
Con un comunicao diffuso ieri in serata, il MInistero dell’Economia ha annunciato la sigla di un Memorandum d’Intesa tra lo stesso Dicastero e il fondo americano KKR. (si veda qui il comunicato stampa del ministero). L’accordo prevede, recita la nota, “la formulazione di un’offerta vincolante che stabilisce, tra l’altro, l’ingresso del Mef nella Netco (il veicolo che dovrebbe acquisire la rete Telecom) nella percentuale fino al 20%”.
La mossa del governo, che prevede un coinvolgimento diretto della Presidenza del Consiglio visto che I l’ter pricedurale, riferisce sempre la nota di Via XX settembre, prevede l’adozione di un Dpcm, avviene a poco più di due mesi dalla concessione da parte del cda di TIM a KKR dell’esclusiva a trattare l’acquisto del controllo di NetCo,la newco in cui sarà trasferita la rete infrastrutturale del gruppo tlc e nella quale andranno a confluire anche i cavi sottomarini di Sparkle (si veda altro articolo di BeBeez e qui il qui il comunicato stampa di TIM di allora).
Ma in quella riunione, tenuta il 23 giugno, del cda di TIM guidato dall’ad Pietro Labriola l’offerta del fondo Usa era stata preferita a quella sottoposta da Cdp Equity e Macquarie, entrambi già partner in Open Fiber , l’altro big della fibra, rispettivamente con il 60 e il 40%. Infatti KKR aveva innalzato la sua offerta a 23 miliardi dopo che in aprile aveva offerto 19 miliardi di euro più 2 miliardi di earn out, per un totale quindi di 21 miliardi, compreso il rifinanziamento della quota di debito di TIM, il che già significava un miliardo in più rispetto alla prima proposta presentata a inizio anno (si veda altro articolo di BeBeez). Per contro Cdp e il fondo australiano avevano offerto 19,3 miliardi di euro rispetto ai circa 18 miliardi della prima offerta, sempre debito compreso, ma con una quota di contanti più elevata di quella offerta da KKR e quindi con un maggiore impatto potenziale sulla riduzione complessiva del debito di TIM , si diceva per quasi 17 miliardi.
La decisione del dicastero guidato da Giancarlo Giorgetti è quindi il modo per rientrare in gioco nella partita della rete Tim. E’ vero che nelle scorse settimane erano più volte state ventilate le ipotesi di un coinvolgimento di F2i , il più grande fondo infrastrutturale italiano e no dei maggiori d’Europa, con lo stesso amministratore delegato, Renato Ravanelli, che di recente ha avallato l’ipotesi, e della stessa Cdp, che però dovrebbe risolvere l il problema di Antitrust derivante dal fatto di possedere appunto il 60% di Openfiber, e infatti nelle scorse settimane sono circolate voci di possibile spacchettamento di Open Fiber, con l’acquisizione delle aree nere, quelle di maggior valore (più densamente popolate), da parte di Macquarie mentre resterebbero in capo a CDP le aree bianche e grigie. Le prime sono quelle in cui non è previsto che nel giro di un triennio ci sia più di un operatore di rete, le seconde sono quelle in cui non è presente alcun operatore e nessuno è interessato a investire. Ma una simile ipotesi ripchiede tempi di attuazione piuttosto lunghi, soprattutto ai fini della valutazione, e nel frattempo a causa dei limiti antitrust la Cdp non potrebbe avere più del 3% di Netco.
In base all’ultima offerta di KKR, che prevede un mix di 13 miliardi di equity e 10 di debito, l’impegno finanziario del Tesoro in Netco arriverebbe a 2,6 miliardi di euro quello di F2i a 1,3 miliardi e a poco pià di 500 milioni quello di Cdp. IN cambio le tre entità riceverebbero un terzo del capitale di Netco, sufficiente a formare una minoranza di blocco in grado di condizionare la strategia della newco.
Tuttavia il piano dell’Esecutivo italiano deve fronteggiare le possibili obiezioni dell’Antitrust UE, dato che lo Stato, che avrà fino al 23% di Netco tra quote dirette e indirette, sarà in grado di condizionarne la governance. In secondo luogo, bisogna vedere quale sarà la reazione dell’attuale azionista di maggioranza di TIM (al 23,75%), ossia Vivendi, che rihchiede per Netco cifre ben maggiori di quella offerta da KKR ossia, secondo quanto più volte espresso negli ultimi 20 mesi, circa 31 miliardi compreso il debito, anche se ultimamente alcune voci di mercato riferiscono che il gruppo francese potrebbe accontentarsi di 26 miliardi.
Una diversità di vedute rispetto al top management di TIM che ha portato alle dimissioni a metà gennaio del ceo del colosso tlc francese, Arnaud De Puyfontaine, in polemica con l’attuale presidente di TIM, Salvatore Rossi.
Ricordiamo che incassare quanto più possibile dalla vendita della rete è cruciale per la riduzione del debito di TIM: nel 2022 il debito netto è aumentato di circa 3,2 miliardi passando dai 22,2 miliardi del 2021 ai 25,37 miliardi dello scorso anno, a fronte di un aumento dei ricavi del 3,1% a 15,79 miliardi di euro, dai 15,32 miliardi del 2021, e a un aumento dell’ebitda del 5,3% a 5,35 miliardi dai precedenti 5,08 miliardi e con un perdita netta in diminuzione a 2,93 miliardi rispetto a un rosso di 8,65 miliardi (si veda altro articolo di BeBeez). Nel secondo semestre del 2023 le cose nono sono migliorate, anzi. Il debito netto è aumentato a 26,2 miliardi di euro, in aumento di 0,8 miliardi di euro rispetto al 31 dicembre 2022. E anche il debito al netto dei beni in leasing (IFRS 16) si è attestato a 20,8 miliardi di euro, in aumento di 0,8 miliardi rispetto al 31 dicembre 2022 (si veda qui il comunicato stampa e qui la presentazione agli analisti).