“Il Tesoro sta lavorando insieme alla Commissione Ue sulla possibilità di investire in Eltif da parte degli investitori semiprofessionali e affluent. A livello nazionale, il ministero sta lavorando alla riduzione delle soglie d’ingresso ai FIA per gli investitori non professionali, con la parallela introduzione di presidi alternativi adeguati”. Lo ha detto ieri Stefano Cappiello, Dirigente Generale del MEF, VI Direzione Sistema Bancario e Finanziario Dipartimento del Tesoro nonché presidente di AMCO, la società specializzata nella gestione di crediti deteriorati controllata dal Tesoro, intervenendo all’evento di presentazione della ricerca su private banking e private capital del Politecnico di Milano, commissionata da AIPB (Associazione Italiana Private Banking) (si vedano qui il comunicato stampa e qui la presentazione della ricerca).
Ricordiamo che già nel giugno 2020 Il Ministero dell’Economia e delle Finanze aveva pubblicato per consultazione una proposta di revisione delle soglie di ingresso nei FIA (fondi di investimento alternativi) italiani riservati, “per consentire l’accesso a queste forme di investimento alternativo ad una platea di clientela più ampia, con patrimoni di medie/grandi dimensioni, disponibile a investire nel medio/lungo periodo in illiquidi e in società non quotate, allo scopo di diversificare il proprio portafoglio finanziario, conseguire un rendimento apprezzabile, finanziare le imprese italiane e con esse la ripresa economica del Paese” (si veda altro articolo di BeBeez).
La mossa seguiva la richiesta di abbassare la soglia di accesso per gli investitori privati ai fondi chiusi riservati da 500 mila euro a 100-150 mila o la previsione di una categoria di investitori semi-professionali, avanzata da AIFI (Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt) e da AIPB (Associazione Italiana Private Banking). In particolare, a fine marzo 2020 questa richiesta faceva parte dell’elenco di quelle sottoposte al governo da AIFI (si veda altro articolo di BeBeez) e che erano state anticipate a BeBeez dal suo direttore generale Anna Gervasoni (si veda altro articolo di BeBeez). Nel luglio 2019 il tema era stato ampiamente discusso anche dal segretario generale di AIPB, Antonella Massari nel suo intervento al convegno organizzato da BeBeez su investimenti alternativi e mondo private (si veda altro articolo di BeBeez). La nuova misura, infatti, permetterebbe di convogliare una grande quantità di risparmio privato in investimenti in economia reale.
Le parole di ieri di Cappiello fanno quindi ben sperare sul fatto che finalmente un intervento normativo sia in arrivo. Antonella Massari, segretario generale di AIPB, ieri ha infatti evidenziato che il 95% dei FIA sono chiusi, con ticket di almeno 500 mila euro, mentre i clienti private hanno un portafoglio medio di un milione di euro, per cui hanno basse possibilità di diversificare con i FIA. Per questo, AIPB continua a chiedere un abbassamento della soglia minima di investimento a 100 mila euro, accompagnata da una consulenza specifica. Inoltre, per AIPB sarebbe importante “accelerare la creazione di una definizione armonizzata a livello europeo della categoria intermedia di investitori semiprofessionali, coerente con la clientela del private banking”.
Anche l’Head of Client Group – Italy di Neuberger Berman Marco Avanzo Barbieri e l’Head of Private Banking sales & advisory di Unicredit Renato Miraglia, a loro volta intervenuti all’evento, hanno sottolineato l’importanza di una modifica normativa in questo senso. Secondo Miraglia, “si può creare una terza categoria di investitori semiprofessionali (oltre a quelli retail e professionali), aspettando l’Europa oppure rivedendo la normativa italiana”. Mentre secondo Barbieri, “l’auspicio è che il mercato e il legislatore favoriscano un accesso più agevole del risparmio privato a questo tipo di iniziative, agendo sia in chiave di educazione ma anche di processi operativi, per esempio allentando i vincoli stringenti di profilatura dei clienti del sistema bancario imposti per accedere a questi strumenti”.
Sul tema è intervenuto anche Vincenzo Butticé, assistant professor al Dipartimento di Management, Economia e Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano, che ha condotto lo studio per AIPB: “Con le opportune modifiche normative, si può aumentare ulteriormente il ruolo del private banking nel finanziamento all’economia reale. Nel 29% dei casi, gli operatori private hanno scelto fondi di tipo non riservato, valore oltre sette volte superiore alla media di mercato del 4,1%. Una scelta dovuta al contesto normativo, che spesso fa ricadere il cliente private nella definizione di investitore retail (500 mila euro il limite dell’importo di sottoscrizione) limitandone l’accesso ai fondi riservati che hanno delle soglie di ingresso più elevate”. Il mercato d’altro canto ha già cominciato a muoversi per favorire un maggiore coinvolgimento degli investitori, riducendo i ticket dei fondi riservati e aumentando quindi l’offerta, che d’altro lato resta però molto concentrata in un numero ridotto di operatori.
E questo è un vero peccato, perché il private banking potrebbe davvero essere un volano per la crescita dell’economia reale, se fosse permesso un più facile accesso ai FIA (Fondi di investimento alternativi). E la ricerca del Politecnico lo dimostra chiaramente.
Butticè ha spiegato che le pmi, sebbene producano il 67% del valore aggiunto generato dall’economia italiana, hanno grandi difficoltà nell’accesso al mercato dei capitali per l’impossibilità di trasferire informazioni credibili. Ciò a sua volta è dovuto alla scarsa strutturazione delle aziende del segmento e alla loro più giovane età media. Pertanto, esiste un mismatch nell’accesso ai finanziamenti in Italia. I fondi di investimento alternativi possono colmare questo gap, generando un importante effetto segnale rispetto ai mercati finanziari: ricevere un investimento o un finanziamento dai fondi permette alle pmi di rendersi più credibili, facilitando successivi interventi da parte di altri fondi o altri finanziatori.
Tuttavia la dimensione media dei fondi di investimento alternativi (FIA) italiani, rispetto alla realtà internazionale, è ancora limitata. Per i FIA esteri il valore medio del patrimonio iniziale è pari a 690 milioni, mentre per quelli italiani è di 184 milioni. Inoltre, il segmento è ancora piuttosto concentrato. il 72% dei fondi italiani ha un patrimonio inferiore alla media nazionale.
La ricerca del Politecnico di Milano ha esaminato un campione di 2.274 operazioni che hanno coinvolto 1.574 imprese italiane dal 2000 al 2019. Il risparmio gestito dal private banking ha contribuito al finanziamento di almeno 242 deal, coinvolgendo 151 imprese. I FIA distribuiti dai private banker sono stati coinvolti nel 9% delle operazioni sull’equity, in cui il target era una pmi, per un volume complessivo di capitale di rischio pari al 7,5% del totale investito dai fondi di investimento alternativo. In equity sono stati investiti oltre 703 milioni, con 94 aumenti di capitale e 39 buyout. Allo stesso modo, i FIA selezionati dagli operatori private hanno sottoscritto il 12,8% del totale del capitale di debito disponibile per le pmi attraverso fondi di investimento alternativo.
Lo studio ha poi analizzato i risultati delle imprese finanziate tramite i FIA selezionati dai private banker e non. L’analisi ha riguardato la crescita dei fatturati, dell’attivo patrimoniale, del numero di dipendenti, della liquidità di ciascuna pmi attraverso una analisi basata sul metodo del difference-in-difference. E’ stato dimostrato che a tre anni dal deal, le imprese che hanno ricevuto un finanziamento in equity e/o debito hanno registrato performance significativamente maggiori rispetto alle imprese che non lo hanno ricevuto, nell’ordine del 240%. E le pmi oggetto di deal mediati dal private banking hanno avuto risultati ancora migliori di quelle che lo hanno ricevuto attraverso altri canali, sempre attraverso lo strumento FIA, registrando una crescita dei ricavi mediamente superiore del 10%, degli attivi per il 25% in più e dei dipendenti per il 10%, mentre la cassa è aumentata leggermente meno (-5%), rispetto al campione di pmi oggetto di deal. I dati quindi hanno dimostrato che il private banking ha saputo selezionare i fondi e i deal di maggiore potenziale di crescita, indice di qualità della consulenza offerta dall’industria. Risultati che sembrano quasi fare da sprone ai private banker nell’incoraggiare i rispettivi clienti a investire nei private market, in cui gli investitori affluent a fine 21019 avevano investito non più di 3,9 miliardi di euro (si veda altro articolo di BeBeez).
A questo proposito, Avanzo Barbieri di Neuberger Berman ha messo in evidenza l’accresciuto potenziale di redditività del private equity, i cui deal nel periodo 2010-2015 sono stati chiusi con valutazioni mediamente di 10 volte l’ebitda che si confrontano con le 16-20 volte del 2020. “Le leve per produrre valore sono quella finanziaria; la vendita a multipli più alti, l’investimento in aziende che espandono molto i margini, la sostenibilità ESG (per trattenere la forza lavoro; ridurre i costi; diminuire i rischi legati al cambiamento climatico)”. A questi si è ultimamente aggiunta la leva ESG. Avanzo ha infatti ricordato che “gli investitori nei mercati privati, rappresentando spesso una partecipazione molto qualificata nelle aziende che vanno ad acquisire, in questo senso hanno una ben maggiore possibilità di stimolare il cambiamento in azienda, rispetto ad investitori in mercati pubblici che rappresentano solitamente una piccola percentuale del capitale. ”.
Infine Cappiello, nella sua posizione di presidente di AMCO, ha poi parlato di crediti deteriorati, evidenziando che oggi non sono più un problema sistemico come a fine 2015, quando lo stock di Npl era a quota 360 miliardi di euro e l’Npe ratio medio delle banche italiane al 16,8%. “Lo Stato ha favorito il loro smaltimento attivando un mercato secondario che versava in stato di fallimento a causa delle assimmetrie informative. Il MISE ha attivato vari canali, in primis la GACS (garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze) usata per 35 operazioni per un importo di 87 miliardi di crediti cartolarizzati, attivando un mercato secondario privato di crediti deteriorati”. A fine 2021 sono previsti 90 miliardi di crediti deteriorati sui libri delle banche italiane e un Npe ratio sotto al 5% (si veda altro articolo di BeBeez), in linea con parametri europei.
Cappielli ha chiarito: “E’ importante distinguere gli Npl dagli Utp, che vanno gestiti in modo diverso dagli operatori, in modo da aiutare le imprese meritevoli di credito ad accedere a nuova finanza per rientrare dalle difficoltà temporanee, evitando di distruggere valore per creditori e l’economia in generale. Questa considerazione ha indotto il Mise a non estendere la Gacs agli Utp (si veda altro articolo di BeBeez, ndr), che sono molto diversi dagli Npl e non possono essere messi in un solo calderone”.
Il MEF attualmente sta studiando soluzioni che consentano di creare un mercato secondario degli Utp, in grado di valorizzare le capacità di ripresa degli imprenditori in difficoltà, ad esempio con piattaforme dove le banche apportano i crediti deteriorati e le piattaforme concedono nuovo credito ai debitori in difficoltà, come nel caso del fondo Back2Bonis, che questo mese ha ricevuto un nuovo apporto da 59 milioni (si veda altro articolo di BeBeez). AMCO agisce come master e special servicer e Prelios come gestore, partner nell’immobiliare e special servicer per la gestione dei crediti con sottostante leasing immobiliare.