Il destino dei deal su Autostrade per l’Italia (ASPI) e Telepass, entrambe controllate da Atlantia, si sta incrociando in maniera sempre più stretta. Il governo sta infatti aumentando il pressing sul gruppo quotato, che fa capo alla famiglia Benetton, finito nella bufera dopo il crollo del ponte Morandi a Genova sul tratto autostradale di cui ha la concessione, perché allenti la presa su ASPI, scendendo sotto il 50% dall’attuale 88%.
Il tutto mentre il governo aveva lanciato un ultimatum , chiedendo ad Atlantia, in alternativa alla revoca della concessione autostradale, una nuova proposta entro il weekend, che tuteli l’interesse pubblico, a partire dalla revisione delle tariffe, da risorse compensative e da un cambio di passo su manutenzione e controlli. La reazione immediata all’ultimatum da parte degli amministratori delegati di ASPI, Roberto Tomasi, e di Atlantia, Carlo Bertazzo, era stata di sfida: la revoca della concessione significherebbe un default dal costo di 20 miliardi e 7000 posti di lavoro a rischio (si veda La Repubblica). Ma fatto sta che sabato 11 luglio il cda di Autostrade ha approvato una nuova offerta, in corso di invio al governo. Secondo alcune indiscrezioni di Reuters, i Benetton potrebbero scendere addirittura al 30% ipotizzando un aumento di capitale in ASPI che consentirebbe di diluire le loro quote con l’ingresso di un investitore statale e quindi, ragionevolmente Cdp Equity magari insieme a F2i.
Gianni Mion, il presidente di Edizione, la holding dei Benetton che è a sua volta primo azionista di Atlantia, alle agenzie di stampa domenica 12 luglio ha detto che da parte delle due società coinvolte, ASPI e Atlantia, è arrivata al governo “una proposta seria” per chiudere la partita legata al futuro della concessione di ASPI, ma ha aggiunto: Non sono ottimista”.
Il pressing del governo, quindi, avrebbe avuto la meglio. Negli ultimi giorni è stata infatti lasciata trapelare l’ipotesi che l’operazione di vendita della quota di minoranza significativa di Telepass potrebbe venire rallentata o bloccata dall’esercizio del golden power, sulla base del fatto che Telepass gestisce dati sensibili.
Come noto, per Telepass a fine giugno sono arrivate offerte da Warburg Pincus in tandem con Neuberger Berman; il consorzio Bain-Advent-Fsi; e Partners Group (si veda altro articolo di BeBeez). Tutti nomi che già circolavano da un anno, cioé da quando Atlantia ha messo sul mercato una quota della controllata. Dopo uno stop dell’asta a ottobre, il processo era ripreso a novembre, questa volta con l’ipotesi di vendere anche oltre il 50% del capitale di Telepass (si veda altro articolo di BeBeez). Si era parlato anche di un interesse da parte di una cordata formata dal fondo FSI, Sia e Generali e si eranno diffuse le cifre relative ad alcune delle offerte arrivate nel frattempo sul tavolo degli advisor Goldman Sachs, Mediobanca e Banca Imi: Partners Group aveva offerto 2,1 miliardi di dollari, Apax 1,95 miliardi di dollari, la cordata composta già allora da Warburg Pincus e Neuberger Berman 2,3 miliardi di dollari. Poi però il lockdown da coronavirus aveva di nuovo bloccato il deal sino a inizio maggio, quando la macchina si è rimessa in moto (si veda altro articolo di BeBeez). Ora la quota sul mercato si dice possa essere del 49%.
Tornando ad ASPI, gli investitori potenziali sono parecchi. L’ultima indiscrezione in ordine di tempo era quella che Poste Vita sarebbe tra gli investitori pronti a mettere denaro nel fondo di nuova costituzione allo studio di F2i, al quale Atlantia potrebbe conferire il controllo di ASPI (si veda altro articolo di BeBeez) e al quale F2i trasferirebbe i suoi asset autostradali e aeroportuali, fermo restando il via libera degli investitori del Terzo Fondo che oggi ha in portafoglio quelle partecipazioni (si veda altro articolo di BeBeez). Un’ipotesi, questa, che però non sarebbe l’unica allo studio da parte di F2i, perché l’alternativa è che il nuovo fondo possa essere limitato alla gestione dell’unico asset ASPI, con Atlantia che semplicemente cederebbe l’asset, invece di diventare quotista del fondo. In ogni caso Poste Vita starebbe studiando un investimento da almeno 300-400 milioni di euro nel nuovo fondo. Tra gli altri possibili investitori nel nuovo veicolo rientrerebbero alcune fondazioni bancarie e alcune casse di previdenza, come Cassa Forense (avvocati), Enpam (medici), Inarcassa (architetti) e Cassa Geometri. Successivamente, potrebbero entrare anche investitori esteri e Cdp. Ricordiamo che nel terzo fondo di F2i grandi sottoscrittori sono stati Gic, il fondo sovrano di Singapore, e Psp, il fondo pensione dei dipendenti pubblici e delle forze dell’ordine canadesi (si veda altro articolo di BeBeez).
Il progetto di F2i è parallelo ad altre iniziative. Per esempio a inizio aprile si era parlato di un presunto accordo in dirittura di arrivo con Allianz perché il braccio di private equity infrastrutturale del colosso assicurativo tedesco acquisisse il 51% del capitale di Autostrade per l’Italia. L’accordo era stato poi smentito, ma l’ipotesi era realistica, visto che Allianz già oggi è azionista di ASPI tramite la Appia Investments srl che dall’agosto 2017 possiede il 6,94% della società (Allianz Capital Partners è azionista di Appia al 74%, mentre EDF Invest possiede il 20% e DIF, attraverso i suoi fondi DIF Infrastructure IV e DIF Infrastructure V, il 6%, si veda qui il comunicato stampa di agosto 2017 e qui quello di aprile 2017). Mentre i cinesi di Silk Road Fund a loro volta hanno il 5% di ASPI dal 2017.
L’operazione del 2017 si era basata su una valutazione per il 100% del capitale di Autostrade per l’Italia pari a 14,8 miliardi di euro. F2i aveva già guardato il dossier ASPI nel 2017, quando alla fine erano appunto entrati Allianz e Silk Road. In quell’occasionne il dossier era stato guardato anche dall’australiana Macquarie Infrastructure, che infatti non a caso ora a sua volta sarebbe pronto a investire in ASPI. Infine anche il colosso Usa KKR sarebbe interessato alla partita. Un’altra ipotesi è quella del possibile coinvolgimento nella partita dell’ex amministratore delegato di ASPI nonché ex ceo di F2i sgr, Vito Gamberale (si veda altro articolo di BeBeez). Qusst’ultimo, infatti, è tornato a occuparsi di investimenti in infrastrutture, questa volta a capo di una nuova società di investimento che ha in rampa di lancio due fondi chiusi in partnership con Pramerica sgr.
Il bilancio 2019 di ASPI si è chiuso ricavi per 4,1 miliardi, un ebitda di 710 milioni (che riflette un accantonamento a fondo oneri da 1,5 miliardi di euro, correlato all’impegno previsto nelle negoziazioni in corso con il governo e con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti volto alla chiusura delle contestazioni avanzate per la vicenda del Ponte Morandi) e un debito finanziario netto di 8,4 miliardi.