Nella serata dello scorso 8 novembre il Consiglio dei Ministri ha approvato in esame preliminare il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, il decreto legislativo che, in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155, riforma la legge fallimentare sulla base della proposta consegnata al governo dalla Commissione Rordorf . La delega del Parlamento al governo per operare la riforma andava esercitata entro il prossimo 14 novembre.
Il Codice, si legge nel comunicato di Palazzo Chigi, “ha l’obiettivo di riformare in modo organico la disciplina delle procedure concorsuali, con due principali finalità: consentire una diagnosi precoce dello stato di difficoltà delle imprese e salvaguardare la capacità imprenditoriale di coloro che vanno incontro a un fallimento di impresa dovuto a particolari contingenze”.
Tra le principali novità:
- si sostituisce il termine fallimento con l’espressione “liquidazione giudiziale” in conformità a quanto avviene in altri Paesi europei, come la Francia o la Spagna, al fine di evitare il discredito sociale anche personale che anche storicamente si accompagna alla parola “fallito”;
- si dà priorità di trattazione alle proposte che comportino il superamento della crisi assicurando continuità aziendale;
- si uniforma e si semplifica la disciplina dei diversi riti speciali previsti dalle disposizioni in materia concorsuale;
- si prevede la riduzione della durata e dei costi delle procedure concorsuali;
- si istituisce presso il Ministero della giustizia un albo dei soggetti destinati a svolgere su incarico del tribunale funzioni di gestione o di controllo nell’ambito di procedure concorsuali, con l’indicazione dei requisiti di professionalità esperienza e indipendenza necessari all’iscrizione;
- si armonizzano le procedure di gestione della crisi e dell’insolvenza del datore di lavoro con forme di tutela dell’occupazione e del reddito di lavoratori.
Il decreto, che passa ora alle competenti commissioni parlamentari, contiene un art. 101 modificato rispetto a un testo che inizialmente era stato circolato e che aveva preoccupato non poco gli addetti ai lavori circa il trattamento della nuova finanza in prededuzione.
Oggi il secondo comma dell’art. 101 recita che “in caso di successiva ammissione del debitore alla procedura di liquidazione giudiziale, i predetti finanziamenti non beneficiano della prededuzione quando il piano di concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti risulta, sulla base di una valutazione dal riferirsi al momento del deposito, basato su dati falsi o sull’omissione di informazioni rilevanti o il debitore ha compiuto atti in frode ai creditori e il curatore dimostra che i soggetti che hanno erogato i finanziamenti, alla data dell’erogazione, conoscevano tali circostanze”.
E’ sparita quindi dal testo l’ipotesi, prevista dall’art. 106 di una precedente versione, di decadenza o revoca della prededuzione nel caso in cui, nel corso della esecuzione del piano, “si siano verificati scostamenti tra i dati di piano e i dati consuntivati tali da rendere, sulla base di una valutazione da riferirsi all’epoca, il predetto piano manifestamente inattuabile”.
Quella frase in sostanza significava che la prededuzione del credito vantato da un finanziatore avulso da qualsiasi “intento fraudolento” sarebbe comunque potuta venire meno nel caso di scostamento in negativo dei dati reali da quelli previsti dal piano
Peraltro, l’art. 58 del nuovo testo disciplina proprio l’ipotesi della modifica del piano dopo l’intervenuta omologazione e stabilisce che “qualora dopo l’omologazione si rendano necessarie modifiche sostanziali del piano, l’imprenditore apporta al piano le modifiche idonee ad assicurare l’esecuzione degli accordi, richiedendo al professionista indicato all’articolo 57, comma 4 (il pofessionista indipendnete che ha attestato il primo oppiano, ndr), il rinnovo dell’attestazione”.