Il 2012 è stato un anno duro per il private equity italiano, con i fondi che hanno riportato risultati positivi in termini di rendimento sul capitale investito, ma chiaramente inferiori a quelli registrati nel 2011. Lo ha riferito MF-Milano Finanza lo scorso 1° giugno, precisando che, secondo i calcoli di Kpmg, se si considerano tutti i disinvestimenti operati dai private equity in Italia negli ultimi dieci anni (quindi dal 2003 al 2012, e indipendentemente dalla data dell’investimento) e se si valutano al costo le partecipazioni ancora in portafoglio, il rendimento lordo (cioè l’Irr) nei dieci anni è del 7,7% annuo, in netto calo dal 13,3% del decennio terminato nel 2011.
Ciò detto, le performance dei fondi che si apprestano a investire nei prossimi mesi sono ragionevolmente destinate a essere migliori. E infatti il 28 maggio una delegazione dell’Associazione Italiana per il Private Equity e il Venture Capital (Aifi), guidata dal presidente Innocenzo Cipolletta, e dal direttore generale, Anna Gervasoni, ha incontrato a Londra gli investitori internazionali proprio per testimoniare che, nonostante la crisi, l’Italia resta un Paese attraente per mettere al lavoro i capitali. Peraltro, l’Italia proprio nei tre anni di crisi è stata il Paese dell’Europa continentale in cui i fondi hanno trovato più facilità a investire e disinvestire. Secondo i calcoli di PwC, presentati sempre a Londra da Francesco Giordano, partner responsabile per i Transaction Service in Italia (scarica qui la presentazione), il valore degli investimenti dei fondi dal 2010 al 2012 è cresciuto in Italia in media del 14,6% l’anno contro il -4,6% dell’aggregato di Germania (+1,9%), Francia (-4,1%) e Spagna (-15,3%). Quanto ai disinvestimenti, nei tre anni il valore è cresciuto in Italia in media del 26,5% l’anno contro il -6,6% dell’aggregato Germania (+3,7%), Francia (-6,7%) e Spagna (-22,7%).
Tornando alle performance dei fondi, Maximilian Fiani, partner di Kpmg, ha spiegato (scarica qui l’intero studio) che in termini di rapporto tra il cash in (cioè il prezzo incassato dalla cessione sommato ai dividendi ricevuti) e il cash out (il capitale investito) nel decennio la performance dei fondi italiani non è così male, perché si colloca a un multiplo di 1,2, poco più basso dell’1,3 dei decenni terminati nel 2011, nel 2010 e nel 2009. Detto questo, quanto resta all’investitore una volta pagate le tasse, il carried interest alla società di gestione e dopo aver pagato le varie commissioni? Secondo i calcoli di Kpmg, una stima corretta dell’Irr netto dovrebbe collocarsi tra il 50 e il 65% dell’Irr lordo. Così, se si utilizza come base l’Irr a dieci anni, che comprende anche gli investimenti ancora in portafoglio, per il 2012 si ottiene un Irr netto compreso tra il 3,85% e il 5% all’anno.
Un confronto con il dato netto europeo non è ancora possibile, perché l’European Venture Capital Association non ha ancora diffuso i dati di performance per il 2012, ma sino all’anno scorso la differenza in negativo rispetto al dato sull’Italia era evidente: nel 2011 la media Evca era del 5,62% contro un 6,65-8,65% dell’Italia, e nel 2010 la media Evca era stata del 5,09% contro il 6,1-7,9%.
Se si considerano soltanto le performance sui cicli di investimento completati, però, è evidente che l’anno scorso c’è stata una frenata nel recupero dalla crisi, che per i fondi aveva toccato il fondo nel 2009, quando i fondi in Italia avevano dovuto svalutare i portafogli per poco meno di 1,6 miliardi, pari all’85% del valore dei disinvestimenti di quell’anno. Con il risultato che l’Irr lordo complessivo del 2009 era stato negativo per il 16,6%, primo dato con segno meno dall’inizio delle statistiche. E anche nel 2010 le cose erano andate male, con un Irr lordo negativo dell’11,4%.
Nel 2011 la svolta, con un Irr lordo sui cicli completati tornato in positivo per il 12,6%. Anche perché in quell’anno erano state fatte svalutazioni soltanto per 160 milioni, cioè il 5% dell’ammontare disinvestito. Nel 2012, però, le cose sono andate diversamente. Il tasso di rendimento lordo è sceso al 6,2%, a fronte di una ripresa relativa delle svalutazioni, parziali e totali, che nel 2012 sono state pari al 6% dei disinvestimenti, per un totale di 94 milioni. In termini di multiplo sul capitale investito per le aziende oggetto di cessione lo scorso anno, però, il rallentamento del trend positivo non è così grave: nel 2012 il rapporto tra cash in e cash out è sceso a 1,3 dall’ 1,6 volte del 2011, e si confronta con i minimi di 0,7 del 2010 e 0,4 del 2009.