La turbolenza sui tassi ha convinto molti family office a ripensare al proprio posizionamento in termini di asset allocation, senza però perdere di vista la loro vocazione verso il private capital. Se da un lato si assiste a un ritorno dell’obbligazione come asset class interessante, dall’altro i private markets si confermano infatti come tratto distintivo dei FO all’italiana. Il dato emerge dalla Family Office Survey 2023 condotta da PwC insieme a Mondo Institutional (si veda qui il report).
Un dato cambiato a causa del contesto attuale, (tra inflazione, crisi di fiducia, guerre e incertezza), se si considera che ancora nel 2022 i FO prevedevano di ridurre l’allocazione sulle obbligazioni dei paesi sviluppati, andando a incrementare proprio l’esposizione verso la componente private capital sia diretta (con investimenti diretti in società, co-investimenti e club deal) sia indiretta (principalmente attraverso fondi di private equity e venture capital) (si vedano qui altro articolo di BeBeez e qui il report del 2021, l’ultimo precedente a questo appena pubblicato).
Private equity, venture capital, private debt, co-investimenti, hedge funds, commodities, criptovalute, insieme agli investimenti diretti e indiretti infrastrutturali e ad altre tipologie residuali di investimenti si attestano a un livello del 31%. Tale dato conferma la natura dei FOs, quali strutture con particolare interesse verso il mondo dei mercati illiquidi, difficilmente accessibili a investitori retail. Tra gli investimenti alternativi, la quota maggiore è rappresentata dai fondi di private equity (9% medio sul totale dei portafogli a giugno 2023). In termini prospettici si evidenzia l’intenzione di aumentare l’esposizione del portafoglio degli investimenti alternativi, specialmente quelli diretti o in club deals e gli investimenti infrastrutturali: il 67% dei FOs conferma un’aspettativa favorevole a incrementare la quota di Club Deals, così come il 63% conferma di voler incrementare l’allocazione a favore dei fondi infrastrutturali e investimenti diretti in infrastrutture.
Quanto all’immobiliare, quello diretto e indiretto (REITS e fondi immobiliari indiretti) vede aumentare lievemente (+1%) la propria esposizione a giugno 2023 rispetto a quella di fine 2022 e si attesta ad un livello pari all’8%. In termini previsionali, nei prossimi mesi i FOs intervistati confermano in buona parte l’intenzione di mantenere pressoché stabile la quota di real estate in portafoglio. L’81% del campione conferma questa tendenza per gli investimenti immobiliari detenuti direttamente e il 76% conferma tale aspettativa anche per gli investimenti veicolati tramite fondi comuni.
Ha così commentato Nicola Anzivino, partner Deals e Family Office di PwC: “L’incremento dei tassi ha convinto molti family office a ripensare al proprio posizionamento in termini di asset allocation, senza però perdere di vista il loro interesse vero il private capital in relazione alla natura imprenditoriale di molte famiglie. Top of mind resta anche la tecnologia sia come tema d’investimento sia come soluzioni software specializzate per FO in termini di aggregazione del patrimonio, monitoraggio e asset allocation”.
L’analisi ha verificato a giugno 2023 il posizionamento nelle varie componenti rispetto al dicembre 2022. La parte liquida (cash & equivalents) registra una riduzione del 6% e si attesta al 7%. Tale trend al ribasso è atteso anche per i prossimi 12 mesi: infatti in termini prospettici il 55% dei FOs intervistati ha dichiarato di voler mantenere invariata l’esposizione nei confronti della liquidità e degli strumenti money market eil 40%, complice anche la crescente inflazione, intende diminuire l’esposizione sull’asset class. Quanto all’esposizione azionaria è pressoché identica (23%, di cui 18% azioni paesi sviluppati e 5% azioni paesi emergenti) . Sia per l’azionario dei paesi sviluppati, sia per i paesi emergenti, gran parte dei FOs dichiara che manterrà nei prossimi 12 mesi una esposizione invariata. Sono invece aumentati gli investimenti obbligazionari: a giugno 2023 l’allocazione sull’intera componente a reddito fisso (sia obbligazioni paesi sviluppati sia obbligazioni paesi emergenti) era pari al 30%, in crescita del +6% rispetto a fine 2022 e +14% rispetto a fine 2021. Tale tendenza di crescita va letta alla luce dell’aumento dei tassi che ha reso la componente a reddito fisso più appetibile, specialmente per molti dei FOs che hanno l’obiettivo di preservare il capitale. Sulle prospettive future, i FOs mostrano un maggiore interesse di riallocazione verso l’obbligazionario dei paesi sviluppati: il 41% di essi vuole incrementare la quota nei portafogli, mentre il 48% prevede di lasciare l’esposizione invariata. Per l’obbligazionario dei paesi emergenti il 78% degli intervistati è intenzionato a mantenere la stessa esposizione.
Le strutture restano snelle ma in forte espansione e cercano professionisti sempre più specializzati e verticali. Le attività di investimento e il risk management restano attività core e, data la loro importanza strategica, vengono spesso svolte in-house.
Guardando all’attività di investimento, i FOs confermano la loro natura “finanziaria” con solo il 40% del campione che esternalizza le decisioni di investimento, mentre il restante 60% del campione prende le decisioni di investimento internamente senza il supporto di advisor esterni. Inoltre, considerando il patrimonio liquido relativo ad asset class tradizionali, escludendo quindi gli investimenti illiquidi diretti e in fondi alternativi, mediamente il 31% viene investito secondo una logica opportunistica di TAA (Tactical AssetAllocation), mentre il 69% è investito con un orizzonte temporale di lungo termine secondo quindi una logica di SAA (Strategic Asset Allocation). Tale trend è in linea a quello delle indagini passate. Per quanto riguarda le asset class tradizionali come cash & equivalents, azioni e obbligazioni il 22% degli intervistati delega le scelte di investimento interamente ad advisor / gestori finanziari indipendenti al Family Office, mentre il 23% sostiene di internalizzare interamente le scelte di investimento su tale macro-asset class. Circa la metà dei FOs intervistati (48%) effettua operazioni di investimento coinvolgendo operatori terzi, senza totalmente internalizzare o esternalizzare le scelte di investimento.
Per quanto riguarda le asset class alternative i FOs tendono in media a internalizzare le scelte di investimento (36% dei rispondenti). Simile è il trend sugli investimenti diretti in società, i co-investimenti e i Club Deals, dove gran parte delle scelte vengono totalmente internalizzate (48%). Guardando invece agli investimenti diretti in società, ai co-investimenti e ai Club Deals, emerge come la maggior parte dei FOs predilige investimenti in minoranza: 18 degli intervistati (pari al 36% del campione) sostengono di investire in minoranza esclusivamente in ottica opportunistica e 17 (34%) prediligono gli investimenti in minoranza. I FOs dimostrano un approccio sempre più assimilabile a quello di operatori professionali, quali fondi di Private Equity, i quali operano in ottica opportunistica. Inoltre, l’investimento diretto, essendo per natura illiquido e senza scadenza (a differenza della maggior parte dei fondi illiquidi), aiuta a ridurre la volatilità del patrimonio e quindi il rischio derivante dalle oscillazioni sui mercati finanziari. Infine, 11 dei FOs, pari al 22% dei rispondenti, non effettua investimenti diretti o in Club Deals, mentre solamente 4 FOs, pari all’8% del campione, preferisce investire in maggioranza.
Analizzando i risultati degli ultimi 5 anni su performance, commissioni applicate e costi di struttura, si evince che il 43% dei FOs intervistati ha fatto registrare una performance superiore al benchmark e oltre la metà (53%) ha conseguito rendimenti in linea con il benchmark. In questo arco temporale, un numero limitato tra i Family Office intervistati ha registrato un risultato inferiore al benchmark, con il dato che si attesta intorno al 4%.
Con riferimento al 2022, complice l’andamento dei mercati finanziari, la maggior parte dei Family Office intervistati (59%) ha fatto registrare una performance superiore al benchmark di riferimento. Tuttavia, nel 2022, rispetto alle evidenze delle survey del 2020 e del 2021, aumentano i Family Office che hanno fatto registrare una performanceinferiore al benchmark (12%). Nell’anno in corso, il numero delle strutture che stanno facendo registrare una performance superiore al benchmark si è ridotto considerevolmente: infatti solamente il 31% dei FOs intervistati sta facendo registrare una performance superiore. Questo dato è in flessione del 12% rispetto a quello degli ultimi 5 anni, che ricordiamo essere pari al 43%. Rispetto agli anni passati aumenta anche il numero dei FOs che sta facendo registrare una performance inferiore aquella del benchmark, pari al 14% del campione. Un dato così alto non è stato mai ravvisato in nessuna delle precedenti edizioni dell’indagine.
Questi dati lasciano trasparire un approccio conservativo rispetto al mercato volto a preservare il capitale: in periodi di espansione dei mercati finanziari (es. 2023 YTD) i FOs tendono ad avere una performance tendenzialmente inferiore a quella del benchmark di riferimento. Invece, nei periodi di contrazione dei mercati (es. 2022) le performance dei Family Office sono in media maggiori rispetto a quelle del benchmark, generando così un alpha rispetto al mercato. Inoltre, questa tendenza è in parte attribuibile all’allocazione sulla componentePrivate Capital dei FOs la quale, non avendo un mark-to-market, diluisce le performance se messe a confronto con quelle del benchmark. 18 dei 20 MFOs intervistati ha indicato che la commissione fissa in media applicata alle famiglie assistite è pari a 32 basis points (o bps, 0,32%) sugli asset gestiti (AUM) o in advisory (Asset Under Advisory, o AUA), il valore mediano è 30 bps (0,30%), il minimo è 5 bps (0,05%) e il massimo è 70 bps (0,70%).
Il dato relativo alla commissione fissa applicata da parte dei MFOs è in linea a quello registrato nelle scorse edizioni e solamente 3 dei MFOs intervistati ha dichiarato di aver aumentato le commissioni, mentre 16 dei MFOs ha mantenuto le management fees invariate. È importante sottolineare che i MFOs presentano un elevato grado di eterogeneità a livello di profilo commissionale. Le tariffe applicate dipendono dalle attività e dai servizi svolti dalle strutture le quali possono inoltre applicare fees scaglionate in funzione delle masse rientranti nel perimetro del servizio.
Oltre ad una commissione fissa sull’AUM o AUA, il 44% dei MFOs intervistati ha un profilo commissionale che prevede anche l’applicazione di una commissione di performance sulla base dei risultati raggiunti. Infine, sono stati analizzati i costi di struttura in basis points sull’AUM o sull’AUA dei SFOs, dove il dato è da imputarsi direttamente come costo allafamiglia-cliente, essendo queste strutture dedicate ai servizi di un’unica famiglia. In media i SFOs sostengono costi di struttura totali pari a 60,5 basis points, in aumento di +4,9 bps rispetto al dato estrapolato dal Family Office Survey del 2022. La voce di costo più importante rimane essere quella connessa al personale impiegato nell’attività di prestazione di servizi alle famiglie, il cui dato è rimasto invariato rispetto all’indagine dello scorso anno. L’aumento rispetto al dato dell’anno scorso è principalmente attribuibile ai costi derivanti dai servizi in outsourcing sia fiscali sia legali, i quali sono rispettivamente aumentati di +5,5 bps e +2,8 bps.
L’indagine condotta ha coinvolto 54 tra le strutture più importanti di FO con sede legale in Italia e nella Svizzera italiana. 34 Family Office, pari al 63% degli intervistati, sono Single Family Office identificabili come strutture dedicate alla prestazione di servizi per una sola famiglia, mentre il restante campione, pari al 37%, è formato da 20 Multi Family Office che prestano la loro attività al servizio di più famiglie.
Si tratta di un campione significativo, visto che lo scorso settembre in una ricerca congiunta, la School of Management del Politecnico di Milano e il Centro sul Family Business Management della Libera Università di Bolzano, avevano calcolato che i family office attivi a fine 2022 in Italia sono 219 dai 206 attivi a fine 2021 (si veda altro articolo di BeBeez) e dai 178 a metà 2021 (si veda altro articolo di BeBeez).
Tra i Multi Family Office intervistati emerge come questi mediamente prestino i loro servizi a 19 famiglie, con valore mediano uguale a 12. Nel campione, 3 dei MFOs intervistati seguono 40 o più famiglie, mentre 7 MFOs supportano fino a 10 famiglie. Anche grazie alla loro natura, gli asset under management (AUM) o under advisory (AUA) gestiti complessivamente dai MFOs sono mediamente maggiori rispetto a quelli dei SFOs: il 70% dei MFOs intervistati ha un perimetro di attivi under management o under advisory che supera
500 mln e il 50% supera 1 miliardo. Viceversa, la dimensione delle masse nel perimetro dei
SFOs risulta più contenuta, con il 67% dei SFOs intervistati che hanno attivi inferiori a 250 milioni quota che sale all’82% valutando masse inferiori a 500 mln.
I numeri sul patrimonio sono pressoché in linea con quelli delle scorse edizioni della survey. Il 29% delle famiglie che si avvalgono dei servizi dei SFOs hanno un patrimonio che si attesta mediamente nella fascia 100 mln – 250 mln, risultando la fascia con la più alta concentrazione. Resta importante il numero di famiglie con un patrimonio superiore a 500 mln (18% del campione, di cui 15% superiore 1 mld). Guardando invece ai MFOs intervistati, la maggior parte delle famiglie (58%) seguite ha un patrimonio nella fascia 50 mln – 100 mln e si evidenzia come poche famiglie (10%) presentino un patrimonio superiore ai 100 mln. Risultato? Le famiglie con patrimoni più elevati tendono a creare una propria struttura volta a gestire e amministrare esclusivamente il proprio patrimonio piuttosto che affidarsi ad un MFO.
Il 43% dei SFOs intervistati dichiara che il liquidity event derivante dalla vendita dell’azienda di famiglia (o di una parte dell’azienda) sia stato, interamente o comunque in parte, la causa che ha giustificato la costituzione di una struttura di FO. Seguono la preservazione della coesione familiare (19%), la separazione degli asset tra i membri di famiglia (17%) e la successione / passaggio generazionale (15%), i quali sono stati identificati dai FOs intervistati come eventi comunque importanti che hanno contribuito alla definizione di una struttura di Single Family Office.
A questo proposito, ricordiamo l’ultima indagine dell’Osservatorio Family Office, promossa dalla School of Management del Politecnico di Milano, in collaborazione con il Centro di Family Business Management della Libera Università di Bolzano e con Pictet WM. Dallo studio emerge che oltre la metà (52%) delle famiglie clienti dei Multi-Family Office attraversato o sta attraversando un liquidity event. Tra le principali motivazioni che spingono a prendere questa decisione c’è il disinteresse della “next gen” a proseguire con la gestione dell’attività (35%). A conferma di questo, si proietta in circa 300 miliardi di euro, nel periodo dal 2013 al 2022, il controvalore aggregato stimato dei 2.365 eventi di liquidità individuati che hanno coinvolto imprese italiane, includendo quindi i deal con valore noto (853) e non noto (si veda altro articolo di BeBeez).