(Gustave Courbet – L’uomo ferito, 1844-54 – Olio su tela, cm 81,5 x 97,5 – Parigi, Musée d’Orsay)
«Il bello è nella natura», riteneva Gustave Coubet, pittore e scultore francese dell’Ottocento, grande paesaggista ora in mostra Palazzo dei Diamanti di Ferrara, fino al 6 gennaio 2019, con un’iniziativa aperta tutti i giorni 9.00 – 19.00
anche l’8, il 25 e il 26 dicembre il 1^ e il 6 gennaio – a cura di Dominique de Font-Réaulx, Barbara Guidi, Maria Luisa Pacelli, Isolde Pludermacher e Vincent Pomarède, è organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara. L’esposizione è una piccola grande mostra con 50 opere che non promette di stupire ma di riscoprire un autore forse non così noto, figlio di agricoltori, fu. artista, provocatore, padre del realismo e uomo dalla personalità complessa, riteneva la natura la sua principale fonte di ispirazione: non a caso due terzi della sua produzione sono costituiti da panorami, vedute, scorci, orizzonti, lande campestri, in cui il protagonista è l’elemento naturale. Lo stesso Courbet quando si ritrae è immerso nella natura come nell’autoritratto in mostra dallo sguardo fiero, accompagnato dal suo cane, detto Courbet con il cane nero, del 1842. Dall’esposizione si evidenzia una qualità pittorica eccelsa e una vocazione totale alla natura nella quale e solo nella quale si rispecchia nell’animo e nell’immagine che dà di sé.
(Gustave Courbet – La quercia di Flagey, 1864 – Olio su tela, cm 89 x 111,5 – Ornans, Musée Gustave Courbet)
A circa cinquant’anni dall’ultima rassegna a lui dedicata, Gustave Courbet torna in Italia con un’esposizione che presenta una scansione storica della sua pittura, seguendone la biografia dalla nativa Ornans nella Franca Contea, a Parigi, fino alle spiagge del Nord, in Normandia, a Deauville e Trouville-sur-mer, le peregrinazioni in Germania e nel Mediterraneo e l’esilio in Svizzera dove morirà. Interessante l’allestimento, semplice ma suggestivo e fruibile: le sezioni tematiche che si succedono al contempo negli anni, sono contrassegnate da colori diversi, dal grigio delle prime sale, al bianco, al blu oltre mare delle marine. Pittore della natura ma non semplice naturalista: fu uomo attivo e implicato nella vita politica e innovatore in pittura, non un semplice “fotografo” del paesaggio. Segna infatti il superamento del Romanticismo del quale conserva l’eco e i riflessi di un Impressionismo che proprio in quegli anni muoveva i primi passi. Nel momento in cui si trasferisce a Parigi, accoglie la lezione di maestri come Manet, Monet, Degas e altri, anche se la mondanità non appare nei sui quadri. Nondimeno i nudi femminili hanno un loro posto, sempre immersi in una rigogliosa vegetazione, come nell’opera del 1857 Fanciulle sulle rive della Senna, proveniente dal Petit Palais, Musée des Beaux-Arts de la Ville di Parigi. Non dimenticando i paesaggi della sua infanzia dove boschi, grotte e rocce per le quali nutre una particolare curiosità, alberi, e specchi d’acqua, siano essi, fiumi, ruscelli, cascate o laghi, si affaccerà con grande sensibilità al mare: nascono così le visioni del mare in tempesta o le marine struggenti al tramonto del mare del Nord e del Mediterraneo. L’ultima parte della produzione è svizzera e ci racconta un’altra fase e un diverso aspetto di questo artista: l’impegno politico e l’esilio. Gustave Courbet partecipa all’azione sovversiva della Comune di Parigi del 1848, portando avanti ideali socialisti contro il potere imperiale ed è costretto a riparare in Svizzera. Nelle opere di questo periodo si sente il tormento dell’anima e le scene si fanno più intense, si moltiplicano le scene di caccia, che si colorano di sangue e di paesaggi nevosi imponenti. Le sale della mostra si arricchiscono di immagini in bianco e nero di grandi dimensioni che contribuiscono a creare la suggestione nell’immersione naturale.
A cura di Giada Luni.
(Gustave Courbet – Giovane bagnante, 1866 – Olio su tela, cm 130,2 x 97,2 – New York, Metropolitan Museum of Art, H.O. Havemeyer Collection. Lascito della signora H.O. Havemeyer, 1929)
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La mostra Paul Klee. Alle origini dell’arte, a cura di Michele Dantini e Raffaella Resch, presenta un’ampia selezione di opere di Klee sul tema del “primitivismo”, con un’originale revisione di questo argomento che in Klee include sia epoche preclassiche dell’arte occidentale (come l’Egitto faraonico), sia epoche sino ad allora considerate “barbariche” o di decadenza, come l’arte tardo-antica, quella paleocristiana e copta, l’Alto Medioevo; sia infine l’arte africana, oceanica e amerindiana. La mostra, inaugurata al pubblico il 31 ottobre scorso e aperta fino a 3 marzo del prossimo anno, promossa dal Comune di Milano-Cultura e da 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE, che ne è anche il produttore, raccoglie un centinaio di opere dell’autore, provenienti da importanti musei e collezioni private europee, e conta su una consistente collaborazione del Zentrum Paul Klee di Berna. Al centro dell’esposizione il primitivismo che il Mudec – Museo delle Culture accoglie arricchendolo con pezzi della propria collezione, inquadrando in modo originale questo artista nell’ambito del suo tempo e scandagliandone l’animo, oltre l’immagine nota del primo pittore astratto insieme a Kandisky. E’ propria del museo milanese una versione originale nell’allestimento ma soprattutto nell’ideazione delle mostre, che affrontano angoli reconditi anche delle figure più note. Paul Klee, artista svizzero tedesco, di ampia cultura, figlio d’arte d’arte – il padre era maestro di musica e la mamma cantante – nasce vicino a Berna dove poi la famiglia si trasferisce e per anni resta in bilico tra poesia, musica e pittura. La folgorazione avviene durante il suo viaggio in Tunisia, intrapreso con gli amici – anch’essi pittori – Louis Moillet e August Macke – durante la Pasqua del 1914 quando, arrivato a Kairouan, scoprì la sua passione assoluta per il colore. Nei suoi Diari scrive: “sono pittore” e l’ho scoperto capendo che la mia visione del mondo è attraverso il colore. Nella città sacra per eccellenza del Paese, la città dalle trecento moschee nota per i suoi tappeti artigianali, trae un’ispirazione, ai più ignota e pure rintracciabile anche nell’ultima fase della sua pittura, quella dominata dalle policromie.
L’originalità di Paul Klee è anche nell’approccio al primitivismo che avviene, diversamente dalle altre avanguardie storiche, con uno studio accurato della storia dell’arte e in particolare grazie al viaggio in Italia che lo affascina, pur destabilizzandolo. Questa volta è la scoperta dell’arte paleocristiana a Roma, tra l’autunno del 1901 e la primavera del 1902, a smuovere il suo animo e a farlo riflettere sulla decadenza della stessa. Klee intraprenderà così per superare l’antico senza imitarlo in una sorta di retorica monumentale, di romanticismo storico, la via del gioco nonché della satira. La mostra si apre infatti proprio con una sezione dedicata alla caricatura, poco conosciuta per quanto riguarda Klee. Eppure fu un lato importante del suo stile che ci racconta la partecipazione alla vita politica del suo tempo che visse però da artista e il gusto per la beffa e l’invenzione che non lo abbandonerà mai.
Per i più Paul Klee è soprattutto l’amico Kandinskij, con il quale condividerà la passione per la musica, e soprattutto con Franz Marc l’autore dell’esperienza condivisa del Blaue Reiter con la quale nella storia dell’arte irrompe l’astrazione. In Klee questa non è tanto rottura e superamento del disegno, della visione ordinaria dell’oggetto, con quell’effetto un po’ freddo, cervellotico e decorativo che c’è talora in Kandinsky. E’ piuttosto astrazione nel senso del processo metafisico dall’oggetto, presupposto e riconosciuto nella visione soggettiva ed emozionale che resta presente sulla tela. Questo processo lo porterà anche a considerare il rinnovamento dell’arte sacra, come superamento della rappresentazione, dell’elemento liturgico ed iconografico per diventare suggestione vissuta, simbolo. A partire dal 1912-1913 nel suo percorso si introduce un’altra componente, quella degli ideogrammi ed elementi alfabetici anche di invenzione, con una vera e propria passione per la calligrafia, non solo araba che è un modo ad un tempo per giocare, mantenere l’apertura al segno e alla sua possibilità di interpretazione ma anche di attenta ricerca delle forme differenti del linguaggio.
Seguendo il percorso della mostra, sezione per sezione che corrono parallele al processo di formazione artistica, il nostro viaggio prosegue, dopo le caricature, le illustrazioni cosmiche, e i segni, con l’esplorazione dell’arte infantile. E’ questo il suo primitivismo soggettivo, non solo fascinazione etnografica, in linea con il suo tempo.
Fa parte di questa dimensione il teatro delle marionette – il riferimento di Klee è alla tradizione nordica – nato per soddisfare una richiesta del figlio Felix, che diventerà poi un modo di esprimersi del pittore.
Infine la sezione la sezione dedicata a policromie e astrazione che riunisce un insieme di opere, caratterizzate, oltreché dal rigoroso disegno geometrico per lo più associato a motivi architettonici, dalla trasparenza di differenti velature di colore.
A cura di Giada LUNI.
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