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A Milano, alla Galleria Building, va in scena fino al 20 luglio Hidetoshi Nagasawa 1969-2018 a cura di Giorgio Verzotti, una grande retrospettiva, dedicata a uno dei più grandi artisti attivi in Italia dalla fine degli anni Sessanta. Attraverso una selezione di circa 40 opere, l’esposizione intende documentare in sintesi l’intero arco dell’attività dell’artista: dai video che testimoniano le sue performances degli inizi, per certi versi ritenute affini alle operazioni delle coeve Land e Body Art, passando per le prime sculture, dove il gesto è sempre implicato come prima matrice, fino ad approdare alle sculture di grandi dimensioni spesso giocate su equilibri arditi, che sono state la cifra più tipica di Nagasawa.
L’esposizione è in collaborazione con la Galleria di tappeti antichi Moshe Tabibnia, un’eccellenza nel settore dell’arte tessile antica, sempre in Brera, a due passi, dov’è esposta fino al 25 maggio una barca, soggetto ricorrente nell’arte di Nagasawa, in ottone, posta in dialogo con cinque tappeti Ushak Tintoretto; mentre alla Casa degli Artisti, in corso Garibaldi, centro di residenza, produzione e fruizione aperto alla città, l’8 maggio sarà inaugurata l’intitolazione dell’atelier all’artista che qui aveva il suo studio e insieme ad altri ha vitalizzato questa realtà e una terza esposizione sarà visitabile sino al 4 giugno.
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La mostra intende sottolineare in particolare due caratteristiche distintive di Nagasawa: la sua attenzione verso i rapporti fra l’opera e l’architettura e la sua visione quasi utopistica di una scultura apparentemente priva di peso, al punto da stare sospesa nello spazio e sembrare leggera anche quando raggiunge dimensioni monumentali.
L’artista giapponese ha iniziato la sua carriera arrivando in Italia in bicicletta e si dice che addormentatosi su una panchina gli rubarono la bicicletta, un imprevisto che lesse come un segno e decise di fermarsi a Milano dove poi si è radicato.
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L’esposizione restituisce la varietà dei materiali e delle tecniche nonché delle tipologie del suo lavoro tra il 1969 e il 2018, anno della sua morte. In Galleria tra l’altro due opere inedite, entrambe del 2012, rimaste dal marmista a Pietrasanta, in Toscana, Cubo e Nastro, un’opera che dimostra tutta la maestria dell’artista nel rendere leggeri materiali pesanti come il marmo. Splendida la Casa del Poeta, opera di evidente ispirazione orientale, sospesa, con parti in metallo che sembrano poter volare. La stessa impressione di leggerezza anche in Tegola, formella in marmo dove si vede l’impronta della mano dell’artista, come se il materiale fosse molle. Lo stesso concetto proprio della filosofia Zen, il gioco tra vuoto e pieno, l’Oro di Ofir, l’impronta delle mani dell’artista che stringe la materia, dove il vuoto, la traccia, evoca il pieno. Splendida la Barca, opera del 1980-1981, soggetto ricorrente come accennato nei suoi lavori, in questo caso con all’interno una pianta, simbolo di vita e rimando fortemente simbolico nella sua cultura orientale. Composta da una base monolitica in marmo bianco affonda le sue radici nella tradizione shintoista secondo cui ogni elemento naturale, dalle pietre alle piante, possiede una dimensione sacra ed è tramite di preghiera agli dei.
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Tra i lavori anche Nicchia, una Venere callipigia che tiene in mano una mela, con una proporzione particolare, di grande raffinatezza.
In mostra anche i disegni, spesso multimateriale, in particolare con inserti in rame con un effetto tridimensionale. Al secondo piano anche opere evocative come Pulverize, quella che sembra sia stata la maglietta indossata durante il viaggio che ha bruciato e le cui ceneri sono state imprigionate in un barattolo sotto vuoto e quindi segno di memoria perenne. Imponente la Colonna realizzata con 12 parti di marmo, ognuna diversa dall’altra, per colore e provenienza, distesa come una colonna vertebrale, con dei vuoti tra un blocco e l’altro che non percepiamo come un’interruzione per la memoria che conserviamo dell’insieme. Il gioco si rinnova simbolicamente con Gomito, l’impronta del gomito appunto che dalla parte opposta corrisponde all’impronta del ginocchio. Nella stessa stanza Selinunte dormiveglia che è un’opera simbolica per l’impiego di marmi che è in qualche modo la materia simbolica dell’artista. Di fronte Rotolo, ancora una volta giocato su equilibri improbabili con un fagiolo dorato, trovato in Brasile, la cui storia è racchiusa nel rotolo appunto di bronzo che poggia di sghembo su una pietra. Infine Top of Pyramid, una formella di marmo, appoggiata sulla copertura in vetro della Galleria con un effetto di grande suggestione.
Chi è Hidetoshi Nagasawa
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Nasce il 30 ottobre 1940 a Tonei (Manciuria), dove il padre prestava servizio come ufficiale medico delle truppe dell’esercito imperiale. Gli anni dell’infanzia sono segnati dal conflitto mondiale, circostanza che inevitabilmente segnerà la sua poetica e la sua arte. Nel 1945, a seguito dell’invasione della Manciuria da parte dell’esercito sovietico, la famiglia Nagasawa è costretta a lasciare il paese, insieme agli altri civili giapponesi residenti. Solo dopo un travagliato viaggio di un anno e mezzo, i Nagasawa arrivano in Giappone. Il tema del viaggio segnerà profondamente il carattere dell’artista e buona parte della sua produzione futura, dandogli motivo di riflettere sul significato dell’esistenza nel tempo e nello spazio. Stabilitosi nella prefettura di Saitama, poco distante da Tokyo, il giovane Nagasawa inizia a frequentare le scuole superiori, dove mostra interesse per la matematica e la pittura; prosegue poi i suoi studi alla Tama Art University di Tokyo frequentando il corso di “Architettura e Interior Design”, conseguendo la laurea nel 1963. Durante gli anni dell’università, viene a conoscenza delle varie tendenze d’avanguardia come il Neo-Dada e si imbatte nel movimento artistico del Gruppo Gutaj, grazie a varie esposizioni indipendenti che venivano organizzate ogni anno dal giornale “Yomiuri” a Ueno (Tokyo).
Il fascino che esercitano su di lui le novità delle avanguardie lo porta a riflettere e comprendere come l’essenza dell’arte sia da ricercare nell’azione e nell’anima, anche quando non si concretizza in un particolare oggetto.
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Nel maggio del 1966, in seguito alla decisione di allargare i suoi orizzonti, parte dal Giappone in bicicletta dirigendosi verso Ovest alla volta dell’Europa. Iniziando dalla Thailandia, attraversa la Malesia, l’India, il Pakistan, l’Afghanistan, la Persia, l’lraq, la Giordania, il Libano, la Siria per giungere in Turchia, in un passaggio graduale da Oriente a Occidente che lo porta a contatto con culture e civiltà diverse. A Istanbul, si imbatte nelle note della musica di Mozart diffuse da una piccola radio, grazie alle quali realizza di trovarsi sulla soglia dell’Occidente. Decide quindi di proseguire il suo viaggio: passando dalla Grecia approda a Brindisi e da lì risale l’Italia visitando musei e città. Nell’agosto del 1967 arriva a Milano; la città lo affascina a tal punto che decide di stabilirsi a Sesto San Giovanni. Da questo momento inizia a lavorare al fianco di artisti come Enrico Castellani, Luciano Fabro, Mario Nigro e Antonio Trotta. A cavallo tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta la sua ricerca risente dall’influenza dell’arte concettuale e trova delle prime occasioni espositive nel 1970 presso la galleria Françoise Lambert di Milano e il Solomon R. Guggenheim di New York, dove partecipa ad una mostra collettiva sull’arte giapponese contemporanea.
A partire dal 1972 – anno della sua prima partecipazione alla Biennale di Venezia – l’artista si lascia sedurre dalle sensazioni plastiche e avvia la sua riflessione sul senso della scultura, producendo opere di grandi dimensioni in materiali quali oro, marmo e bronzo. Nella produzione di questi anni affronta i temi dell’impronta del corpo e le categorie astratte di spazio e tempo. Affascinato inoltre dall’idea di metamorfosi l’artista trasforma anche la carta, tradizionalmente usata come supporto, in scultura.
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Nel 1979 co-fonda, insieme a Jole de Sanna e allo scultore Luciano Fabro, la Casa degli Artisti, uno spazio per mostre, eventi e residenze d’artista che ha avuto un ruolo fondamentale nella scena artistica milanese. Dal 1990 al 2002 Nagasawa è docente alla Nuova Accademia di Belle Arti (NABA) di Milano; inoltre tiene corsi d’arte all’Accademia di Belle Arti di Brera e alla Tama Art University di Tokyo. L’artista muore, all’età di settantasette anni, nel 2018 a Ponderano (BI).
Nagasawa ha partecipato a cinque edizioni della Biennale di Venezia (1972, 1976, 1982, 1988, 1993), a Documenta (1992), alla Biennale di Parigi (1973) e alla Biennale di Middelheim (1975).Le sue opere sono state esposte in mostre personali e collettive tenutesi, tra l’altro, a Tramway, Glasgow; Yorkshire Sculpture Park, Wakefield; Municipal Museum of Fine Arts, Kyoto; The National Museum of Modern Art, Osaka; Metropolitan Art Museum, Tokyo; The Museum of Modern Art, Saitama; Städtische Kunsthalle, Düsseldorf; Louisiana Museum of Modern Art Culture Center, Humlebaek; Museum Moderner Kunst, Vienna; Fundació Pilar i Joan Miró a Mallorca, Palma de Mallorca; Galleria Civica di Arte Contemporanea, Trento; Collezione Peggy Guggenheim, Venezia; PAC-Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano; Palazzo delle Esposizioni, Roma. Diversi suoi lavori sono conservati in collezioni istituzionali private a livello internazionale, tra cui il Museum of Modern Art Kamakura & Hayama, il National Museum of Modern Art Osaka, il Takamatsu City Museum of Art e l’Iwaki City Art Museum (Giappone); il CaMusAC – Museo d’Arte Contemporanea, Cassino e il MAMbo – Museo d’Arte Moderna, Bologna.
a cura di Ilaria Guidantoni