Al termine del primo semestre di quest’anno il Pil segnerà un crollo del 10% rispetto all’ultimo trimestre del 2019, ossia una perdita di circa 42 miliardi di euro di ricchezza rispetto ai 430 miliardi di euro del quarto trimestre 2019.
Alla fine del 2020 i consumi delle famiglie italiane avranno registrato un calo del 6,8%, gli investimenti delle imprese del 10,6%, le esportazioni del 5,1% e il numero degli occupati del 2,5%, con un calo del 6% del Pil. Sono le stime del Centro Studi Confindustria diffuse ieri (si veda qui il Rapporto).
Gli economisti scrivono nell’introduzione al rapporto che “uno shock imprevedibile ha colpito l’economia italiana a febbraio 2020, quando è iniziata la diffusione nel Paese del virus COVID-19. Si tratta di uno shock congiunto di offerta e di domanda: al progressivo blocco, temporaneo ma prolungato, di molte attività economiche sul territorio nazionale, necessario per arginare l’epidemia, si è associato un crollo della domanda di beni e servizi, sia dall’interno che dall’estero. Le prospettive economiche, in questa fase di emergenza sanitaria, sono perciò gravemente compromesse. Non è chiaro, inoltre, con quali tempi esse potranno essere ristabilite neppure dal lato dell’offerta”.
Le previsioni di Confindustria si basano sull’ipotesi che la fase acuta dell’emergenza sanitaria si vada esaurendo alla metà del secondo trimestre dell’anno e che quindi nel settore manifatturiero saranno attive le seguenti percentuali di imprese nei prossimi mesi: aprile, 40% all’inizio e 60% alla fine del mese; maggio, 70% all’inizio e 90% alla fine del mese; giugno, 90% all’inizio e 100% alla fine del mese.
E, proseguono gli economisti: “Del realismo, o dell’eccessivo ottimismo di queste ipotesi, solo i prossimi mesi diranno. Nel caso in cui la situazione sanitaria non evolvesse positivamente, in una direzione compatibile con questo scenario dell’offerta, le previsioni economiche qui presentate andrebbero riviste al ribasso. Nel 2020 un netto calo del Pil è comunque ormai inevitabile: lo prevediamo al -6,0%, sotto l’ipotesi che la fase acuta dell’emergenza sanitaria termini appunto a maggio. Si tratta di un crollo superiore a quello del 2009, e del tutto inatteso a inizio anno. Ogni settimana in più di blocco normativo delle attività produttive, secondo i parametri attuali, potrebbe costare una percentuale ulteriore di Pil dell’ordine di almeno lo 0,75%“.
Quindi, è la conclusione, “oggi è urgente evitare che il blocco dell’offerta ed il crollo della domanda provochino una drammatica crisi di liquidità nelle imprese: a fronte delle spese indifferibili (tra cui quelle per gli adempimenti retributivi, fiscali e contributivi) e degli oneri di indebitamento, le mancate entrate prodotte dalla compressione dei fatturati potrebbero mettere a repentaglio la sopravvivenza stessa di intere filiere produttive. Bisogna evitare che la crisi di liquidità diventi un problema di solvibilità, anche per imprese che prima dell’epidemia avevano bilanci e prospettive solide“.
Già negli ultimi due anni le imprese in Italia avevano subito una graduale erosione della liquidità disponibile in bilancio, rispetto al picco di fine 2017 Ciò ha riflesso il deterioramento della crescita economica in tale periodo, cui si è affiancata una progressiva riduzione dei volumi di credito bancario dal 2019. A inizio 2020, comunque, il livello della liquidità disponibile nelle imprese rispetto alle esigenze operative rimaneva discreto, molto sopra i minimi toccati nel 2013. L’impatto del Covid-19 si innesta, dunque, su una situazione già tesa, sebbene non critica, sul fronte della liquidità.
In queste condizioni, anche imprese con bilanci tendenzialmente solidi possono avere, nell’immediato, grosse difficoltà in termini di cash flow. Se la riduzione dei ricavi supera quella dei costi a fine anno l’impresa riporterà una perdita, che potrebbe essere assorbita da capitale e riserve, specie in caso di miglioramento dello scenario nel medio termine. Ma se i problemi che prosciugano la cassa persistono per troppe settimane (non anni), molte imprese possono cadere piuttosto rapidamente in situazioni di illiquidità, che rischiano di causarne il blocco dell’operatività (si veda altro articolo di BeBeez sulla simulazione Leanus sui bilanci delle imprese al 2020 e 2021).
In questa fase emergenziale, le banche possono giocare un ruolo cruciale se riescono a tenere viva la fornitura di finanziamenti (anche a breve) alle imprese, per ripristinarne la liquidità e salvarne l’operatività corrente. Quello che va assolutamente evitato è il sommarsi del prosciugamento della liquidità interna alle imprese con la riduzione dei prestiti dalle banche. Purtroppo, è già successo nel 2008-2009 e nel 2012-2013. In entrambi i casi, questo si è associato alla caduta dell’Italia in recessione. Se non si interviene con forza sull’emergenza liquidità, c’è il rischio che un problema di liquidità si trasformi in un tema di sostenibilità, molto rapidamente, con una parte rilevante dell’attuale stock di credito, anche relativo ad aziende solide, che si trasforma in non-performing loan per le banche, cioè in crediti deteriorati.