Nell’82% delle operazioni, il private equity ha contribuito a migliorare i processi di internazionalizzazione: nell’82% dei casi le target hanno incrementato il peso del fatturato estero durante l’holding period. E’ la conclusione di una ricerca di Aifi e Liuc, basata su un campione di 154 operazioni distribuite su 69 imprese. Di queste il 79% erano già internazionalizzate prima che entrasse un fondo di private equity e il 91% di esse è diventata più internazionale durante l’holding period da parte dei fondi.
In particolare, i settori che hanno incrementato maggiormente il loro grado di internazionalizzazione sono stati: prodotti per l’industria (41%), beni di consumo (19%), ICT (10%) e alimentare (9%). A livello geografico, Gran Bretagna e Francia , rispettivamente con il 26% e il 23%, sono state le principali nazioni di destinazione dei processi di internazionalizzazione, seguite da Germania (11%) e Spagna (9%). Le strategie preferite per l’espansione all’estero sono state l’apertura di una sede estera (68% dei casi) e la ricerca e contrattualizzazione di agenti o distributori (41% dei casi).
Inoltre, le società target passano facilmente da prede a predatrici: quelle che hanno effettuato operazioni di m&a hanno realizzato in media qui due operazioni ciascuna, privilegiando l’acquisizione di concorrenti. Le più attive nell’m&a sono state le pmi attivei nei settori industriali (48%), beni di consumo (15%) e ICT (10%).
L’ultimo Report di BeBeez dedicato al private equity, disponibile per download agli abbonati di BeBeez News Premium (scopri qui come abbonarti a soli 20 euro al mese), mostra per esempio che da inizio anno alla prima settimana di novembre le aziende italiane ed estere partecipate da private equity hanno condotto 42 add-on su target italiani e che le aziende italiane partecipate dai fondi hanno condotto 13 add-on su target esteri.