Moby lo scorso febbraio non ha pagato la cedola sul suo bond da 300 milioni di euro né ha pagato gli interessi dovuti sulla linea di credito revolving da 260 milioni e ora che è passato anche il periodo di grazia, si trova ufficialmente in default. Lo ha comunicato il gruppo armatoriale nei giorni scorsi, precisando che “date le attuali difficili circostanze, il gruppo è attivamente impegnato in discussioni con uno specifico gruppo di obbligazionisti, con i finanziatori e con i commissari di Tirrenia in amministrazione straordinaria in relazione alla ristrutturazione del debito del gruppo” (si veda qui il comunicato stampa).
Gli obbligazionisti di cui parla la nota sono riuniti nell’Ad Hoc Group e prevalentemente hedge fund (tra cui Soundpoint Capital, Cheyenne Capital e York Capital, affiancati sul piano legale da DLA). I fondi avevano comprato tempo fa sul mercato secondario oltre il 50% dell’emissione obbligazionaria quotata alla Borsa del Lussemburgo, le cui negoziazioni sono ora sospese, dopo che lo scorso febbraio avevano toccato il minimo attorno a 29,5 centesimi, per risalire solo sino a 32,7 centesimi nei giorni scorsi.
Il 29 febbraio è scaduto con un nulla di fatto lo standstill agreement che Moby aveva siglato l’11 febbraio scorso i fondi per trovare una quadra su un possibile accordo di ristrutturazione del debito, senza che gli obbligazionisti mettessero in atto misure di rimborso forzato dei bond. La nota della società, infatti, precisava che proprio nell’ambito delle discussioni aperte per la ristrutturazione del debito, Moby non avrebbe pagato le cedole dovute sul bond a metà febbraio, fatto questo che tecnicamente è considerato un evento di default. Ma appunto, contava sullo standstill agreement, che però è scaduto senza che nel frattempo tra i fondi e la famiglia Onorato sia stata trovata un’intesa (si veda altro articolo di BeBeez).
Contemporaneamente la compagnia armatoriale aveva siglato un analogo standstill agreement con le banche finanziatrici su un pacchetto di linee di credito a medio termine e revolving per complessivi 260 milioni di euro, per discutere di una possibile ristrutturazione. Anche la moratoria con le banche è scaduta a fine febbraio.
I numeri dei 9 mesi del gruppo lo scorso 12 dicembre hanno evidenziato un ulteriore netto peggioramento della situazione della cassa (si veda altro articolo di BeBeez): in nove mesi, infatti, il gruppo armatoriale ha bruciato oltre 115,9 milioni di euro dopo i 108,1 milioni bruciati nei primi nove mesi del 2018, mentre tra gennaio e giugno era stata bruciata cassa per 83,1 milioni (si veda altro articolo di BeBeez). A fine settembre 2019, quindi, Moby aveva cassa per 56,2 milioni contro gli 89 milioni di euro di fine giugno e contro i 125,5 milioni di cassa che aveva a fine settembre 2018.
Rirordiamo poi che a inizio marzo si è venuto a creare un altro problema per i conti di Moby. La Commissione europea ha infatti finalmente stabilito che gli 846 milioni di euro pubblici versati alla compagnia Tirrenia (controllata al 100% dal gruppo Moby dal 2015) tra il 2009 e il 2020 non sono aiuti di Stato. Se così non fosse stato, la Commissione avrebbe potuto imporne il recupero. Ma proprio questo fatto si trasformerà in un problema per Moby, perché ora non avrà più scuse per non pagare i 180 milioni di euro che ancora deve allo Stato italiano. Si tratta del saldo dovuto per l’acquisizione del 60% di Tirrenia-Cin che ancora non era di Moby (da qui l’accenno, nella nota diffusa nei giorni scorsi, ai commissari di Tirrenia in amministrazione straordinaria, la bad company rimasta in capo allo Stato dopo la privatizzazione del 2012).
Tirrenia era stata valutata 376,9 milioni di euro di cui 197 milioni di componente fissa e il resto variabile. Dei 197 milioni, Moby aveva pagato 135 milioni al closing dell’operazione nel luglio 2012 mentre aveva saldato i restanti 62 milioni nel febbraio 2016 in occasione del rifinanziamento del debito (si veda altro articolo di BeBeez). I restanti 180 milioni dovevano essere pagati in tre rate, senza interessi, correlate a una serie di condizioni. La prima rata da 55 milioni andava pagata nell’aprile 2016, la seconda da 60 milioni entro l’aprile 2019 e la terza da 65 milioni nell’aprile 2021. Moby però non ha ancora mai pagato nulla, giustificandosi con il fatto che non è stato ancora reso noto l’esito dell’indagine da parte della Commissione Ue sui contributi pubblici dati alle società dell’ex Gruppo Tirrenia. Secondo una clausola del contratto di cessione di Tirrenia a CIN, il pagamento allo Stato dei 180 milioni residui si sarebbe effettuato solo dopo un pronunciamento definitivo di Bruxelles sul tema aiuti di Stato. Ora la decisione della Commissione Ue rende immediatamente esigibili le prime due rate per un totale quindi di 115 milioni.