Se l’obiettivo di una private bank italiana è generare margini soddisfacenti e soddisfare la clientela, gli investimenti alternativi (tra cui private equity, private debt e venture capital) sono diventati un elemento irrinunciabile nella gamma di offerta di prodotti. Certo non gli unici (la reportistica e l’analisi del portafoglio sono al primo posto, seguite dalla consulentza), ma di sicuro irrinunciabili.
E’ quanto emerge dello spaccato italiano dell’ultima edizione del Global Wealth Management Report di EY, per il quale sono stati intervistati oltre 2000 clienti e 50 operatori, per una copertura totale di circa 70 mila miliardi di masse in 26 paesi. I dati relativi all’Italia sono stati presentati oggi a Milano da Giovanni Andrea Incarnato, Italy Wealth & Asset Management Leader di EY, in collaborazione con l’Asssociazione Italiana Private Banking (Aipb), di cui EY è membro.
Gli investimenti in finanza alternativa si collocano a un soffio dal podio nella classifica delle priorità associate dai clienti italiani ai prodotti e servizi offerti da private bank e istituzioni similari, in particolare per i clienti più facoltosi, con patrimoni superiori a 5 milioni di euro per intenderci. E, ha sottolineato Incarnato di EY, “fra i servizi a basso utilizzo, ma ad alta considerazione da parte degli Hnwi e Uhnwi c’è la gestione del passaggio generazionale”, che è uno degli ambiti di riferimento dell’azione dei fondi di private equity.
Il tema, quello della sempre maggiore attenzione del private banking e dei suoi clienti agli asset alternativi, era già stato ben sottolineato dal segretario di AIPB, Antonella Massari, lo scorso luglio in occasione della sua partecipazione al convegno organizzato da BeBeez su private asset e clienti private (si veda altro articolo di BeBeez). In quell’occasione Massari aveva mostrato i risultati di un sondaggio condotto tra i clienti dei propri associati da cui era emerso che il 36% degli intervistati era disposto a investire parte del proprio patrimonio per 10 anni in cambio di maggiori rendimenti e/o incentivi fiscali e che di questo numero, il 43% era disposta ad allocare ad asset illiquidi tra il 6% e il 10% del suo patrimonio, mentre il 29% arrivava addirittura all’11-20%.
Ieri, invece, Massari ha mostrato un ulteriore dettaglio del sondaggio, che segmenta i clienti clienti tra quelli che nel rapporto con il private banking prediligono la relazione, quelli che prediligono la performance e quelli che invece vogliono la personalizzazione (si veda qui la presentazione).
Massari ha evidenziato che “sta emergendo una nuova generazione di clienti, ancora minoritaria ma significativa, attenta alla personalizzazione dei servizi, su tutta la loro gamma, sensibile all’evoluzione tecnologica e propensa all’investimento di lungo periodo”. Sono anche i clienti più disposti a farsi “promoter” dei servizi di private banking presso i rispettivi conoscenti, e quindi quelli strategicamente più importanti ai fini della difesa della quota di mercato di ciascun operatore. Ebbene, dall’analisi emerge che quest’ultimo tipo di clienti hanno un orizzonte temporale dell’investimento più lungo; conoscono gli investimenti ESG, ne hanno parlato con il banker (50%) e vi investono; attribuiscono importanza prevalente alla governance rispetto a environmental e social; e soprattutto possiedono almeno un prodotto di investimento alternativo per diversificare il portafoglio rispetto ad altre forme d’investimento (83,7%)
Concetto ribadito da Riccardo Negro, Responsabile Business Development di Fideuram Investimenti. “Private equity, private debt, infrastrutture, a parità di periodo di investimento, rendono molto di più delle azioni quotate, ma sono investimenti complessi, per definizione di lungo periodo, che richiedono consulenza avanzata. Per questo fidelizzano il cliente nel lungo periodo”. E considerato che il 44% dei clienti vorrebbe cambiare wealth manager nell’arco nei prossimi tre anni, riferisce sempre l’indagine di EY, la fidelizzazione sta salendo ai piani alti nella lista delle preoccupazioni dei private banker.