale (imprese, famiglie) a condizioni competitive. Infatti, soprattutto in Italia, il credito bancario risulta essere tuttora fondamentale, nonostante le pur virtuose riforme effettuate negli ultimi anni per incentivare la disintermediazione del credito (si veda per esempio il mercato dei minibond) a causa della struttura dimensionale delle pmi italiane.
Le istituzioni europee stanno discutendo diverse proposte di soluzione per accelerare la soluzione del problema, proprio perché l’attuale fase di crescita economica potrebbe presto o tardi essere soggetta a un rallentamento.
In tale contesto il 4 ottobre scorso la Bce ha sottoposto a consultazione pubblica il progetto di “addendum” alle Linee Guida sui crediti deteriorati, già pubblicate nel marzo 2017 (si veda altro articolo di BeBeez, ndr). Secondo questa nuova proposta, a partire dal 1° gennaio 2018 le banche titolari di nuovi crediti deteriorati (ossia erogati in precedenza, ma valutati come non agevolmente recuperabili successivamente alla predetta data) dovrebbero provvedere a coprire integralmente con accantonamenti queste poste (a) in due anni, qualora si tratti di crediti chirografi; ovvero (b) in sette anni se garantiti.
Una tale proposta ha destato la forte preoccupazione degli operatori del settore in Italia (Abi), giacché imporrebbe una veloce procedura di cessione e smaltimento degli Npl con forti conseguenze sui prezzi di alienazione (nonché, come accennato, sugli attivi bancari con rischio di tenuta di alcuni istituti di credito); un parere legale dei servizi giuridici del Parlamento Ue ha quindi paventato la possibilità che la Bce abbia travalicato il proprio mandato istituzionale.
Di conseguenza, il 9 novembre scorso Danièle Nouy (Presidente del Consiglio di Vigilanza Bce) si è dichiarata disponibile a modificare le predette linee guida sugli Npl, ipotizzando di procrastinare l’applicazione delle nuove regole ad una data successiva al 1° gennaio 2018 (si veda altro articolo di BeBeez, ndr). Ulteriormente, la Commissione Ue sta studiando la possibilità di applicare le nuove regole di “rettifica automatica” solo ai nuovi crediti (si veda altro articolo di BeBeez).
In questo momento è in corso una fase di consultazione che dovrebbe concludersi durante il mese di dicembre 2017 e, secondo alcuni, le nuove regole attualmente allo studio da parte dell’esecutivo comunitario dovrebbero escludere sia (1) i prestiti già erogati; sia (2) i crediti deteriorati in “sofferenze” prima dell’entrata in vigore delle nuove regole, garantendo così una maggiore flessibilità nello smaltimento degli Npl maturati durante la recessione (secondo alcune stime tali poste sarebbero pari a circa 700 miliardi di euro nella zona Ue).
A parere di chi scrive le preoccupazioni dei vari portatori di interesse specificamente italiani (governo, Abi, Banca di Italia) sono senz’altro fondate nella misura in cui una indebita accelerazione del processo di smaltimento degli Npl determinerebbe un crollo dei prezzi di cessione di questi ultimi e, in ultima analisi, un depauperamento ulteriore e iniquo dei patrimoni degli istituti di credito italiani, con ricadute sulle strutture aziendali e rischi occupazionali.
D’altro canto, tuttavia, gli operatori del settore degli Npl in Italia hanno assistito nell’ultimo anno a un immobilismo da parte di molti istituti di credito, soprattutto quelli di dimensioni medie o piccole, nell’affrontare il problema in questione, nell’auspicio, probabilmente, di non dover affrontare ristrutturazioni e/o aggregazioni con istituti di maggiori dimensioni.
Pertanto, nonostante la legislatura sia ormai in conclusione, riteniamo che l’esecutivo dovrebbe adottare delle misure stringenti per spingere le banche italiane ad avviare un processo di “pulizia” dei bilanci non solo con misure di favore e di stimolo, bensì anche con norme di carattere imperativo al ricorrere di determinati presupposti e requisiti imponendo, se necessario, un consolidamento di alcuni istituti di credito, prima che altri calino dall’alto decisioni che potrebbero essere a svantaggio dell’interesse nazionale, oltre al rischio di dover gestire ulteriori casi oggetto della Commissione parlamentare di inchiesta sulle insolvenze bancarie.
Più in particolare, sarebbe opportuno riaprire il dossier incompiuto della riforma delle banche popolari nonché degli istituti di credito cooperativo, cercando di sciogliere i nodi ora al vaglio delle Alte Corti e spingendo al contempo per una soluzione sì concertata con gli attori del mercato (Abi, banche popolari e Bcc, Confindustria, sindacati), ma che miri a una concentrazione degli istituti di credito che possa garantire la massa critica necessaria per gestire lo smaltimento graduale delle sofferenze e della pur necessaria ristrutturazione dell’operatività.
Purtroppo, sarà necessario affrontare in maniera ragionevole la ricapitalizzazione patrimoniale e il nodo di taluni esuberi di personale. Pur essendo ormai in corso la campagna elettorale da mesi, il nodo del settore bancario è strettamente legato alla ripresa economica, ma anche alla questione del debito pubblico italiano (posto che gli istituti di credito italiani detengono molti titoli di Stato e, a sua volta, lo Stato deve garantire il pubblico risparmio).
Concludere un percorso condiviso di questo tipo, pur essendo assai complesso, rappresenterebbe la migliore credenziale per il governo che conclude, in sostanziale continuità con il precedente, le riforme necessarie per l’Italia, prima ancora che per l’Unione Europea.