In un Paese come l’Italia, in cui il 98% delle imprese ha fatturato meno di 10 milioni e impiega meno di 50 dipendenti, e dove una su due è costituita in forma di società di persone, ditte individuali o semplici partite IVA,
le garanzie pubbliche dovrebbero essere di entità inversamente proporzionale alla dimensione. Questo per sostenere crescita dimensionale e stabilità, investimenti o liquidità, favorendo l’accesso al credito. È quanto si legge nelle proposte di modifica al Fondo di Garanzia per le Pmi contenuto in un progetto di ricerca in corso tra il gruppo Nsa e l’Università Cattolica di Milano (si veda qui il comunicato stampa), presentata ieri a Milano da Francesco Salemi, ceo del Gruppo Nsa,e a cui ha collaborato direttamente il prof. Riccardo Bramante.
Il Gruppo NSA è il principale mediatore creditizio in Italia per fatturato. Nato nel 2001, oggi conta oltre 300 collaboratori – di cui il 25% consulenti – 35 mila imprese clienti, oltre 50.000 operazioni gestite e 25 banche partner. Il Gruppo NSA offre alle PMI consulenza e accompagnamento nella relazione con gli istituti bancari per i finanziamenti tramite il Fondo di garanzia, gestendo integralmente tutto il processo relativo alla garanzia del Fondo. Tra le ulteriori aree di competenza quella del brokeraggio Assicurativo, con NSA Soluzioni Assicurative, e la finanza agevolata, con ALA.
Come si legge nella nota di Nsa: “il sistema di rating di MCC va utilizzato solo per gli accantonamenti ai fini dei rischi futuri. Va completamente rivisto e reso più dinamico e meno statico. Oggi 4 micro pmi su 10 ricadono nella garanzia al 60% per operazioni di liquidità” (qui le proposte di modifica). Del resto il fondo di garanzia per le pmi è lo strumento fondamentale, anche in termini quantitativi perché queste rappresentano il 15% del Pil, per il sostegno e lo sviluppo delle imprese, come è avvenuto di recente nel 2020 e prevedibilmente nel 2023.
Bisognerebbe però, si legge, eliminare dalla garanzia pubblica le operazioni inferiori ai 18 mesi. Secondo Banca di Italia, infatti, i finanziamenti fino a 12 mesi rappresentano il 22% del totale. “Nei nostri calcoli abbiamo inserito che le operazioni fino a 18 mesi rappresentano circa il 30% del totale delle domande di accesso al fondo di garanzia, e il 18% circa delle garanzie totali richieste per valore”. Entro 12 mesi le garanzie finanziarie sono ammontate a 153,2 miliardi di euro e oltre i 12 mesi a 525,2 miliardi per un totale di 678,4 miliardi.
Sulla base di queste considerazioni, la ricerca si fa portatrice di una serie di proposte.
a) Utilizzando le risorse oggi disponibili senza richiedere ulteriori stanziamenti allo Stato, è stata dunque elaborata una proposta che si struttura su alcuni punti, già accennati sopra: portare l’intensità delle garanzie pubbliche all’80% per le imprese micro-piccole (quelle fino a 10 mln di fatturato e meno di 50 dipendenti), indipendentemente dalle finalità per cui i finanziamenti sono utilizzati. Oggi c’è una differenziazione in base al rating e alla finalità, che nel caso di liquidità abbassa la garanzia al 60. Nel caso dal rating, invece, classifica l’impresa beneficiaria come più o meno affidabile, facendo variare la percentuale di garanzia;
b) A seguire, rimodulare la garanzia per le medie imprese, portandola al 60%, sempre indipendentemente dal rating e dalle finalità per il cui il finanziamento è ottenuto;
c) Eliminare le garanzie sui prestiti di durata inferiore ai 18 mesi, che si riallocherebbero in quelli oltre i 18 mesi e in parte sarebbero gestibili dal sistema bancario senza garanzie con credito commerciale (cassa, anticipo fatture ecc);
d) Eliminare il consolidamento delle passività e lasciare la rinegoziazione, che consente alle imprese indebitate con garanzie pubbliche di allungare il piano di ammortamento e abbassare la rata mensile.
La coerenza delle misure è confermata dalle analisi effettuate. Le piccole imprese sono le maggiori fruitrici del fondo di garanzia: dall’analisi dei dati del FdG relativi a 2,8 milioni domande presentate al fondo emerge che circa il 95,7% delle richieste sono presentate da imprese sotto i 10 mln di fatturato; il restante 4,3% quasi esclusivamente da imprese che sono classificate come di media dimensione (quelle fino a 50 mln di fatturato e meno di 250 dipendenti). Le prime impegnano però il 74,9% delle garanzie pubbliche messe a disposizione, le seconde impegnano il restante 25,1%.
Le proposte di NSA si basano sulla constatazione che le imprese più piccole non hanno risorse manageriali necessarie a gestire al meglio i rapporti con le banche, sono sottocapitalizzate e hanno una bassa capacità di offrire garanzie al sistema bancario.
Quelle di dimensioni medio grandi, invece, sono gestite managerialmente, sono in grado di pianificare il futuro, possono accedere a garanzie alternative, come i covenant, e sono ben capitalizzate.
Secondo le stime effettuate i fondi disponibili bastano: si assommano i 4 mld di euro dal decalage, ovvero le garanzie che si liberano perché le imprese restituiscono in tutto o in parte i finanziamenti garantiti, agli 1,5 mld circa che è il risparmio dovuto al rallentamento, -70% circa, delle domande presentate questo anno rispetto a quelle previste in sede di stanziamento dei fondi nel 2021. Sostanzialmente si può arrivare a superare le 300.000 domande utilizzando i 5,5 mld disponibili.
Il rapporto tra imprese e banche, grazie alle garanzie pubbliche, è stato approfondito da PricewaterhouseCoopers analizzando l’andamento del portafoglio crediti intermediato da Nsa, dal 2006 ad oggi, che può contare su oltre 37.000 operazioni intermediate per circa 8,5 mld di erogato.
Tutti gli indicatori estratti da PwC sulle operazioni intermediate dal gruppo sono positivi: questo, oltre a sottolineare la qualità del portafoglio intermediato, a basso rischio per le banche, evidenzia come il mercato, con al centro le garanzie pubbliche, si dimostri reattivo.
L’attuale stato di salute post pandemico delle pmi è stato l’oggetto di una specifica ricerca, effettuata dall’Ufficio Studi del Gruppo Nsa.
Il confronto si basa sull’analisi, effettuata su oltre 378.000 imprese, dei bilanci 2021 delle Pmi vs i bilanci 2020 e 2019. I risultati mostrano che a livello territoriale, le imprese i cui bilanci registrano un miglioramento degli indicatori selezionati nel 2021 rispetto all’esercizio 2019, sono concentrate nelle regioni Lombardia (26%), Veneto (11%), Emilia-Romagna e Lazio (10%).
Ci sono regioni in cui il numero di imprese che hanno registrato miglioramenti è stato molto contenuto, come Friuli, Liguria e Abruzzo 2%, Basilicata, Sardegna, Calabria e Umbria 1%, Molise e Valle d’Aosta 0%.
Sulla base dei bilanci 2021, le imprese che hanno invece subito un peggioramento nei principali indicatori sono molto più contenute. Le regioni che presentano un numero rilevante di imprese dagli indicatori 2021 in peggioramento, rispetto ai dati 2019, sono: Lombardia (27%), Lazio e Veneto (11%), Emilia-Romagna 9%, Toscana 8%.
Il numero di imprese che hanno avuto indicatori stabili rispetto a quelli dei bilanci 2019, sono così sintetizzabili: in Lombardia 26% delle imprese, nel Veneto l’11%, nel Lazio e in Emilia-Romagna il 10%, in Toscana e Campania il 7%. I Macrosettori, anche quelli più colpiti dalla crisi pandemica, hanno dato segnali confortanti di ripresa nel 2021 rispetto al 2020; tra i settori in cui le imprese hanno registrato i miglioramenti più significativi rileviamo il Commercio – dove il 31% delle imprese ha registrato un miglioramento degli indicatori – l’Industria il 26%, i Servizi il 24% e l’Edilizia il 15%. Il peggioramento degli indicatori si registra nelle imprese dei Macro Settori Commercio nel 29% e Industria 28% dei casi (rispettivamente erano il 33% e il 28% nel raffronto dei bilanci 2019 vs 2021), e nel 26% dei bilanci delle imprese dei servizi.
Nel 2021 e nei primi mesi del ’22 le imprese italiane avevano ridotto notevolmente le richieste di finanziamenti, per due ragioni: la grande provvista fatta nel 2020 e l’ottimo andamento del 2021, pur mantenendo basse le domande di finanziamento, hanno trovato, secondo i dati Bankitalia del primo semestre, un livello di accoglimento molto ridotto da parte delle banche. Queste ultime, per motivi comprensibili, non possono soddisfare l’intera domanda: per questa ragione sta crescendo l’attività dei Fondi di Private Debt.
Le prospettive e gli impegni di questi fondi sono state illustrate da Alessandro Tappi, direttore investimenti del Fei, e da Paolo Testi, co-fondatore e Director della sgr Ingenii.
Tappi ha affermato, tra l’altro: “I fondi di private debt sono canali alternativi e complementari a quello bancario e rispondono a dei bisogni specifici delle imprese, cui non sempre sanno rispondere in maniera adeguata le banche. Negli Usa l’80% del credito proviene da canali non bancari, in Europa il contrario. Sono 10 mld i finanziamenti erogati da questi fondi In Italia, nei primi sei mesi del 2022, e il mercato è in netta crescita”.
Testi, presentando la sgr, ha dichiarato “Ingenii è stata pensata come una piattaforma dove si possano incontrare i bisogni delle piccole e medie imprese Italiane ed investitori che vogliono un’esposizione a questo segmento con un ritorno molto interessante aggiustato per il rischio. Il mercato ci sta dando ragione ed abbiamo raggiunto l’85% della raccolta del primo fondo “Ingenii Sviluppo Impresa”, pari a circa 100 milioni di euro”.
Varie le iniziative realizzate per sostenere le imprese come il 5DAYS, un progetto nato dalla collaborazione tra Banca Valsabbina e Gruppo Nsa con il supporto di partner istituzionali, che ha promosso 110milioni di finanziamenti garantiti a 651 imprese, tutti approvati nel giro di cinque giorni dalla richiesta. I dati sono stati illustrati da Angelo Roversi, Responsabile Settore Pianificazione Strategica e Progetti Speciali di Banca Valsabbina.
Tutti gli istituti di finanziamento come le banche e i fondi di Private Debt, che stanno tra l’altro iniziando a potenziare il Private Market, hanno necessità di investire e finanziare imprese che presentino le migliori condizioni di affidabilità e per cui, nel caso di default, sia certa o quasi la possibilità di escutere le garanzie. Tools determinanti per gli istituti bancari, ma soprattutto per i Fondi di Private Debt che devono a loro volta offrire agli investitori istituzionali, a maggior ragione se esteri e con scarne conoscenze del nostro mercato, non solo rendimenti appetibili ma anche garanzia di investimenti affidabili o, nella peggiore delle ipotesi, escutibili. Un viatico per questi fondi e per il Private Market.