Continuano i colloqui tra Palazzo Chigi e Telecom Italia per una soluzione sul futuro dell’ex monopolista delle tlc dopo lo stop all’offerta sulla rete unica. Stando a quanto riportato da Reuters e confermato a BeBeez, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy e i principali azionisti di TIM, quindi Vivendi e Cassa Depositi e Prestiti (CDP), stanno portando avanti le discussioni per arrivare ad una opzione considerata la più possibile ‘market-friendly’, visto che l’esecutivo non ha chiuso la porta a un’opa parziale su TIM che potrebbe coinvolgere solo la NetCo, cioè gli asset infrastrutturali di rete fissa (NetCo, si veda altro articolo di BeBeez). In particolare, oggetto delle preoccupazioni del governo sarebbe la controllata Sparkle, un operatore internazionale di telecomunicazioni all’ingrosso interamente di proprietà di TIM, che gestisce cavi in fibra che si estendono per oltre 500 mila chilometri, con una rete sottomarina che trasmette informazioni tra i Paesi dell’Europa, del Mediterraneo e delle Americhe e che si dice che possa valere sino a un miliardo di euro. Le discussioni tra le parti, secondo quanto si apprende, sarebbero ancora in corso e si stanno tenendo presso la sede del MISE a Roma.
In questo contesto arriva un’altra indiscrezione, questa volta da Bloomberg, secondo la quale la società di investimento statunitense Global Infrastructure Partners sarebbe interessata a partecipare una possibile nuova offerta con CDP e il colosso del private equity Usa KKR Infrastructure, proprietario del 37,5% della rete secondaria di TIM FiberCop. Secondo l’agenzia, potrebbe dare il proprio contributo alla cordata anche l’australiana Macquarie Group, già tra principali azionisti di Open Fiber. Non è chiaro il ruolo dei francesi di Vivendi, primo azionista di TIM con il 23,5%, ma l’offerta del consorzio guidato riguarderebbe solo la NetCo, con CDP che andrebbe ad assumere un ruolo di primo piano nell’acquisizione, mentre le quote minoritarie verrebbero divise tra i player internazionali.
Ricordiamo che i piani di rete unica sembravano tramontati quando, alcune settimane fa dopo l’ennesimo rinvio del memorandum of understanding tra CDP e TIM, in occasione dell’evento 5G Italy, il sottosegretario Alessio Butti aveva detto chiare due cose. La prima, che il MoU Memorandum “si è afflosciato perché non ha trovato condizioni economiche, non c’era copertura economica, non perché non piacesse al governo. Allora il governo ha posto una serie di domande sul valore della rete, qualcuno dice 31 miliardi, qualcuno 24, qualcuno 15 miliardi. Allora chi fa il valore? Lo fa l’advisor, lo fanno gli azionisti? Se lo fanno gli azionisti allora facciamo 100. Vogliamo capire se quel progetto aveva o meno il consenso dell’Europa. C’è il tema della verticalità di un’azienda che viene a impattare sulle competenze e sugli obiettivi europei. L’Europa è stata abbastanza chiara e il governo ha cercato di affrontare la questione in pochissimo tempo” (si veda altro articolo di BeBeez). Nella seconda dichiarazione, Butti aveva espressamente detto che “l’opa totalitaria è una fantasia“, ma che restava in piedi l’ipotesi di un’opa parziale: “Gli strumenti in merito all’ipotesi di un’opa parziale su TIM evidentemente saranno individuati, ma quando leggo opa totalitaria, dico ‘nessuno ne ha mai parlato’, questo mi sembra abbastanza evidente”.
A confermare lo stop alla lettera d’intenti ci aveva pensato poi il comunicato stampa della stessa TIM, a valle della prevista riunione del Consiglio di amministrazione, che ha a sua volta manifestato al governo “la propria disponibilità al confronto nelle sedi istituzionali” e “ha preso atto del comunicato congiunto diffuso oggi da CDP Equity, Macquarie Asset Management, e Open Fiber relativo al Memorandum of Understanding sottoscritto lo scorso 29 maggio, che può pertanto considerarsi decaduto e privo di effetti”.
Prima dell’evento di Roma sul 5G, il mercato credeva in una possibile risoluzione, seppure molto oltre i termini previsti, dell’offerta di CDP per la rete unica, dato che una nota a doppia firma del Ministro delle Imprese e del Made in Italy (ex MISE), Adolfo Urso, e il sottosegretario Alessio Butti, con delega alle telecomunicazioni, si spiegava che il governo si prendeva altro tempo fino al 31 dicembre per decidere sull’offerta di Cassa Depositi e Prestiti per integrare le reti di TIM e Open Fiber e creare così una rete unica nazionale e invitava tutti i protagonisti della vicenda a sedersi a un tavolo per definire “le migliori soluzioni di mercato percorribili per massimizzare gli interessi del Paese, delle società coinvolte e dei loro azionisti e stakeholder, tenendo conto delle normative esistenti a livello nazionale ed europeo e degli equilibri economici, finanziari ed occupazionali”. Poco dopo mattina Cdp Equity, Macquarie e Open Fiber avevano risposto con un comunicato congiunto con il quale si erano allineati alla decisione del governo scrivendo che si riteneva opportuno “soprassedere alle scadenze previste dal Memorandum of Understanding relativo al progetto di integrazione tra le reti di TIM e Open Fiber sottoscritto in data 29 maggio 2022 anche con TIM e KKR, e manifestano sin d’ora piena disponibilità a partecipare al suddetto tavolo di lavoro”.
In attesa di capire l’esito dei colloqui al MISE e le intenzioni del governo sul futuro di TIM, la società prosegue con il suo piano delayering, cioé di separazione della infrastrutture di rete dal business dei servizi, presentato al mercato lo scorso 7 luglio in occasione del Capital Market Day e in linea con il Piano industriale 2022-2024 presentato lo scorso marzo dall’amministratore delegato Pietro Labriola (si veda altro articolo di BeBeez). A questo, si legge nella nota che ha accompagnato la fine del MoU citato poco sopra, TIM è pronta “a valutare tutte le opzioni strategiche, che consentano di perseguire al meglio gli obiettivi del superamento dell’integrazione verticale e della riduzione dell’indebitamento”.
E as proposito di riduzione del debito, nei giorni scorsi l’amministratore delegato Pietro Labriola ha dichiarato: “Abbiamo un fardello che è il debito e non si può ridurre organicamente, dobbiamo vendere qualche asset per ridurre il debito“, aggiungendo: “Dobbiamo presentare il piano 2023-25 il 15 febbraio , stiamo chiudendo l’anno meglio di quanto comunicato al mercato”. E ha concluso: “L’obiettivo èmigliorare le guidance anche per il 2023-2025”.