
KKR ha presentato al Consiglio di amministrazione di TIM una manifestazione di interesse non vincolante e indicativa per lanciare un’opa sul 100% delle azioni ordinarie e di risparmio del gruppo, con obiettivo il delisting, al prezzo indicativo di 50,5 centesimi per azione ordinaria o di risparmio, da pagare interamente per cassa, per un totale, quindi, di circa 11 miliardi di euro (si veda qui il comunicato stampa).
Ricordiamo che il mercato negli ultimi sei mesi ha punito il titolo con un ribasso del 21%, e che, ai prezzi di venerdì 19 novembre di 0,3465 euro per azione, TIM capitalizza circa 5,2 miliardi di euro (circa 7,37 miliardi incluse le azioni di risparmio).
L’opa sarebbe soggetta alla condizione del raggiungimento della soglia di adesione minima del 51% del capitale sociale di entrambe le categorie di azioni ed è inoltre condizionata allo svolgimento di una due diligence confirmatoria di durata stimata in quattro settimane, nonché al gradimento da parte dei soggetti istituzionali rilevanti, in particolare del governo. La manifestazione d’Interesse è stata qualificata da KKR come “amichevole” e aspira a ottenere il gradimento degli amministratori della società e il supporto del management. La proposta è stata discussa ieri dal Cda convocato in via straordinaria dal presidente Salvatore Rossi.
L’annuncio arriva dopo rumor che si rincorrevano da inizio mese sulla possibilità che KKR aumentasse la sua quota in FiberCop, la nuova società in cui sono confluite la rete secondaria di TIM (dall’armadio in strada alle abitazioni dei clienti) e la rete in fibra sviluppata da FlashFiber, la joint-venture di TIM (80%) e Fastweb (20%). I rumor, infatti, non si erano fermati qui ed era iniziata a circolare la voce che il colosso del private equity stesse pensando addirittura a lanciare un’opa sul gruppo telefonico quotato a Piazza Affari.
Nella realtà il nome di KKR non era l’unico a circolare in relazione al dossier TIM. Si è parlato anche del fondo svedese EQT, di Advent International e di CVC Capital Partners. “Advent e Cvc si dicono aperti al dialogo con tutti gli stakeholders per identificare in modo trasparente una soluzione di sistema per il rafforzamento industriale di Tim”, ha dichiarato ieri all’ANSA un portavoce dei fondi che parallelamente ha smentito che ci siano stati contatti con il gruppo francese Vivendi, azionista di TIM al 23,75%, che non ha nessuna intenzione di lasciare spazio a KKR. Si erano infatte diffuse voci che Vivendi avesse arruolato CVC per creare una controcordata in risposta alle avances di KKR, ma In realtà ieri anche Vivendi ha smentito le voci (si veda qui l’ANSA), sebbene abbia comunque manifestato contrarietà all’offerta di KKR durante la riunione del Cda, perché la ritiene ostile e sollecitata dall’amministratore delegato Luigi Gubitosi, con il quale i francesi hanno al momento rapporti piuttosto tesi.
L’intervento di KKR si inserisce infatti in un momento particolarmente delicato per il gruppo tlc italiano, dopo conti trimestrali sotto le attese, che hanno evidenziato ricavi in calo del 2,1% a 3,826 miliardi di euro nel trimestre da 3,918 miliardi nel terzo trimestre 2020 e un ebitda giù del 5,9% a 1,669 miliardi da 1,773 miliardi, dati che hanno portato i ricavi complessivi dei 9 mesi a 11,4 miliardi (da 11,449 miliardi dei nove mesi 2020) e l’ebitda a 4,886 miliardi (da 5,112 miliardi), seppure a fronte di un calo del debito finanziario netto rettificato a 22,164 miliardi da 25,469 miliardi (si veda qui il comunicato stampa).
Una situazione che ha portato il gruppo ad annunciare un nuovo profit warning: la guidance per l’esercizio in corso, infatti, è stata ridotta nel senso che il gruppo si aspetta per il 2021 una decrescita dei ricavi “low single digit” (ossia diminuirà di una percentuale tra 0% e il 4%) e per l’ebitda “mid single digit” (ossia diminuirà di una percentuale tra il 4% e il 6%) per poi rivedere una crescita di entrambi i valori nel biennio 2022-23. Ma già a luglio il gruppo aveva aggiornato al ribasso le sue stime di ebitda per l’anno: l’ebitda era previsto in precedenza con una “stable to low single digit growth” (si veda qui il comunicato stampa).

Pesa soprattutto la performance in flessione del mercato domestico, ma anche il mancato decollo in termini di entrate della nuova strategia “Beyond connectivity” che punta su attività al di fuori dal core business della connettività come il Cloud (Noovle) e lo streaming della Serie A con DAZN (Timvision). Ma soprattutto su quest’ultimo fronte i risultati sono ancora minimi rispetto agli obiettivi.
Risultati che hanno deluso il socio francese Vivendi, tanto che nelle scorse settimane si è messo in movimento per arrivare a un avvicendamento del top management e in particolare quindi dell’ad Luigi Gubitosi.
La partita è ovviamente molto complicata e ha risvolti di sistema non indifferenti. E per questo è evidente che cruciale sarà la posizione del governo e l’esercizio o meno del suo golden power. Al momento il governo sta alla finestra, ma con un atteggiamento positivo. In un comunicato stampa diffuso ieri si legge infatti che “il Governo prende atto dell’interesse per TIM manifestato da investitori istituzionali qualificati. L’interesse di questi investitori a fare investimenti in importanti aziende italiane è una notizia positiva per il Paese. Se questo dovesse concretizzarsi, sarà in primo luogo il mercato a valutare la solidità del progetto. TIM è il maggiore operatore di telefonia del Paese. E’ anche la società che detiene la parte più rilevante dell’infrastruttura di telecomunicazione. Il Governo seguirà con attenzione gli sviluppi della manifestazione di interesse e valuterà attentamente, anche riguardo all’esercizio delle proprie prerogative, i progetti che interessino l’infrastruttura. L’obiettivo del Governo è assicurare che questi progetti siano compatibili con il rapido completamento della connessione con banda ultralarga, secondo quanto prefigurato nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, con gli investimenti necessari nello sviluppo dell’infrastruttura, e con la salvaguardia e la crescita dell’occupazione. In questa prospettiva, si è ritenuto che a seguire i diversi aspetti della vicenda sia un Gruppo di lavoro composto dagli esponenti di Governo titolari delle competenze istituzionali principalmente coinvolte, oltre che dalle Amministrazioni e da esperti”.
Per inquadrare meglio il tutto, ricordiamo che altro azionista importante di TIM, con il 9,8% del capitale, è Cassa Depositi e Prestiti, la quale è sarà a brevissimo anche azionista del gestore di rete FTTH (Fiber To The Home) OpenFiber al 60%. Lo scorso agosto, infatti, Enel ha firmato il contratto di cessione del 50% Open Fiber a Cdp Equity (società del Gruppo Cdp, già titolare del 50%) e Macquarie Asset Management, con Cdp Equity che acquisterà il 10% e Macquarie il 40% (si veda altro articolo di BeBeez).
Lo scorso aprile, invece, TIM, KKR Infrastructure e Fastweb avevano siglato il closing dell’operazione con cui KKR Infrastructure e Fastweb sono entrati nel capitale di FiberCop (si veda altro articolo di BeBeez). KKR Infrastructure ha comprato il 37,5% di FiberCop da TIM per un controvalore di 1,8 miliardi, sulla base di un enterprise value di circa 7,7 miliardi di euro, mentre Fastweb ha sottoscritto azioni FiberCop corrispondenti al 4,5% del capitale della società, mediante conferimento del 20% di FlashFiber, che è stata contestualmente incorporata in FiberCop. TIM quindi possiede oggi il 58% di FiberCop.
L’obiettivo ultimo delle due operazioni OpenFiber e FiberCop è quello di costituire una società unica della rete nazionale, necessaria allo sviluppo del digitale in Italia, che necessariamente coinvolgerà OpenFiber (si veda altro articolo di BeBeez). I consigli di amministrazione di TIM e di Cassa Depositi e Prestiti nell’agosto 2020 hanno infatti approvato una lettera d’intenti tra TIM e Cdp Equity finalizzata a integrare FiberCop con OpenFiber per dare vita ad AccessCo, società aperta anche ad altri investitori e destinata a gestire la rete unica nazionale. AccessCo sarà costituita mediante la fusione tra FiberCop e Open Fiber (si veda altro articolo di BeBeez).
Il tutto, poi, mentre è aperta anche la partita per Cloud Italia, cioé per la creazione del Polo Strategico Nazionale (PSN), un’infrastruttura per la gestione in cloud di dati e applicazioni della Pubblica Amministrazione (PA), che si inserisce nell’ambito del piano complessivo di accelerazione della trasformazione digitale a garanzia della sicurezza e del controllo nazionale dei dati voluto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. L’infrastruttura sarà gestita da un operatore economico selezionato attraverso l’avvio di un partenariato pubblico-privato a iniziativa di un soggetto proponente. La valutazione delle proposte di partenariato sarà conclusa entro 90 giorni dalla data di ricezione della prima proposta pervenuta e quindi il prossimo 28 dicembre. A oggi sono in corse tre cordate: TIM-CDP-Sogei-Leonardo, l’accoppiata Almaviva-Aruba e quella Engineering Ingegneria Informatica-Fastweb.
L’annuncio della mossa di KKR su TIM segue di pochi giorni quello della sigla dell’accordo con Investindustrial per l’acquisto di GeneraLife, uno dei principali player delle cliniche della fertilità in Europa, con sede in Spagna ma a direzione scientifica tutta italiana (si veda altro articolo di BeBeez).
Lo scorso anno, invece, sempre in Italia, KKR, attraverso il suo KKR Global Impact Fund, aveva rilevato il 70% di CMC Machinery, principale produttore di soluzioni di packaging automatizzate in Italia, con il 30% che era rimasto in mano alla famiglia Ponti (si veda altro articolo di BeBeez). Lo scorso ottobre nel capitale della società è entrato anche il Climate Pledge Fund, veicolo di investimento di Amazon che investe in aziende impegnate nello sviluppo di tecnologie sostenibili e nei processi di decarbonizzazione (si veda altro articolo di BeBeez).
Tra le ultime grandi operazioni di KKR a livello internazionale, invece, ricordiamo quella annunciata pochi fa insieme a Global Infrastructure Partners e cioé l’acquisizione di CyrusOne, un REIT che investe in data center su scala globale per un totale di 15 miliardi di dollari (si veda altro articolo di BeBeez). Lo scorso ottobre, poi, il gruppo cosmetico Coty quotato al NYSE ha venduto un altro 9% di Wella a KKR, scendendo così al 30,6% (si veda altro articolo di BeBeez). Ricordiamo che nel dicembre 2020 Coty aveva condotto il carve-out delle sue attività di cura dei capelli e delle unghie, e quindi in sostanza dei marchi Wella, Clairol, OPI e ghd, che sono diventate una società a sé stante (appunto Wella) della quale KKR aveva comprato una quota del 60% per 2,5 miliardi di dollari e Coty aveva mantenuto il 40% (si veda altro articolo di BeBeez).
A fine giugno KKR aveva 429 miliardi di dollari di asset in gestione. A maggio aveva raccolto circa 18,5 miliardi di dollari in meno di 5 mesi per il suo ultimo fondo di buyout dedicato al Nord America, il KKR North America Fund XIII (si veda altro articolo di BeBeez). Lo scorso ottobre Henry Kravis e George Roberts, i due storici fondatori di KKR, hanno lasciato la guida operativa del colosso del private equity Usa, con Joe Bae e Scott Nuttall che sono stati nominati co-ceo, mentre Kravis e Roberts mantengono il ruolo di co-presidenti esecutivi del consiglio (si veda altro articolo di BeBeez). I due manager avevano fondato KKR nel 1976 insieme a Jerome Kohlberg (KKR è l’acronimo per Kohlberg, Kravis & Roberts), tutti ex manager dell’allora Bear Sterns, una banca d’affari molto nota al tempo. Undici anni dopo, nel 1987, Kohlberg lasciò il gruppo in disaccordo con i suoi soci e fondò la società di private equity Kohlberg&Co.