
Mentre si avvicina la data del 10 novembre, termine ultimo entro il quale le piattaforme di equity e lending crowdfunding dovranno ottenere l’autorizzazione a operare sulla base del nuovo Regolamento Europeo in materia di crowdfunding (si veda altro articolo di BeBeez), in Italia a oggi ancora nessuna piattaforma è già in regola. Lo riferisce CrowdfundingBuzz (edito da EdiBeez srl come BeBeez), precisando che in tutta Europa per ora sono 58 le piattaforme che hanno già ricevuto il via libera , ciascuna dalla Autorità competente del proprio paese. Il dato emerge dall’elenco tenuto dall’ESMA (European Securities and Markets Authority): la maggior parte delle piattaforme autorizzate è in Francia (15) e nei Paesi Bassi (12), seguite dalle 8 della Spagna e dalle 6 della Lituania. Tra i nuovi Paesi ad avere autorizzato almeno una piattaforma spicca la Germania. L’Italia, invece, appunto manca ancora all’appello. E non certo per colpa delle piattaforme.
Ricordiamo infatti che la Commissione Ue nel luglio 2022 aveva esteso di un anno, rispetto alla data iniziale fissata per il 10 novembre 2022, il periodo transitorio del nuovo Regolamento Europeo in materia di crowdfunding per i fornitori di servizi già attivi che operano secondo le regole nazionali e quindi per tutte le piattaforme fintech di equity e di lending (si veda qui il testo della Comunicazione della Commissione Ue).
Allora l’Italia non aveva ancora deciso quale Authority sarebbe stata quella a cui doveva essere assegnato il compito di dare le autorizzazioni, il che aveva creato una situazione pericolosa. Infatti per questo motivo i gestori dei portali non potevano depositare la richiesta e far partire il processo autorizzativo (si veda altro articolo di BeBeez). La conseguenza sarebbe stata lo stallo del mercato oppure la corsa delle piattaforme italiane a trasferire la sede legale in un altro paese europeo
Il decreto attuativo in questione è arrivato però soltanto a fine marzo scorso con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto legislativo 10 marzo 2023, n. 30. A quel punto Consob si è data subito da fare, ma è riuscita a rilasciare l’aggiornamento del Regolamento italiano sul crowdfunding soltanto lo scorso 1° giugno. Di fatto, le piattaforme italiane hanno potuto procedere a presentare le prime domande di autorizzazione soltanto nella seconda metà di giugno.
Lo scorso 20 Luglio, in occasione della presentazione dell’ottavo Report italiano sul Crowdinvesting realizzato dall’Osservatorio omonimo della School of Management del Politecnico di Milano, Emma Iannaccone di Consob aveva riferito che a quella data, le domande depositate erano 25 (si vedano qui l’articolo di CrowdfundingBuzz e qui quello di BeBeez).
Ma il processo autorizzativo sta prendendo ora molto tempo. Secondo quanto riferito da CrowdfudingBuzz, infatti, oltre ai necessari tempi tecnici, peraltro previsti dal regolamento stesso, molte piattaforme lamentano un’eccessiva puntigliosità nelle richieste aggiuntive dalle Autorità, soprattutto relative a organizzazione, bilanci previsionali e modello di business, che sono di competenza di Banca d’Italia e che sarebbero oltretutto sproporzionate rispetto alla dimensione delle aziende che gestiscono i portali. Richieste, peraltro, che pare che in altri Paesi non vengano fatte dalle rispettive Autorità locali.
Qualora le domande non venissero accolte e approvate entro il 10 novembre, le piattaforme italiane non potrebbero operare, cancellando così interamente il crowdinvesting. Ma anche solo l’incertezza su quando una piattaforma potrà ottenere l’autorizzazione creerà un forte disagio. Sempre CrowdfundingBuzz fa presente che, per esempio, sembra che una campagna lanciata poniamo a ottobre, non potrà essere proseguita oltre il termine del 10 novembre, in quanto autorizzata in base alle precedenti regole. Dunque a ottobre è probabile che il mercato si fermerà. Infine, oltre al ritardo temporale, se fosse accertato che le richieste di compliance dell’Autorità italiana fossero molto maggiori e restrittive rispetto a quelle delle altre autorità europee, si genererebbe un evidente squilibrio tra l’Italia e gli altri mercati europei. E questa situazione penalizzerebbe enormemente non solo le piattaforme di crowdinvesting italiane, ma anche le startup, le pmi e gli investitori.