Il nuovo ceo di Mps, Marco Morelli è appena tornato da una serie di incontri con investitori internazionali che in grado di mettere in sicurezza l’annunciato aumento di capitale da 5 miliardi di euro, che andrà di pari passo con il piano di dismissione dei 9,2 miliardi di euro netti di sofferenze (si veda altro articolo di BeBeez). Lo scrive oggi MF Milano Finanza, precisando che mentre la cartolarizzazione degli Npl dovrebbe procedere senza problemi e completarsi tra novembre e dicembre, l’aspetto più delicato del piano senese resta appunto la raccolta dei nuovi capitali.
L’obiettivo è individuare un gruppo di investitori i quali possano decidere di coprire una quota significativa dell’aumento di capitale, tra 1,5 e 2,5 miliardi di euro. Gli interlocutori più probabili sono fondi pensione internazionali, fondi sovrani e fondi di private equity specializzati nel settore. Con la differenza, però, che quesdti ultimi per definizione richiederebbero delle garanzie di governance ben più importanti di quelle che per loro natura di norma richiedono i fondi pensione americani o i fondi sovrani.
L’unico nome che è circolato nelle scorse settimane è Investindustrial. Ma Andrea Bonomi, seppure intrigato da una simile operazione, non ha alcuna intenzione di ritrovarsi nella situazione già vissuta ai tempi di Bpm. Se Investindustrial entrasse nel capitale di Mps, lo farebbe avendo la garanzia di poter intervenire nella ristrutturazione della banca, con il pieno appoggio delle istituzioni. E il ragionamento vale per qualunque fondo di private equity internazionale, compresi quei quattro che Corrado Passera aveva riunito in cordata prima dell’estate, proponendo un piano alternativo a quello poi presentato al mercato e che ora pare sia stato sottoposto nuovamente a Morelli (si veda Il Sole 24 Ore ), con la differenza che non ci sarebbe più alcuna garanzia da parte di Ubs.
I nomi dei fondi in questione non è mai uscito, ma non è difficile immaginare che siano i soliti noti con focus su finanza e turnaround come Apollo, Lone Star e Apax (che hanno presentato le offerte per le quattro good bank); Oaktree (che ha già comprato Banca Lecchese da Banca Etruria), Cerberus e Goldentree (che avevano partecipato all’asta per GE Capital Interbanca, così come Apollo e Lone Star); Atlas Merchant Capital, Baupost, Centerbrige e Warburg Pincus (i fondi che hanno presentato al fondo Atlante l’offerta per Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca).
A preoccupare di più i fondi è il tema degli esuberi, che sarebbe il primo da trattare ed è certamente quello che viene messo sul tavolo da questi signori non appena si inizia una discussione. Qualcosa di più in questo senso si potrà capire a metà ottobre, quando le nuove strategie di Morelli saranno state definite nelle loro linee generali, se non addirittura l’inizio di novembre, quando è attesa la presentazione ufficiale del piano.
Lo scorso luglio, in occasione del convegno di presentazione del nuovo Executive master in finance della Sda Bocconi, sull’argomento era intervenuto Stefano Caselli (docente di intermediazione finanziaria e assicurazioni, prorettore per l’internazionalizzazione dell’Università Bocconi). Come riferito allora da MF Npl, Caselli, discutendo di come il fondo Atlante potrà ristrutturare Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, aveva detto: “La strada è una sola. Entrambe le banche hanno un modello di business improntato alla distribuzione e quindi l’unico modo per risanarle è quello di tagliare i costi, cioé dimezzare il numero degli sportelli e ridurre di un terzo il personale. Ma il contratto di lavoro bancario rinnovato un anno e mezzo fa prevede che per lasciare a casa un bancario gli si debbano dare 5 anni e mezzo di annualità. Per questo io vedo logico un intervento pubblico sulle banche da ristrutturare in termini di ammortizzatori sociali più che nell’equity di queste banche. Quindi, ben venga Atlante, ma perché funzioni e possa generare profitto servono ammortizzatori sociali”.