C’è anche Maurizio Cereda, ex banker di Mediobanca per anni a capo dei servizi di equity capital market, nel capitale di Workinvoice, la prima piattaforma web italiana specializzata in intermediazione di fatture. Lo scrive oggi MF Milano Finanza, precisando che il banker ha sottoscritto il 2% del capitale della società nell’ambito dell’ultimo recente nuovo aumento che ha portato a 1,6 milioni il totale delle risorse raccolte dalla fondazione nel 2013 a opera di Matteo Tarroni (ceo), Ettore Decio e Fabio Bolognini, tutti con una consolidata esperienza nel mondo della finanza d’impresa e del fintech.
A finanziare la startup, oltre ai soci operativi (oggi al 65%), era stata la famiglia di imprenditori triestini della logistica Pacorini (oggi al 7,9%). A questi si erano aggiunti altri business angel in un secondo tempo, con l’obiettivo di testare l’infrastruttura e raggiungere le 100 transazioni entro fine 2015. Il nuovo aumento, invece, servirà a finanziare lo sviluppo del business.
Contestualmente all’ingresso nell’azionariato da parte di Cereda, che affianca come advisor il team di Workinvoice, ha scelto di fare da advisor alla piattaforma anche Roberto Nicastro, ex Unicredit e oggi presidente delle quattro good bank.
“Nicastro avrà un ruolo chiave nello sviluppo del nostro business”, ha commentato Tarroni a MF Milano Finanza, aggiungendo che “le banche oggi non tengono traccia delle aziende alle quali hanno negato i finanziamenti e invece per noi potrebbero essere informazioni importanti, perchè il nostro approccio al finanziamento è diverso ed è possibile che le pmi non finanziate dalle banche possano invece essere finanziate tramite la piattaforma. In questo modo potrebbe nascere una collaborazione proficua con il sistema bancario”.
Workinvoice, infatti, decide se e come presentare agli investitori sulla piattaforma le pmi da finanziare, da un lato, sulla base del merito di credito di quelle pmi, ma dall’altro, soprattutto, sulla base del merito di credito dei debitori finali, che sono in genere aziende di dimensioni medio-grandi e quindi con un merito di credito ben più elevato rispetto a quello delle pmi in questione.
I tassi di interesse, poi, sono interessanti per gli investitori, perché quelle pmi di solito hanno interesse a ottenere il finanziamento nel più breve tempo possibile e questo ovviamente sono disposte a pagarlo. I tassi che girano vanno da un minimo dello 0,4% al mese a un massimo dell’1% al mese, cioé circa dal 4,8% al 12% all’anno, ma si ragiona sul mese perché si tratta sempre di operazioni a brevissimo termine. In media, infatti, racconta ancora Tarroni, “i crediti ceduti sono a 55 giorni, il che significa che, al netto dei giorni di regolamento, in media le pmi finanziate incassano i loro crediti con un anticipo di 45 giorni rispetto alla scadenza”.
E il valore medio delle transazioni sta aumentando: a oggi siamo attorno ai 62 mila euro per operazioni, con un turnover che ormai è di circa 5 milioni al mese. Il tutto a fronte di una crescita esponenziale del business che dall’inizio dell’operatività, cioé da fine 2015, ha visto raggiungere oggi quota 19 milioni di euro erogati (dai 15 milioni a fine luglio). Certo, si tratta ancora di numeri molto piccoli se confrontati con quelli delle piattaforme anglosassoni dove gli attori principali intermediano 30 milioni al mese, ma appunto le prospettive di crescita sono importanti.
Peraltro gran parte della crescita dell’attività italiana di crowd investing e crowdfunding in senso lato, monitorata nell’ultimo rapporto dell’Universiità di Cambridge, è stata stimolata proprio dal settore dell’invoice trading, che nel 2015 ha inciso per il 12% del totale delle transazioni italiane grazie all’attività di Workinvoice (si veda altro articolo di BeBeez). .
Workinvoice non finanzia direttamente le pmi, ma tramite la piattaforma le mette in contatto con gli investitori, che sono sia privati sia istituzionali, Su quest’ultimo fronte, Workinvoice può già contare su un accordo con un fondo britannico specializzato, mentre l’italiana Advam partners sgr sta raccogliendo un fondo ad hoc per investire nelle fatture trattate sulla piattaforma (si veda altro articolo di BeBeez). “Stiamo finalizzando anche un veicolo di cartolarizzazione italiano che comprerà fatture su Workinvoice, le cartolarizzerà e collocherà presso un gruppo di investitori italiani e internazionali”, ha detto ancora Tarroni, anticipando anche che “in prospettiva potrebbe anche esserci l’accordo con un fondo Ucits dedicato. Ma per questo dobbiamo attendere tutte le veririche regolamentari del caso”.