E’ ufficiale: il 3,5% dell’ammontare complessivo dei Piani individuali di risparmio (Pir) dovrà essere investita in quote o azioni di fondi per il venture capital o di fondi di fondi per il venture capital. E questo accadrà sin da subito, senza nessun tipo di approccio graduale, come era stato a un certo punto proposto nelle bozze del Decreto Crescita (si veda altro articolo di BeBeez), dal quale poi era stata stralciata quella parte, per essere inclusa invece nel Decreto ad hoc sui Pir, varato dal governo lo scorso 30 aprile, l’ultimo giorno utile per farlo.
Il Decreto sui Pir (Decreto 30 aprile 2019. Disciplina attuativa dei piani di risparmio a lungo termine), che è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 7 maggio scorso, si applica ai Pir costituiti dal primo gennaio 2019 ed è il decreto attuativo delle norme contenute nella Legge di Bilancio 2019 che ridefiniscono le regole di investimento alle quali si devono attenere i Piani individuali di risparmio per ottenere gli sgravi fiscali previsti dalla Legge di Bilancio 2017 (art 1, commi da 100 a 114). Il testo definitivo del Decreto ricalca quello della bozza circolata a inizio marzo (si veda altro articolo di BeBeez).
L’art.2 del decreto del 30 aprile 2019 prevede infatti che il 70% del valore complessivo del Pir sia investito:
- per almeno il 5% in strumenti finanziari quotati sui sistemi multilaterali di negoziazione (es. Aim Italia per le azioni e ExtraMot Pro per le obbligazioni), emessi da pmi ammissibili;
- per almeno il 5% in quote o azioni di fondi/fondi di fondi per il venture capital, residenti in Italia o in Stati membri Ue o aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo, pari quindi al 3,5% del patrimonio del Pir come previsto già dalla Legge di Bilancio 2019 (si veda altro articolo di BeBeez).
Nel computo del 5% e del 70% sono inclusi gli strumenti di equity e quasi equity.
Ricordiamo che il comma 212 dell’art. 1 della Legge di Bilancio 2019 ha subordinato l’accesso all’agevolazione fiscale per i sottoscrittori dei Pir a una serie di nuovi obblighi. In primo luogo si chiede che il patrimonio dei Pir venga investito per almeno il 70% in strumenti finanziari, quotati oppure no, emessi o stipulati con imprese residenti nel territorio dello stato italiano oppure in Stati membri Ue o aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo con stabili organizzazioni in Italia.
In secondo luogo, di questo 70%, almeno il 5% (quindi in totale si parla del 3,5% dell’intero patrimonio del fondo) deve essere investito in strumenti finanziari quotati sui sistemi multilaterali di negoziazione (es. Aim Italia per le azioni e ExtraMot Pro per le obbligazioni), che siano però emessi da pmi, come definite dalla raccomandazione 2003/361/CE della Commissione Ue e quindi imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni.
In terzo luogo, c’è almeno un altro 30% di quel 70% (quindi il 21% dell’intero patrimonio del fondo) che deve essere investito in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle inserite nell’indice FTSE MIB della Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati.
Infine, un altro 5% di quel 70% (quindi il 3,5% del totale del patrimonio del fondo) deve essere investito in quote o azioni di fondi di venture capital, residenti in Italia o in Stati membri Ue o aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo.
Come già indicato nella Legge di bilancio per il 2019, le pmi ammissibili secondo il decreto attuativo sono quelle che non hanno mai operato in alcun mercato oppure sono attive da meno di 7 anni. In ogni caso, ogni piccola impresa non dovrà aver ricevuto o ricevere risorse finanziarie per un ammontare totale superiore ai 15 milioni di euro, come previsto dalla normativa sugli aiuti di stato.
L’art. 4 del decreto stabilisce che la verifica dei requisiti delle pmi ammissibili dovrà essere effettuata al momento dell’investimento iniziale da parte dei fondi/fondi di fondi di venture capital. L’art. 5 del decreto sancisce che soggetti che costituiscono i Pir a loro volta dovranno acquisire dai fondi o fondi di fondi di venture capital una dichiarazione che attesta che il fondo ha i requisiti per poter destinare almeno il 70% dei capitali raccolti in investimenti a favore delle pmi ammissibili.
Il decreto sui Pir accoglie le indicazioni date nei mesi scorsi da Aifi, l’Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital, che si dichiara “soddisfatta per la pubblicazione in Gazzetta del decreto sui Pir poiché rappresenta un’occasione per promuovere il venture capital e l’innovazione nel nostro Paese. “Aifi è a disposizione per l’apertura immediata di un tavolo di confronto e lavoro. L’associazione vuole supportare l’attività dei gestori Pir nel lancio dei nuovi prodotti che potranno essere strumento di supporto alla crescita dell’innovazione in Italia”, ha dichiarato il presidente Innocenzo Cipolletta (si veda qui il comunicato stampa).