di Fabrizio Vettosi,
managing director Venice Shipping and Logistics (Palladio Holding Group)
founder VSL Club
Negli ultimi dieci anni mi sono trovato spesso a trattare della tematica UTPs/NPLs per motivi sia professionali sia associativi a livello nazionale (Confitarma e Confindustria) ed europeo (ECSA – European Community Shipowner’s Association), e ritengo che lo shipping sia una buona proxy per giudicare con adeguata razionalità la strategia impostata dalle banche per gestire la rilevante mole di crediti deteriorati accumulatasi sia per effetto della crisi finanziaria seguita al 2008 sia per lo sboom del settore specifico. Soprattutto ciò può esserci d’aiuto in vista della attesa nuova ondata di UTPs che dovrebbe generarsi per effetto della crisi Covid-19 che, a maggior ragione, trattandosi di evento straordinario e, si auspica, non ripetibile, richiede particolare cura e competenza nel gestire i rapporti di credito con le imprese colpite.
Il tema va inquadrato ovviamente nel contesto regolamentare previsto dal Calendar Provisioning imposto dal regolatore (EBA) che è stato recentemente oggetto di dibattito da parte di autorevoli esponenti dell’industria del credito (es. le recenti condivisibili affermazioni di Alberto Nagel, si veda altro articolo di BeBeez).
Fino a oggi ci si è preoccupati più di dove allocare gli UTPs (non a caso, e poi dirò, faccio riferimento a questa categoria) piuttosto che di come gestirli. Si è, infatti, usato il termine “smaltimento” che ben sintetizza l’ansia di estrarre questa componente dal bilancio delle banche, quasi fosse l’elemento centrale nonché causa delle cattive performance, salvo poi rendersi conto che il punto focale per le banche non è di natura patrimoniale bensì reddituale: le banche, infatti, hanno ancora una forte rigidità dei costi e fanno fatica a reingegnerizzare i propri modelli di business che dipendono molto dalla formazione del proprio personale.
Tuttavia, se qualcosa di buono c’è nella “tradizione” delle nostre banche, questo va ricercato nella professionalità dei bancari che si avvicinano e superano la “sessantina”, ed è rappresentata dalla capacità di analisi del credito che parte dalla conoscenza delle singole imprese e dei settori (non a caso, bandendo le moderne terminologie anglosassoni, una volta si chiamavano “settoristi”, termine brutto ma efficace per far intendere che prima che di credito bisogna essere buoni business analyst, e chi scrive nasce con questo track record).
Ebbene, queste professionalità, a volte (purtroppo raramente) sono state riscoperte, ma praticamente inutilizzate nell’ambito della gestione delle ristrutturazioni (il moderno workout). Le banche, infatti, molto spesso, pressate dall’ansia del giudizio del mercato (che giudica su metriche sbagliate) o della Vigilanza (la quale continua a prestare ancora troppa attenzione al patrimonio dei vigilati piuttosto che alla redditività), hanno preferito soluzioni definibili “comode”, tra i quali spicca la cessione dei crediti con (a volte malcelate) forme di securitizzazione in cambio di titoli ricchi (solo) di tante speranze. Ed è questo il caso dello shipping in Italia.
Vale forse la pena fare un passo indietro e riportarsi al brillante articolo pubblicato lo scorso 19 settembre su Milano Finanza da Stefania Peveraro e arricchirlo (si spera) con qualche dettaglio. Nel medesimo si fa riferimento, infatti, al termine fondo di turnaround che andrebbe declinato didascalicamente nella seguente forma: un investitore istituzionale con profonde competenze industriali verticali, semmai specializzato, capace di recuperare i valori embedded nelle imprese in crisi, facilitando il processo di ristrutturazione e assicurando le risorse finanziarie necessarie a traguardarle verso nuovi obiettivi. Francamente, se analizzo l’industria dello shipping, non mi sembra che siamo di fronte a soggetti attivi in queste forme, ma piuttosto che operano con logiche più simili ad altre due categorie di soggetti, ovvero: 1) gli operatori su distressed asset e 2) i servicer.
In particolare, mi riferisco a questa seconda fattispecie la quale non assicura né competenze specifiche superiori a quelle già in essere nelle stesse imprese né, soprattutto, rischia capitali nel processo di ristrutturazione svolgendo il ruolo di “ordinati liquidatori” di asset (lo shipping è un settore anche, ma non solo, asset based) che con parola “macabra” potrebbe meglio definirsi di coroner.
Ovviamente, le banche, nei momenti di grande pressione da parte della Vigilanza, hanno beneficiato della “permutazione” dei loro crediti in questi titoli securitizzati in cui sono contenute aspettative di recupero assolutamente insostenibili, e quindi molte speranze, ben sapendo (non sempre) che dalla semplice applicazione dei metodi di classificazione imposti dalla CRR (Capital Requirements Rules), ergo Basilea 3.5, il conto finale risulta essere molto più salato a fine corsa rispetto alla semplice vendita su basi cash della posizione, o meglio ancora attraverso una gestione diretta del credito anomalo opportunamente selezionato.
Questa ultima scelta, tra l’altro, farebbe in modo di valorizzare le risorse umane apparentemente ridondanti nell’ambito degli organici delle banche e dotate di opportune competenze, risolvendo a monte il problema dei drastici tagli di personale, prodromo di tensioni sindacali e forte resilienza organizzativa e culturale, e ponendo le basi per consistenti riprese di valore nei loro bilanci. Ma si sa, la nostra attuale normativa in materia di Diritto Fallimentare (incluso il nuovo Codice della Crisi) non aiuta, e le banche temono sempre lo spettro della eterogestione aziendale che provoca una certa riluttanza da parte delle stesse ad avere comportamenti attivi nella gestione dei processi di ristrutturazione.
Eppure in altri Paesi, comunitari e non (Danimarca, Olanda, Norvegia, Germania, Usa), limitandoci all’ambito shipping, abbiamo avuto brillantissimi casi in cui tale approccio ha pagato, evitando di arricchire con inutili fees questa categoria di intermediari, i servicer, il cui ruolo si è manifestato non solo inutile, ma anche inefficiente.
Al momento in Italia, nel settore shipping, non mi risulta che le banche abbiano generato consistenti recuperi, superiori a ciò che avrebbero potuto fare autonomamente senza sostenere inutili costi e lunghi processi che hanno ulteriormente stressato le proprie organizzazioni, nonché contribuito anche alla dispersione delle competenze interne di molte aziende debitrici con costi impliciti ben più alti di quelli visibili. Alcune banche che hanno dato luogo a questo processo di scambio paper for paper hanno persino gioito inizialmente per un puro effetto cambio dollaro/euro, non rendendosi conto, infatti, che le garanzie sottostanti sono rappresentate da asset denominati in dollari e che l’inception di questi strumenti è avvenuto quando il dollaro era debole salvo poi rafforzarsi. Vedremo quest’anno come saranno controvalutati i rispettivi strumenti nei bilanci delle banche.
A ogni modo, visto che le banche sono soggetti non solo quotati, ma soprattutto vigilati, nel rispetto del terzo pilastro degli accordi di Basilea sarebbe interessante dare maggiore disclosure dell’esito della gestione di tali processi e dei relativi risultati. Aggiungasi che più volte, anche in ambito di Vigilanza, si è discusso circa la “genuinità giuridica” di tali operazioni che con termine più pratico si definisce derecognition (si veda il grafico in pagina; per un’analisi del tema dell’assorbimento di capitale delle banche a seconda del metodo di ponderazione del rischio applicato e a seconda della strategia adottata per la gestione del credito, si veda qui l’Insight View di BeBeez del febbraio 2019, disponibile agli abbonati di BeBeez News Premium).
Personalmente, soprattutto in sede di ispezione e di Asset Quality Review, penso che tali operazioni potrebbero essere oggetto di discussione con la Vigilanza, seppur strutturate con l’ausilio di validissimi professionisti legali.
In sintesi, non ci resta che attendere i risultati di tali scelte: se i recuperi saranno consistenti e in linea con le promesse, vorrà dire che ho errato nelle mie considerazioni. Alternativamente le banche trarranno spunto per il futuro, optando per soluzioni diverse e più convenienti.
Una sola ultima riflessione riguarda il futuro: da più parti si sollecita l’intervento di Cdp quale soggetto buono per “tutte le stagioni”. Personalmente, come affermato anche in sede associativa, penso che Cdp possa svolgere un ruolo molto importante nella logistica marittima italiana, laddove tale settore venga, giustamente, riconosciuto come una delle infrastrutture più importanti del Paese, assicurando il buon funzionamento della supply chain, nonché la continuità territoriale.
In tale scenario, ritengo interessante valutare la possibilità che le maggiori associazioni della logistica marittima (Confitarma in primis) sponsorizzino la creazione di una sgr finalizzata a gestire uno o più Eltif alternativi di private debt per il rilancio ed il futuro sviluppo della nostra logistica marittima e portuale. Ciò potrebbe essere sviluppato con Cdp che avrebbe il ruolo di socio della sgr e di anchor investor, preliminarmente, attraverso un processo di selezione, potrebbe essere individuato un management team e attivare, unitamente a questo, il fundraising tra investitori istituzionali, fondazioni, endowment, enti di previdenza e così via, al fine di dotare l’industry di uno strumento di direct lending alternativo al tradizionale canale bancario. Tra l’altro, ciò assume maggior rilevanza strategica in un momento in cui i settori della logistica (marittima in particolare) avranno l’esigenza di dover competere a livello internazionale assicurandosi le risorse necessarie per far fronte ai cambiamenti tecnologici connessi ai criteri di green and sustainable finance imposti sia dalla nuova taxonomy sia dall’entrata a regime del green and social supporting factor previsto da Basile 3.5.
Non ci resta che replicare ciò che è stato già pensato e realizzato (in otto mesi) in altri Paesi Ue (Olanda e Norvegia), ci riusciremo ?
Per entrare nel dibattito tra addetti ai lavori e sottoporre un articolo da pubblicare nella sezione Commenti di BeBeez,
si prega di scrivere a stefania.peveraro@edibeez.it