Il marchio di moda italiano Armani sta valutando una “liaison con un’importante azienda italiana”, e non necessariamente del settore moda. Lo ha dichiarato a Vogue America Giorgio Armani, per il quale rimanere indipendente non è “così strettamente necessario”.
Tra i potenziali interessati all’iconico marchio, sinonimo di moda e stile italiani, ci sono Remo Ruffini, patron di Moncler, che nel dicembre scorso ha acquistato il marchio di abbigliamento casual da uomo Stone Island (si veda altro articolo di BeBeez), ed Exor, che ha rilevato il 24% dei marchio di scarpe Christian Laboutin (si veda altro articolo di BeBeez) e investito a fine 2020 con Hermès 80 milioni di euro in Shang Xia, marchio cinese del lusso (si veda qui il comunicato stampa).
Lo stilista ha inoltre ha confermato a Vogue America di aver pianificato di passare la maggior parte del business ai tre nipoti Roberta e Silvana Armani e Andrea Camerana, nonché a Leo Dell’Orco, suo storico luogotenente. Manca solo di sapere “chi dice si o no. Ancora non c’è il boss”. Ma tra i programmi di Re Giorgio continua a non esserci la Borsa.
La società ha semplificato i marchi nel 2017, focalizzando l’attenzione su Giorgio Armani, Emporio Armani ed A|X Armani Exchange: questi ultimi due hanno rispettivamente assorbito le linee Armani Collezioni e Armani Jeans.
Armani è stato tra i primi gruppi della moda a intuire la gravità della crisi indotta dal Covid-19: nel giro di una notte, durante la fashion week milanese tra 22 e 23 febbraio 2020, ha chiuso le porte del teatro e trasferito la sua sfilata sullo streaming. E’ stata di Armani una delle prime donazioni (salita a 3 milioni considerando la squadra di basket dell’Olimpia Milano) agli ospedali impegnati nell’emergenza, oltre all’iniziativa di convertire gli stabilimenti italiani alla produzione di camici. Durante il lockdown ha scritto una storica lettera aperta alla bibbia della moda WWD in cui ha chiesto all’industria del lusso di “rallentare” e farsi più sostenibile.
I ricavi netti del 2019 di Armani si sono attestati poco sotto i 2,2 miliardi di euro, in rialzo del 2,3% sul 2018, con un ebitda in crescita molto più decisa, a 509 milioni di euro (24% dei ricavi) dai circa 334 dell’anno precedente (16%). Bene le vendite a perimetro costante (+7%) nella rete di negozi e nell’e-commerce a gestione diretta. I ricavi indotti, includendo le licenze, sono balzati invece del 9% a 4,157 miliardi.