Attenzione alla qualità del credito e spinta alla digitalizzazione della finanza sono alcuni dei temi sui quali si è soffermato ieri il governatore della Banca d’italia, Ignazio Visco, nelle sue Considerazioni finali, in occasione della presentazione della Relazione annuale di Banca d’italia per il 2022, che a sua volta fornisce anche numeri riassuntivi sul patrimonio dei fondi di investimento alternativi di diritto italiano.
Qualità del credito
Sul fronte della qualità del credito del sistema bancario, ha detto Visco: “Nel suo insieme, il sistema bancario si trova in condizioni sufficientemente buone. Lo scorso anno tutti i principali indicatori di bilancio si sono collocati su valori nell’aggregato soddisfacenti; in più casi sono migliorati. L’incidenza dello stock di crediti deteriorati si è mantenuta stabile, su valori modesti e ormai in linea con la media europea. La redditività, a lungo depressa dai bassi tassi di interesse e dalle elevate perdite sui prestiti, è salita in misura significativa, beneficiando dell’aumento del margine di interesse. È lievemente migliorata anche la posizione patrimoniale”. Ma ha avvertito:”L’incertezza sulle prospettive economiche richiede prudenza. C’è da attendersi che il rallentamento ciclico e le più restrittive condizioni di finanziamento determinino un peggioramento della qualità del credito, con implicazioni sulle rettifiche di valore, al momento ancora basse”.
E ha ricordato ancora Visco: “Il costo dei finanziamenti bancari è in netta risalita; le indagini condotte presso gli intermediari e le imprese indicano una forte riduzione della domanda e condizioni di accesso al credito decisamente più restrittive. La crescita dei prestiti alle società non finanziarie nell’area dell’euro, salita quasi fino al 13 per cento (in ragione annua) nei tre mesi terminanti ad agosto 2022, si è recentemente arrestata; pur se in misura meno marcata, l’indebolimento riguarda anche i prestiti alle famiglie. Sebbene questi andamenti siano una conseguenza necessaria della normalizzazione monetaria, occorre prestare attenzione a che l’intensità della sua trasmissione non dia luogo a una frenata eccessiva dei consumi e degli investimenti”.
Sul fronte dei numeri, nel testo della Relazione annuale si legge: “Nel 2022 il flusso di nuovi prestiti deteriorati in rapporto alla consistenza di quelli in bonis è sceso all’1 per cento (dall’1,2 nel 2021). Il calo dell’indicatore è dovuto alla diminuzione sia per i finanziamenti alle famiglie sia per quelli alle imprese. È proseguita la riduzione anche delle consistenze dei crediti deteriorati, realizzata soprattutto attraverso operazioni di cessione per circa 20 miliardi; dal 2016, quando le transazioni sul mercato di questi finanziamenti hanno acquisito rilevanza, sono state effettuate vendite per circa 230 miliardi di valore nominale. Nel 2022 il rapporto tra l’ammontare dei crediti deteriorati e il totale dei prestiti al netto delle rettifiche è diminuito di circa 20 punti base, all’1,5 per cento (al lordo delle rettifiche è sceso di 60 punti base, al 2,8 per cento). Alla fine dell’anno il valore dell’indicatore per i gruppi significativi italiani era pressoché in linea con quello relativo al complesso degli intermediari soggetti alla supervisione diretta della BCE (1,2 contro 1,1 per cento, rispettivamente). Il tasso di copertura era pari al 53,5 per cento, a fronte del 43,5 per la media dell’area dell’euro. Il 64 per cento dei crediti deteriorati netti detenuti dalle banche italiane era costituito da inadempienze probabili; dal picco del 2014, il volume di queste esposizioni è gradualmente sceso da 140 a 38 miliardi e le banche ne hanno considerevolmente aumentato il tasso di copertura (dal 27 al 44 per cento)”. (per un aggiornamento a oggi, si veda qui il Report di BeBeez sugli NPE nei primi 5 mesi 2023, disponibile agli abbonati di BeBeez News Premium e BeBeez Private Data).
Quanto ai crediti Stage 2, si legge: “Alla fine del 2022 l’incidenza dei finanziamenti in bonis per i quali le banche hanno rilevato un significativo incremento del rischio di credito (cui segue il passaggio dallo stadio 1 allo stadio 2 della classificazione prevista dal principio contabile IFRS 9) sul totale dei prestiti verso il settore privato non finanziario era pari al 12,8 per cento; il dato, in flessione di 1,8 punti percentuali rispetto alla fine del 2021, era ancora superiore ai valori osservati prima della pandemia (10,4 per cento a dicembre del 2019). La riduzione ha riflesso un marcato calo dell’indicatore per i gruppi significativi italiani (dal 16,0 al 13,7 per cento), che rimane tuttavia superiore al valore medio per il complesso degli intermediari europei significativi (10,9 per cento)”.
Fintech
In tema di fintech, il governatore ha sottolineato: “Gestire efficacemente le implicazioni connesse con l’innovazione tecnologica è un’altra sfida cruciale per il sistema finanziario. La Banca d’Italia sostiene e promuove l’innovazione garantendo l’efficienza e la sicurezza delle infrastrutture di mercato, l’aggiornamento del quadro normativo e delle prassi per la gestione dei rischi, la tutela e l’educazione finanziaria della clientela. Si tratta di presidi fondamentali per assicurare che il nostro paese benefici appieno della digitalizzazione dell’economia e della finanza, minimizzandone i rischi. In questo solco si inserisce anche la nuova sfida rappresentata, per l’Eurosistema, dalla possibile introduzione dell’euro digitale, al cui sviluppo concettuale e tecnico stiamo contribuendo attivamente. Il prossimo autunno il Consiglio direttivo della BCE deciderà se e come passare alla fase dedicata a definire le soluzioni tecniche e commerciali necessarie. Una decisione finale di procedere con la moneta pubblica digitale richiederà in ogni caso l’adozione del necessario impianto normativo da parte del Parlamento e del Consiglio dell’Unione europea”.
Sul fronte dei numeri, nel testo della Relazione si legge che “alla fine del 2022 più della metà degli intermediari italiani offriva prestiti alle famiglie mediante i canali digitali, prevalentemente credito al consumo. La quota di banche che proponevano finanziamenti online alle imprese era più contenuta (circa l’11 per cento). L’ammontare dei finanziamenti bancari erogati nell’ultimo trimestre del 2022 attraverso i canali digitali era ancora modesto (quasi il 5 per cento dei prestiti erogati alle famiglie e meno dell’1 di quelli alle imprese). Nella gestione del risparmio la quota di banche che consentono di acquistare e vendere online attività finanziarie è rimasta stabile al 60 per cento. In questo settore l’utilizzo della tecnologia è principalmente mirato a sostenere l’attività di consulenza e di gestione individuale dei portafogli, per ottimizzare la proposta di strumenti finanziari ai clienti”.
E prosegue la Relazione: “Nell’offerta di prodotti e servizi digitali le banche tradizionali competono, o molto spesso collaborano, con altri operatori. Oltre la metà dei progetti e degli investimenti FinTech in corso o programmati per il triennio 2023-25 dalle banche italiane prevede infatti la cooperazione con società non finanziarie esterne al gruppo. La maggior parte delle iniziative in corso di sviluppo o in fase di produzione riguarda l’accesso e lo sfruttamento di dati esterni. Le collaborazioni in quest’ultimo settore potranno beneficiare dello sviluppo dell’open banking, ossia l’offerta di servizi basati sull’accesso alle informazioni sui conti della clientela da parte di prestatori di servizi autorizzati (third party providers, TPP) regolato nell’Unione europea dalla direttiva UE/2015/2366 (Revised Payment Services Directive, PSD2). Nel 2022 si è avuto un aumento del numero di prestatori di servizi attivi in Italia (da 70 a 91); recenti indagini evidenziano tuttavia volumi ancora limitati rispetto al potenziale (si veda qui il report di Bankitalia dello scorso marzo “L’Open Banking nel sistema dei pagamenti: evoluzione infrastrutturale, innovazione e sicurezza, prassi di vigilanza e sorveglianza”, ndr)”.
Ma attenzione: “Accanto alle significative opportunità derivanti dall’uso della tecnologia, la digitalizzazione dell’industria si associa a nuovi rischi per gli intermediari. Tra questi, uno dei principali deriva dagli attacchi informatici. Nel 2022 circa l’80 per cento delle banche ha avviato progetti di verifica sulla sicurezza dei propri sistemi e servizi informatici. I rischi in questo comparto potranno essere ulteriormente mitigati dall’applicazione, a partire dal 2025, della normativa europea recentemente approvata sulla resilienza operativa digitale (Digital Operational Resilience Act, DORA), che prevede l’introduzione di regole armonizzate sulla sicurezza dei servizi informatici”.
Sempre in tema fintech, ricorda ancora la Relazione, “I risultati di una recente indagine indicano un crescente interesse degli intermediari italiani verso le tecnologie basate sui registri distribuiti (distributed ledger technologies, DLT). Nel mese di giugno dello scorso anno la Banca d’Italia ha inviato una comunicazione nella quale sottolinea i potenziali benefici derivanti dall’utilizzo di queste tecnologie e l’esigenza di adeguati presidi per attenuare i rischi connessi con il loro impiego e con le criptoattività, strumenti il cui trasferimento è basato sulle DLT. Il regolamento europeo sui mercati delle criptoattività (Markets in Crypto-Assets Regulation, MiCAR, si veda altro articolo di BeBeez, ndr), che entrerà a breve in vigore e comincerà a essere applicato dalla seconda metà del 2024, introduce requisiti comuni per l’emissione di questi strumenti e la prestazione di servizi a essi collegati”.
Il patrimonio dei FIA
Visco non ha dedicato commenti al private capital nelle sue Considerazioni finali, ma la Relazione annuale traccia comunque un quadro completo del patrimonio dei fondi di investimento alternativi (FIA) chiusi di diritto italiano a fine 2022. Si legge:”Circa tre quarti del patrimonio del comparto sono riconducibili ai FIA immobiliari. Il valore degli attivi detenuti da questi ultimi è salito a 114 miliardi, beneficiando anche di una raccolta netta positiva in linea con l’anno precedente (4,5 miliardi). La quasi totalità del patrimonio è riconducibile al segmento dei fondi chiusi riservati agli investitori professionali. In particolare, circa un terzo delle quote dei fondi immobiliari italiani è stato sottoscritto da investitori esteri, soprattutto degli altri paesi dell’area dell’euro. Tra gli investitori italiani, le compagnie assicurative e gli enti previdenziali sono i principali sottoscrittori (20 per cento per entrambe le categorie). Gli investimenti dei fondi italiani si sono concentrati per oltre il 90 per cento nel settore degli immobili commerciali, dove gli acquisti dei fondi hanno rappresentato circa un terzo del valore complessivo degli scambi, prevalentemente nelle province di Milano e di Roma” (per un focus sul mercato real estate aggiornato a oggi, si veda l’inchiesta di copertina di BeBeez Magazine del 27 maggio e qui il Report real estate 2022-2023 di BeBeez, disponibile agli abbonati di BeBeez News Premium e BeBeez Private Data).
Quanto agli altri fondi di private capital, “alla fine dell’anno il patrimonio dei FIA mobiliari italiani era di circa 36 miliardi, con una raccolta netta di 2 miliardi nel 2022. La crescita del settore è in larga parte imputabile ai fondi che investono nel capitale di rischio delle aziende (private equity) e a quelli di debito (private debt). Nonostante l’espansione di entrambi i comparti, il ruolo degli operatori italiani è ancora limitato nel mercato nazionale. Secondo i dati forniti dall’Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt
(Aifi), circa l’80 per cento degli investimenti in imprese italiane effettuati dai fondi chiusi nel 2022 era infatti riconducibile a FIA esteri (quasi 10 su 12 miliardi) (si vedano altro articolo di BeBeez e qui i report di BeBeez sulle varie asset class, disponibili per gli abbonati a BeBeez News Premium e BeBeez Private Data, ndr)”.
Continua la Relazione:”Al fine di ampliare la platea dei potenziali sottoscrittori, a marzo del 2022 la soglia di sottoscrizione minima per investire nei fondi chiusi riservati è stata ridotta da 500.000 a 100.000 euro al ricorrere di determinate condizioni volte a tutelare gli investitori non professionali (si veda altro articolo di BeBeez, ndr). L’iniziativa non ha ancora avuto effetti significativi sul comparto e la quota del patrimonio sottoscritto da investitori non professionali è rimasta inferiore al 2 per cento”.
Infine, sul fronte dei conti delle sgr che gestiscono i FIA, “nel 2022 gli utili netti delle sgr sono scesi del 33 per cento nel confronto con il 2021, a causa di una flessione delle commissioni nette e di un lieve aumento dei costi operativi. Il rapporto fra il patrimonio di vigilanza e il requisito patrimoniale di questi intermediari è leggermente diminuito (5,5 rispetto a 5,6 del 2021), rimanendo comunque su livelli adeguati”.