Ci sono 2500 pmi che hanno basso rischio di credito e crescono oltre il 7%, target perfetto per i private equity. Altre 3300 sono poco rischiose, ma crescono poco, un target interessante per il private debt. Poi ci sono mille imprese che sono più rischiose, ma crescono tanto e quindi hanno un problema di circolante da finanziare, target perfetto per i fondi di direct lending e le piattaforme web di lending e invoice trading. Infine ci sono circa 1700 aziende in situazione critica, quindi da risollvare, target ideal per i ristrutturatori.
Sono i risultati dell’indagine condotta da Leanus per BeBeez sugli 8806 bilanci 2016 di aziende non finanziarie con ricavi compresi tra 15 e 500 milioni di euroche erano stato depositati alla data dello scorso 10 settembre e che sono stati presentati lo scorso 21 settembre in occasione del Caffé speciale di BeBeez all’Hotel Four Seasons di Milano (si veda altro articolo di BeBeez) e pubblicati ieri da MF Milano Finanza. L’elenco completo delle imprese e le relative analisi sono tutte disponibili su Leanus per gli utenti Premium.
A giudicare dall’analisi dei primi bilanci 2016 delle medie imprese italiane non finanziarie, queste ultime crescono a ritmi ben più sostenuti rispetto ad altri comparti del sistema. L’aumento dei ricavi rispetto al 2015 ha superato il 4%, il contributo al pil è passato dal 6,7 al 7,1% e il numero di dipendenti, che supera complessivamente il milione di unità, è cresciuto del 5,6%. Ma il dato aggregato nasconde realtà singole molto diverse tra loro e quindi l’analisi dei dati aziendali disponibili va affinata per evitare di cadere in equivoci, soprattutto se il motivo dell’analisi è la ricerca di un target su cui investire.
La ricerca, ha evidenziato in realtà che i risultati migliori sono stati ottenuti dalle imprese più grandi del campione, quelle dai fatturati compresi tra 50 e 500 milioni di euro. Dei 470 miliardi di ricavi generati dalle 8.806 imprese, ben 306 miliardi (il 65%) sono relativi alle grandi imprese (2.489), che sono anche quelle che evidenziano la maggiore crescita dei ricavi (+4,6%) e degli investimenti (+6,5%) e hanno proceduto ad aumenti di capitale per 237 milioni di euro, al tempo stesso aumentando il debito di quasi 3 miliardi. Entrambi sintomi di un’elevata propensione all’investimento.
L’analisi di dettaglio delle singole imprese e delle singole voci mostra l’enorme variabilità dei profili aziendali inclusi nei vari gruppi. Per esempio la crescita dell’ebitda rispetto al 2015, che in media è stata del 6,65%, oscilla tra -80 e +80%, con una maggiore concentrazione tra -25 e +25%. Se poi ci si concentra sulle imprese dei servizi, queste, pur generando margini molto elevati (ebitda dell’11,7%) evidenziano i più alti livelli di debito in rapporto ai ricavi (1,2 volte). Infine, il saldo netto dei dividendi distribuiti dalle imprese con ricavi tra 15 e 50 milioni supera gli 1,5 miliardi di euro, a fronte di un aumento del debito di circa 7,5 miliardi.
Applicando ulteriori criteri di selezione, come una variazione dei ricavi maggiore o minore del 7%, si possono distinguere vari gruppi d’imprese, ciascuno con caratteristiche più appropriate per una data categoria di investitori. Si identificano così 2.467 imprese Star, perfette per i private equity; 3.314 imprese Stable, adatte al private debt; 1.680 Stuck (impantanate), ideali per i ristrutturatori e 1.056 Runners, ideali per chi preferisce finanziare il circolante delle pmi (banche, fondi di direct lending, piattaforme di lending o invoice trading).
La ricerca Leanus ha esaminato anche i bilanci 2016 di 3.117 pmi e startup innovative e di 100 società che nel 2015 hanno emesso minibond. I risultati non sono entusiasmanti. Startup e pmi innovative esaminate hanno fatturato 750 milioni in tutto, generando però un ebitda medio negativo del 12,4%. È la prima evidenza dell’Osservatorio startup 2016 Leanus-MF, che verrà presentato a novembre e che conferma un trend già individuato dalle precedenti edizioni: difficoltà di trasformare in modelli di business sostenibili gran parte dei progetti innovativi, difficoltà a incassare i crediti per via del basso potere negoziale nei confronti delle controparti; necessità di un’incubazione di 5 o addirittura 7 anni prima di consolidare l’offerta e affermarsi sul mercato: troppo per le aspettative di imprenditori e investitori.
Quanto agli emittenti di minibond, delle 100 imprese che lo hanno fatto nel 2015 ne sono state analizzate 45. Queste pmi hanno fatturato in tutto 2,2 miliardi di euro, per un ebitda totale di 164,7 milioni, generando 72 milioni di utili. Il debito finanziario netto era 753 milioni. Tuttavia ben 14 di esse risultavano compromesse sul lato economico-finanziario: su ricavi per 623 milioni e avevano perso l’11% dei ricavi, hanno generato un ebitda poco superiore al 5%, in più gravate da un debito netto di 823 milioni.
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