Blockchain non è solo sinonimo di criptovalute. Questa tecnologia sta rivoluzionando svariati settori, compreso l’agroalimentare italiano. Il settore è stato molto vivace l’anno scorso anche in termini di deal di private capital, come evidenziato dal Report Agroalimentare BeBeez 2018 (disponibile qui per i lettori di BeBeez News Premium 12 mesi, scopri qui come abbonarti a soli 20 euro al mese).
Dell’impatto che ha avuto la blockchain sul settore, si è parlato lo scorso 17 aprile all’evento “Blockchain: la tecnologia a supporto del settore vitivinicolo e alimentare”. L’incontro si è svolto presso la sede milanese dello studio legale internazionale Withers, specializzato in consulenze alle imprese del settore agroalimentare e vitivinicolo e che da poco ha inserito a Londra un dipartimento che si occupa di FoodTech.
La blockchain è un registro pubblico che contiene dei blocchi di informazioni. Nel caso dei bitcoin riguardano una transazione, nel caso del settore agroalimentare riguardano un prodotto. Quando il blocco di informazioni raggiunge la capienza massima, viene chiuso e criptato. Poi il blocco è condiviso con tutti i partecipanti della rete blockchain che hanno il compito di verificare le informazioni, poi approvarle, trasformandole così in nuovi occhi di una catena. L’inserimento di ulteriori dati crea un nuovo blocco, distribuito nella rete, che una volta approvato si aggiunge alla catena. “La blockchain è paragonabile alla scrittura su pietra, perché certa, ordinata cronologicamente e marcata temporalmente, sicura perché criptata, immutabile, trasparente, giuridicamente valida grazie alla legge 12/2019 (si veda altro articolo di BeBeez, ndr)”, ha spiegato Jacopo Liguori, responsabile del dipartimento Intellectual Property & Technology di Withers.
La blockchain è applicata a diversi settori: criptovalute, immobiliare, auto, sport, sanità, lusso, arte, copyright, agroalimentare. Nello sport, la Juventus ha appena lanciato una piattaforma blockchain in partnership con la piattaforma Socios.com, dove i tifosi possono interagire con la squadra in modo certificato. Nel lusso, Lvmh ha lanciato un’iniziativa blockchain per garantire l’autenticità prodotti a marchio Vuitton, che presto potrebbe essere estesa agli altri marchi del gruppo. Nell’arte, la blockchain permette di certificare la data creazione di un’opera e sua circolazione tra i collezionisti, anche garantendo il loro anonimato. Nella sanità, la blockchain permette di condividere i dati sanitari, per ridurre il tempo di valutazione delle terapie. Nel 2017 il notariato si è attivato per fare la sua blockchain.
Nell’agrolimentare, sono numerose le applicazioni basate su blockchain, che è utile per: garantire la tracciabilità della filiera (trasparenza, identificazione delle contaminazioni e accertamento delle responsabilità in caso di problemi); assicurare lo sviluppo tecnologico con una maggiore automazione della filiera; allinearsi alle esigenze dei Millennials; garantire il rispetto della normativa del settore; rafforzare la lotta alla contraffazione. Infine, la blockchain è anche uno strumento di marketing, perché promuove lo storytelling sul prodotto). Da una ricerca condotta da Withers al Vinitaly 2019, i consumatori risultano scettici nei confronti della blockchain perché la associano al bitcoin e ne sanno poco. Questo implica che aziende devono educarli a questo tipo di tecnologia. Le imprese a loro volta inoltre ritengono che ai prodotti di fascia alta non serva la blockchain, che non sia un investimento giustificato.
Federico De Poli, blockchain architect e digital transformation manager in EY, ha spiegato in proposito che oggi servono tracciabilità, trasparenza e comunicazione sui prodotti ai consumatori, che vogliono sempre più informazioni prima di scegliere cosa comprare. Alcuni di loro sono anche disposti a pagare di più per avere più informazioni. Per questo EY l’anno scorso ha lanciato Ops Chain for food traceability, una tecnologia blockchain che segue il prodotto lungo tutta la filiera attraverso un QR code. Le informazioni possono essere fornite dalle aziende produttrici, dalle singole aziende della filiera di produzione oppure rilevati da EY. Ops Chain permette ai produttori di integrare tutte le informazioni della filiera, migliorare la loro reputazione , incrementare i margini per la maggiore qualità percepita del prodotto.
EY ha lavorato con Carrefour a un progetto della durata di 3 mesi per il tracciamento della filiera di polli, limoni e arance. Carrefour è stata la prima insegna della GD in Europa a utilizzare la blockchain per certificare la filiera qualità dei suoi prodotti con l’obiettivo sia di avere informazioni su tutta la filiera, sia di dare maggiore valore ai prodotti a suo marchio. Nel settore vitivinicolo, EY ha lavorato per 3 mesi con Lavis, un vino prodotto da Casa Girelli, che perdeva 2 milioni di ricavi per contraffazione. Dopo l’applicazione di Opschain, l’azienda ha ottenuto un aumento del Roi del 15%, oltre a preziose informazioni sui clienti che acquistano il suo vino.
Casa Girelli non è l’unico produttore di vino ad applicare la blockchain. Ruffino, leader di mercato nel Chianti Classico Gran Riserva e terza azienda italiana per fatturato generato all’estero (si veda altro articolo di BeBeez), ha applicato la tecnologia blockchain con un progetto pilota, su proposta dell’ente certificatore internazionale DNV. Come ha raccontato Sandro Sartor, amministratore delegato di Ruffino: “Abbiamo deciso di aderire al progetto pilota per dimostrare i nostri standard qualitativi, spiegare i controlli eseguiti sul prodotto, combattere la contraffazione, raccontare da dove viene il nostro vino, guadagnare fiducia e credibilità”. Grazie alla blockchain non è più l’azienda a parlare del suo prodotto, ma un ente certificatore esterno, rendendo le informazioni più certe e affidabili rispetto a quanto racconta l’azienda stessa. I dati raccolti riguardano: coltivazione dell’uva, produzione, confezionamento, distribuzione, vendita. Il consumatore accede a tutte queste informazioni tramite il QR code presente sulle bottiglie, con la dicitura “My Story”.
La blockchain è stata inoltre recentemente applicata alle ricette da pOsti, fondata nel giugno scorso da Virginio Maretto (ceo) e Carlo Fornario. “Grazie alla tecnologia blockchain tracciamo i dati sul cibo, individuando una killer information, ossia la più importante e interessante da dare a consumatore e tracciare con la blockchain”, ha spiegato Virginio Maretto. Il consumatore accede alle informazioni tramite un QR code. Con lo chef stellato Antonello Colonna, la startup nel luglio scorso ha lanciato la ricetta tracciata della Panzanella nel luglio scorso, tracciando la storia del pomodoro. Nell’ottobre 2018 hanno fatto la ricetta tracciata della pappa al pomodoro, con lo chef Luigi Sciullo, evidenziando la cottura e gli aspetti nutrizionali del pomodoro. A marzo 2019 hanno tracciato la mozzarellina romana fritta, approfondendo la produzione della mozzarella. Nello stesso mese hanno tracciato la ricetta di aragosta alla catalana, tracciando la provenienza di aragosta, insieme al ristorante Gallura di Roma. Il 5 aprile hanno lanciato un progetto sul vino con l’oste Mario Lorenzon di Venezia, parlando tracciando le analisi di laboratorio sulla quantità pesticidi e solfiti nel vino. Hanno appena lanciato un progetto di tracciabilità dei mercati rionali di Roma, tracciando la filiera ortofrutticola.